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È bonaria, tradizionalista, sposata ai valori cattolici. Se la formula esatta per scrivere un successo non è ancora stata inventata è invece chiaro che esiste, almeno in Italia, un prontuario di parole, una forma e un modo giusto per rendere un testo pop appetibile per le radio, quindi molto popolare, quindi il più delle volte insipido, quando non addirittura mellifluo e scadente.

Tutti quelli che hanno pensato, almeno per un secondo, che il ritorno del rap avrebbe portato con sé una ventata d’aria fresca nel panorama musicale italiano, purtroppo ora devono ricredersi. La maggior parte della musica italiana che ascoltiamo quotidianamente non ha minimamente risentito dell’approdo in classifica dei rapper. Peggio ancora, ammicca a Sanremo e al pollice alzato di Luzzatto Fegiz, odora di stantio ed è ancorata a uno stile di scrittura polveroso, tradizionalista e anacronistico, proprio come la parola stantio.

Alcuni artisti hanno effettivamente contribuito a rinnovare i testi e le strutture alle quali la musica pop italiana è affezionata — basti pensare ad esempio a Fabri Fibra e Marracash — ma nel complesso è stata fin da subito una lotta contro i mulini a vento e, nonostante siano aumentate negli ultimi anni le collaborazioni tra i rapper e le/i cantanti del momento e più in generale la commistione tra generi musicali differenti non rappresenti ormai più un tabù, l’opera di scardinamento e rinnovo della canzone popolare non è mai riuscito. Anzi il più delle volte è stata quest’ultima a contaminare il rap (vedi l’ultimo album di J-Ax e Fedez, Comunisti col Rolex) e ultimamente anche la musica indipendente (Riccione, il tormentone estivo dei Thegiornalisti, ne è un esempio) limandone gli spigoli, ammorbidendone i testi e garantendo ai pezzi una maggiore esposizione e copertura radiofonica.

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Ascoltando una manciata di singoli pop usciti dalle nostre parti nelle ultime settimane niente fa pensare che la canzone italiana voglia realmente slegarsi dal sentimentalismo alla volemose bene e dal romanticismo nauseante di cui è impregnata. A qualche anno di distanza dalla consacrazione definitiva del rap, dopo un anno abbondante di rispolvero della canzone indipendente, la musica pop, incoraggiata quasi all’unisono dai media e da un apparato discografico per lo più conservatore rimane sostanzialmente impermeabile a qualsiasi contaminazione e tentativo di evoluzione.

Si potrebbero citare decine di canzoni e, a dire il vero, tutti i giorni esce materiale che in qualche modo supporta questa tesi. Qui però considereremo solo alcuni casi. Un esempio è il nuovo singolo di Ermal Meta, Ragazza Paradiso, pubblicato dall’artista poche settimane fa. Se non si fosse prestata sufficiente attenzione al titolo della canzone bastano pochi secondi di ascolto per addentrarsi nel sottobosco di frasi fatte e concetti banali del tipo mi hai fatto amare tutti i miei difetti, oppure nei tuoi occhi c’è il cielo più grande che io abbia visto mai, o ancora, qualche passaggio più in là siamo due gocce dello stesso mare ma abbiamo già trovato l’ultimo amore.

Nulla nelle parole che possa turbare o insinuare qualche sospetto che l’amore non debba essere per forza idilliaco, privo di increspature. Tutto è magnifico, la vita è stupenda e l’unico modo per raccontare questo incontenibile moto di positività interiore misto a fortuna sfacciata sembra essere quello di ripetere per l’ennesima volta una frase già detta, un modo di dire inflazionato, noto a tutti.

È un caso, verrebbe da dire. E invece no. Anche a Benji & Fede la vita sembra andare a gonfie vele. In Tutto per una ragione, il loro ultimo singolo, si trovano a cantare senza effetti speciali io e te ma è perfetto il nostro film così com’è. Anche in questo caso un amore perfetto ma senza effetti speciali, quindi normale, quindi alla portata di tutti.

Un po’ come le storie cantate da Francesco Renga, che all’incirca un mesetto fa ululava alla luna: fammi mancare l’aria, io sono Marte tu la Terra, fammi la guerra, sei la mia nuova luce, sei tutto quello che ho. In questo caso, oltre al sentimentalismo ad alto tasso glicemico, viene messo sul piatto un altro tema caro agli autori italiani, l’astrologia. Perché se è vero che il trinomio amore-perfezione-normalità la fa da padrona nei testi dei cantanti nostrani, è anche vero che spesso questi termini (chiamarli concetti è forse esagerato) sono accompagnati da uno o più riferimenti astrali. Insomma, in sostanza, sentirete spesso parlare di una Luna turbatrice di animi, di Marte come fulcro di mascolinità e di Venere come termine di paragone per tutto ciò che è femminile. 

Il brano di Renga, Nuova Luce, è un esempio (altri sono forniti periodicamente dai Modà) ma c’è chi ha fatto ancora di meglio intitolando un suo pezzo proprio Congiunzione Astrale, per fugare ogni dubbio. Correva l’anno 2013, l’autore del brano è Nek e il ritornello recita: Insieme andiamo avanti e questo amore non si può fermare, è congiunzione astrale. Più chiaro di così…

“Musica POP, te la spiego: lei lo lascia, lui va in para e voi che ci cascate, Niagara”
— Coma Cose

A ben vedere c’è anche chi, nel panorama musicale italiano fa sfoggio di concetti ben più generali. Si parla di Giorgia che ha scalato le classifiche elaborando, anzi rielaborando, un messaggio ancora più universale di quelli visti fino a qui: l’amore vince sempre sulle tenebre. L’aveva già messo nero su bianco, in una forma leggermente diversa, Silvio Berlusconi intitolandoci un libro: “L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio”. E ne avevano parlato anche gli Elio e le storie tese in Vincere L’odio prendendo in giro un certo tipo di musica brutta e onnipresente. La cantante romana ha invece inciso il pensiero su disco e in Credo declama, appunto, credo in un amore che vince sempre sulle tenebre. E chi di noi, in fondo, sotto sotto, può dire di non crederci? Certo, pensandoci sorgono un po’ di domande ma, non pensandoci, la frase suona di una positività perlomeno incoraggiante.

Diversamente da Francesco Gabbani, a cui è sempre piaciuta la critica sociale (poca e a dir la verità molto diluita) unita al gioco di parole spicciolo e che ripropone in Tra le granite e le granate la contrapposizione dantesca tra paradiso e inferno, evidentemente ancora molto attuale anche oltre le mura vaticane, cantando: oggi il paradiso costa la metà lo dice il venditore di felicità, in fuga dall’inferno finalmente in viaggio la tua vacanza in un pacchetto omaggio. E poi rincara, non si fosse capito il sofisticato riferimento letterario, sulle spiagge arroventate lasciate ogni speranza voi che entrate. Perché Benigni non ci bastava. E allora per la prossima hit, se volesse alzare il tiro, gli suggerirei:

“Al cor gentil rempaira sempre amore,
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core;
né gentil core anti ch’amor, natura”
— Guido Guinizzelli

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I nostri successi radiofonici sembrano mischiare una goccia di acume e critica sociale a un mare di allegrezza. Sono febbricitanti di felicità, rincorrono la citazione facile e più di ogni altra cosa rassicurano, costi quel che costi. Ancora non ne siete convinti? Ascoltate Perdo le parole. In questo caso l’autore è RIKI, direttamente da Amici e dalla seconda posizione della classifica FIMI degli album più venduti in Italia (poco fa era primo, poi è stato spodestato da Twins, il nuovo album della Dark Polo Gang) e scongiura la sua amata di dirgli qualcosa che resta senza fare di più che la scena è perfetta, e aggiunge se quando ti guardo è già tutto migliore perdo le parole. Non vi sembra, a questo punto, di averla già ascoltata questa canzone?

Si potrebbe andare avanti per ore (qui non lo faremo). Come non menzionare allora Giusy Ferreri? Dopo Roma-Bangkok, il successo estivo dello scorso anno, non poteva che ritornare alla carica in prossimità dell’estate con un pezzo on the road dal titolo Partiti adesso. Il momento topico è racchiuso nella frase  ragazzo ragazza dentro a baci di sabbia che si specchiano nudi nell’aria, da far impallidire per livello di astrazione persino i Pooh (in classifica da 41 settimane con il loro ultimo album live: Pooh 50 – L’ultima notte insieme) che un annetto fa, ingiustamente snobbati dalla solita critica musicale con la puzza sotto il naso, hanno sfornato un masterpiece ecumenico dal titolo Noi due nel mondo e nell’anima.

Insomma il pop italiano che fa i numeri, quello da classifica (salvo eccezioni) è contaminato da questo genere di testi. Generalisti, votati al perbenismo, moralmente corretti e intrisi di speranza. Sono pochissime le canzoni pop in classifica che esulano da questa allegria e spensieratezza isterica — viene in mente Amanda Lear dei Baustelle o la recentissima Pezzo di me di Levante. Il resto, molto spesso, è musica piegata all’appagamento momentaneo di un dilagante bisogno di leggerezza e assenza di significato.

In mancanza di un concetto rilevante o di un’idea brillante queste canzoni svaniscono però senza lasciare tracce, divorate da un nuovo aspirante successo pronto ad essere diffuso in heavy rotation.

Non è certo tutto da buttare. Tiziano Ferro, ad esempio, ha definito nel corso degli anni uno stile personalissimo e fresco. I Baustelle hanno dato alla luce pochi mesi fa un ottimo album — L’amore e la violenza — definito dallo stesso Bianconi “oscenamente pop”. Ma questi sono casi isolati più unici che rari. Le classifiche di vendita, i sold out negli stadi, i passaggi in radio, le ospitate in televisione raccontano complessivamente un’altra storia, che poi vista da vicino è sempre la stessa immutata negli anni. La riproposizione continua del già conosciuto unito alla mancanza di freschezza e all’incapacità di rinnovarsi della musica italiana non fa che aumentare il provincialismo che marchia da molto tempo i testi delle nostre canzoni e con loro, purtroppo, i nostri poveri e poco allenati gusti musicali. E di questo dovremmo, se non preoccuparci, almeno essere profondamente dispiaciuti.

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