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Il 23 novembre è uscito per Sony “Leg Day”, il primo singolo di LunchBoxDave. Nel brano di debutto dell’artista romano il mondo del fitness incontra quello del rap dando vita a una canzone slegata dalle logiche trap contemporanee.

Ne abbiamo parlato con l’artista, che ci ha consegnato la sua “Workout Playlist” carica ovviamente di trap (ma ci sono anche gli Slipknot) con cui affrontare il picco calorico del weekend, stando alla larga dalla lean.

“Secondo me manca una figura artistica come la mia, che va a toccare tutte quelle sfaccettature di un mondo, la black, che adesso si sta focalizzando troppo sulla trap, trascurandone aspetti altrettanto interessanti con i quali si può fondere.”

Il Leg Day per alcuni è il giorno “tranquillo” in palestra, per i cultori del bicipite magari è quello da saltare. Per te invece è il giorno zero, l’esordio artistico come LunchBoxDave. Com’è nata l’idea di inserire il mondo del fitness in un pezzo rap?

Si, purtroppo confermo che è il giorno che molti trascurano o saltano completamente. Tutto è nato grazie ad una intuizione del mio manager Stefano, mentre ero in studio durante una sessione con BVRGER, producer del progetto, e stavamo pensando di fare una traccia minimale ed aggressive, d’impatto al primo ascolto. E soprattutto, un qualcosa che si differenziasse dal sound al quale siamo abituati adesso. Così mentre stavamo giocando con varie time e sonorità, Stefano se ne esce con “Ma se utilizzassimo il Leg Day?”. Ovviamente l’idea colse di sorpresa sia me che BVRGER, poi esaltati dal concept ci siamo messi all’opera nella creazione del pezzo. Da lì in poi è stato tutto naturale e creativo.

L’argomento ‘forma fisica’ è anche in controtendenza rispetto ai soliti temi che vanno per la maggiore in ambito rap (serate, droghe, lusso, ecc.). Tu che rapporto hai con quel mondo?

Diciamo che non ho un grande rapporto con droghe e alcool. Non tanto per scelta e tantomeno per il discorso “fitness”. Purtroppo, per motivi non scelti da me, sono stato troppo spesso circondato da situazioni del genere, dove droghe e alcool erano tema quotidiano. Tutto più difficile quando queste cose le ritrovi anche in ambito familiare. Vi risparmio i dettagli. In adolescenza non sempre si riesce a dare una spiegazione a tutto questo, e facilmente rischi di perderti. Quando sei in queste situazioni, in un modo o nell’altro, hai due sbocchi: il primo è quello di seguire la corrente e adottare lo stesso atteggiamento, facendo uso ed abuso di tali sostanze. Il secondo è quello di prendere la strada opposta e stare alla larga da tutto quel mondo. Ma non tanto per scelta, come dicevo prima. Il discorso è un altro. Stare a contatto diretto con quel tipo di scenario genera una specie di anticorpi grazie ai quali poi sviluppi un rifiuto quasi naturale. In secondo piano, c’è il discorso sportivo. Non sono due cose che si legano bene. Sempre se vuoi ottenere un qualsivoglia risultato.

Con la trap invece, da quello che ho ascoltato, a parte il “cash che tocca il soffitto”, mi sembra tu abbia poco da spartire. È così?

Il cash che tocca il soffitto è una proiezione metaforica, e non di come vedo il mio futuro, musicale ed extra musicale. Quindi è un qualcosa che esula in qualche modo dal discorso trap. Comunque la trap è un genere che ascolto, quando è fatta bene perché secondo me anche se può sembrare un genere “semplice” e “banale” bisogna saperla fare sia a livello di produzioni che di lyrics e melodie sin dagli albori e nelle sue svariate evoluzioni e sfaccettature. Mi piacerebbe aggiungere la mia visione ed interpretazione del genere, magari anche fondendolo con altre sfaccettature della musica black che adoro. L’arte in genere penso sia un percorso evolutivo, e da artista non riuscirei a rimanere fisso in un punto, per quanto quel punto sia di tendenza e funzionale ai fini commerciali. La cosa più bella di questo “lavoro” è la possibilità di esprimere se stessi. La musica è la tela sul quale dipingere le proprie emozioni e i vari generi musicali sono gli strumenti.

Quando sei in palestra cosa ascolti?

Dipende dal mood nel quale mi trovo. Amo più di un genere musicale, ma non sono uno di quelli che ascolta tutto. Mettici pure che ho delle fisse particolari. Ad esempio sono convinto che ogni canzone o genere musicale sia più adatta al giorno o alla notte. Ma alla fine sono tutti processi mentali automatici che inconsciamente faccio per scegliere la mia playlist. Ci sono giorni che affronto dei workout, anche intensi, con dell’R&B perché magari ho bisogno di tranquillità mentale e conforto. Quando sono più sereno o comunque in presa bene, ascolto pezzi trap o rap, che mi motivano e alimentano il buon umore e il piacere dell’allenamento. Quando sono giù o provo per qualsivoglia motivo sensazioni negative come rabbia, delusione o inadeguatezza, metto a manetta del buon sano metal. Mi ritrovo tantissimo in questo genere musicale, che a dispetto di quello che si pensa è strettamente collegato all’emotività e ai sentimenti in generale. A volte ho bisogno di sfogarmi, e spesso non posso farlo direttamente. Così utilizzo la crudezza e trasparenza del messaggio per farlo. È senza dubbio terapeutico.

“La cosa che ho sempre adorato e invidiato della scena Rap/Hip-Hop inglese è il fatto di aver generato e sviluppato uno stile completamente originale e distintivo. Essendo un paese nel quale la multiculturalità è la base dell’assetto civico, il panorama musicale ne è figlio diretto.”

Ho letto che hai iniziato a scrivere rime nel Regno Unito, quando eri lì frequentavi la scena rap/hip hop del posto? Ti va di raccontarci un aneddoto a proposito di quel periodo?

Assolutamente si. La cosa che ho sempre adorato e invidiato della scena Rap/Hip-Hop inglese è il fatto di aver generato e sviluppato uno stile completamente originale e distintivo. Essendo un paese nel quale la multiculturalità è la base dell’assetto civico, il panorama musicale ne è figlio diretto. Troviamo contaminazioni di subculture da ogni parte del mondo. Io ero molto legato a quelle delle mie origini africane. Un sacco di ragazzi lì erano di origine (diretta e non) africana, e tantissimi erano amanti di quella musica come lo sono anche io. E questo traspariva nella musica che tanti di loro facevano. Era veramente un continuo stimolo mentale ed emotivo essere circondati da tutto quel movimento e fermento. Non per nulla la scena UK è una delle più apprezzate e variegate del movimento black mondiale, ma al contrario di altri paesi europei, non segue le orme americane, bensì traccia la propria strada con grande orgoglio.

Hai mai provato a scrivere in inglese?

A dire la verità io iniziai a scrivere in inglese, cosa che faccio tutt’ora con molto piacere e soddisfazione. La decisione e la motivazione a fare più roba in italiano e arrivata anche grazie ai preziosi consigli di BVRGER, che mi stanno aiutando tantissimo a livello strutturale e creativo in generale.

Nel 2013 invece entri a far parte di un coro gospel/soul con il quale suoni in giro per l’Italia e l’Europa. Come ti sei avvicinato a quel mondo? Quanto è importante per te oggi aver fatto quell’esperienza?

Per questa esperienza devo dire grazie al mio amico Leslie (cantante dei Soul System). Fu proprio lui a darmi la “soffiata” di questo coro che stava reclutando nuovi cantanti. Così decisi di non farmi sfuggire l’occasione e partii per Vicenza per sostenere le audizioni. Era tutto nuovo per me, infatti è stato il mio primo approccio a livello professionale al mondo della musica. Essere circondato da ragazzi dalle doti canore superlative è stato uno stimolo a fare meglio e a imparare tutta una serie di cose che magari non sapevo o davo per scontate.

Poi arrivano Stefano (il manager dell’artista ndr) e BVRGER. Raccontaci brevemente come vi siete incontrati.

Ci siamo incontrati praticamente per puro caso, o quasi. Conobbi Stefano perché abbiamo una grande passione in comune oltre la musica, il wrestling. Una mia amica mi disse che un’altra nostra amica in comune si stava frequentando con questo ragazzo a cui piaceva il wrestling come me, così me lo fece conoscere. Da subito ci fu una grande connessione che sfociò in una grandissima amicizia. Un giorno Stefano organizzò un BBQ a casa sua, dove venne anche BVRGER. Così, appena scoperta la sua professione, gli chiesi subito di collaborare. Anche con lui c’è stata immediatamente sintonia, in studio e fuori.

Anche l’EP, che uscirà nel 2019, sarà incentrato sul tema del fitness? Con Leg Day vorresti iniziare a tracciare la strada per un nuovo sottogenere?

Più che un sottogenere, voglio esplorare tutte le sfaccettature della musica black che mi appassionano e che mi rappresentano. Come dicevo prima non voglio fossilizzarmi su un solo genere perché tira o perché va di moda. Per quanto possibile, vorrei mantenere la creatività al primo posto, anche perché è proprio la creatività la benzina per ciò che faccio. Non voglio limitarmi, vorrei esplorare il più possibile per mantenere la mia musica sempre viva e interessante.

Il singolo esce per una grande etichetta, secondo te qual è il punto forte del tuo progetto?

Secondo me manca una figura artistica come la mia, che va a toccare tutte quelle sfaccettature di un mondo, la black, che adesso si sta focalizzando troppo sulla trap, trascurandone aspetti altrettanto interessanti con i quali si può fondere. Voglio essere quell’artista, ambizioso a tal punto da puntare sempre al massimo, umile abbastanza da voler sempre imparare da chi ne sa di più.

Parli della palestra come di un “salvavita formativo e motivazionale, che mi ha evitato di percorrere strade poco felici.” Se a 17 anni non ti fossi iscritto in palestra secondo te dove saresti adesso?

Non ne ho idea. Il contesto in cui viviamo aiuta soltanto a tenere a bada le brutte tendenze o a stimolare quelle buone. Come la famiglia, gli amici, le situazioni che vivi intorno a te, sono condizionanti ma mai determinanti. Probabilmente sarei allo stesso punto di dove sono ora, magari avrei fatto strade diverse e conosciuto persone diverse. Ma alla fine Dave sarebbe sempre stato Dave.


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