Jean-Claude Juncker, President of the EC, receives Sebastian Kurz, Austrian Federal Chancellor

Proteggere, tutelare, difendere sono verbi intrinsecamente legati alla politica, ma proteggere da chi? Proteggere che cosa?

Proteggere, tutelare, difendere sono verbi intrinsecamente legati alla politica, disciplina chiamata a mantenere in sicurezza i gruppi umani, a fronteggiare le minacce che attentano alla sussistenza della comunità. Minacce che possono essere di varia natura e sono, per definizione, negative, nocive e dannose, eventualmente letali.

L’Austria, giunta agli ultimi mesi di presidenza del Consiglio a Bruxelles, ha imperniato il suo semestre su una formula concisa: “Un’Europa che protegge.”

Obiettivo vitale per l’Unione, quello di assicurare una serena esistenza ai cittadini, ma che necessita di un’integrazione. Proteggere da chi? Proteggere da cosa?

Il console generale Wolfgang Spadinger, ospite dell’Università degli Studi di Milano, espone con pacatezza e accento marcato la risposta che il governo austriaco ha inteso fornire in questi mesi. Pronuncia in apertura una frase, che è ormai un luogo comune — “bisogna ripristinare la fiducia nelle istituzioni” — e l’Austria ha interpretato il compito adottando la retorica dell’Europa come roccaforte.

Dei tre punti focali dell’agenda del semestre delineati da Spadinger, due sono connessi alla gestione dei flussi migratori. Per Vienna, l’Europa che protegge è l’Europa che garantisce la sicurezza dei confini, la lotta contro l’immigrazione illegale e l’impegno per la stabilizzazione dei Paesi limitrofi. Questa è l’unica minaccia. La sicurezza è schiacciata sulla figura del migrante, sui muri alla frontiera, perde qualsiasi connotato sociale ed economico o ambientale. “Abbiamo aumentato il numero dei rimpatri” — continua il console, elencando i risultati raggiunti — “e abbiamo introdotto l’ETIAS”.

L’ETIAS (European Travel Information and Authorisation System) è un sistema di controllo che prevede il vaglio degli ingressi per i viaggiatori residenti in Paesi extra-Schengen senza obbligo di visto: prima della partenza, chi voglia raggiungere l’area Schengen dovrà compilare una domanda online. Al fine di impedire l’arrivo ai soggetti ritenuti pericolosi, i dati dei richiedenti verranno confrontati con quelli presenti nelle banche dati Ue e Interpol prima del rilascio dell’autorizzazione all’accesso, anche se questa “non conferirà automaticamente un diritto d’ingresso o di soggiorno; è la guardia di frontiera che prenderà la decisione finale.”

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La protezione dei confini europei in chiave austriaca si declina in un’attenzione particolare per l’area dei Balcani, su cui si sono concentrati sforzi notevoli da parte del Consiglio. Oltre alla prosecuzione dei negoziati per l’adesione all’Unione di Montenegro e Serbia — gravati per quest’ultima dall’annosa questione kosovara — si sono siglati negli ultimi mesi accordi per l’invio di contingenti Frontex in Serbia, Macedonia e Albania al fine di contenere gli arrivi di migranti attraverso la via balcanica.

Allo spostamento del confine europeo ai Balcani occidentali fa da corollario il piano d’azione per la prevenzione del terrorismo in questa stessa regione, che negli ultimi anni ha visto un significativo aumento della radicalizzazione. Ma alla proiezione tipicamente austriaca verso le coste dell’Adriatico orientale fa da contraltare un silenzio assordante circa il Mediterraneo.

Un silenzio che lambisce, in realtà, tutta la lunga serie di interessi e posizioni divergenti emersi negli ultimi mesi tra l’Italia e ciò che rimane dell’antico impero asburgico. Il non detto parla anche del Brennero presidiato dall’esercito austriaco, nonostante il console, in buona fede, abbia descritto un Paese geograficamente e storicamente vocato a farsi “ponte” fra culture e popoli. Parla di un confine interno che da decenni dovrebbe essere liberamente attraversabile e che nel corso dell’ultimo anno più volte non lo è stato, un confine messo sotto pressione dal disegno di legge per la doppia cittadinanza austriaca ai sud-tirolesi dell’Alto Adige.

A seguito di una domanda sul punto, Spadinger cerca di ridimensionare la preoccupazione per una proposta che ha suscitato risentimento a Roma. “La doppia cittadinanza è uno strumento utilizzato in molti altri Paesi europei per tutelare le minoranze. Dopodiché, non pare che il tema sia particolarmente sentito dagli altoatesini, o, perlomeno, alle elezioni in Alto Adige i partiti politici che chiedevano la doppia cittadinanza non hanno riportato il successo sperato. Ad ogni modo, l’iter della legge sembra essere rallentato”.

I rapporti tra Italia e Austria, in effetti, negli ultimi anni non sono probabilmente mai stati tanto tesi come oggi, a causa di una caratteristica comune: la compresenza alla propria testa di leader “sovranisti”. Il cortocircuito del sovranismo europeo si manifesta una volta di più in questi giorni, con l’aspra bocciatura della manovra finanziaria italiana da parte di Orban in Ungheria, di Alternative fuer Deutschland in Germania, e proprio di Sebastian Kurz in Austria.

“L’Austria soffre di un certo deficit nei conti pubblici” — spiega Spadinger — “e il tentativo dell’Italia di espandere il proprio debito, mentre l’Austria da anni tenta di ridurlo, ha destato notevoli proteste.”

Il 78% di rapporto deficit/PIL segnato da Vienna quest’anno non è peraltro paragonabile col nostro 131%. “Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale ci dicono che un aumento del deficit dovrebbe accompagnarsi a riforme strutturali, che in questo caso mancano. È questo che all’opinione pubblica austriaca non torna. Anche perché in Austria il reddito di cittadinanza esiste e il dibattito attorno alla sua effettiva efficacia è molto acceso.”

Spadinger nel suo discorso di apertura non cita la manovra italiana, né fa cenno a cosa accadrà nei prossimi due mesi, nonostante il Consiglio sia un organo chiamato direttamente in causa nella procedura di infrazione, e glissa la domanda in merito.

Probabilmente non sarà la presidenza austriaca, ma quella rumena a gestire gli interventi del Consiglio nella procedura.

Ancora una volta però è il non detto a rilevare: non è tanto ciò che appare nella presentazione dell’agenda e dei risultati del Consiglio, ma ciò che non vi compare a pesare drammaticamente nel bilancio del semestre — l’ultimo semestre di presidenza prima delle elezioni del Parlamento Europeo che cambieranno il volto dell’Unione.

Non si è raggiunto un compromesso per rivedere gli Accordi di Dublino, tantomeno si è arrivati a definire una politica d’accoglienza comune.

L’insistenza sul confine e sulla minaccia dall’esterno, senza l’inserimento di punti di rilevanza interna tra le priorità, non è solo il simbolo di un’Europa trincerata, ma di un’Europa che rischia la disgregazione in nome della sovranità nazionale e cerca di contenere il proprio collasso.