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Al Mufoco di Cinisello Balsamo la fotografia amatoriale si occupa di vita attiva e rappresentazione di spazi urbani.

Il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo — Mufoco — quest’anno ha dedicato spazio a tre eventi rivolti a un pubblico non prettamente specialistico, curati da Matteo Balduzzi. I tre eventi sono la mostra SUPERCITY! Cusanello San Dugnano, visitabile fino all’11 novembre, la serata Photo jouer svoltasi lo scorso 17 giugno a Cinisello Balsamo e la giornata-diapo wonderful summer on a solitary beach, che si terrà direttamente all’interno degli spazi del Museo. Insieme a quattro circoli fotografici di Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Paderno Dugnano e Sesto San Giovanni, si è provato a costruire un dialogo con l’intento di riavvicinare istituzioni e pubblico locale.

Attratto da questo percorso, “nato nel novembre 2017, andando a bussare alla porta dei diversi circoli fotografici che volevamo coinvolgere” ho chiesto a Matteo Balduzzi di poter scambiare qualche parola all’interno del Museo, gironzolando tra sale e uffici. Gli spiego che l’interesse verso queste iniziative è nato quando sono venuto a conoscenza di quella che io chiamo giornata diapo: una giornata, “dalle 15 alle 22, non-stop”, in cui chiunque può portare una selezione di fotografie scattate durante la propria estate e raccontare qualcosa in dieci minuti. 

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Un anno fa su the Submarine abbiamo proposto una operazione simile — con qualche differenza — con cui abbiamo realizzato un album delle vacanze condiviso.  Abbiamo chiesto ad alcuni lettori di inviare una foto del momento più bello delle loro vacanze, aspettandoci che le foto potessero essere belle, non belle o non esserci del tutto. Ne è venuto fuori un piccolo album dove sono state raccolti ricordi e legami con luoghi, persone, cose. Non è stato un lavoro esaustivo né tantomeno con intenti artistici; è stato un esperimento, un gioco, fatto di fotografie e parole.

Nell’attesa di Matteo mi trovo a chiacchierare con Francesca Minetto — Servizio educativo del Museo — sul perché le serate diapositive siano scomparse negli anni, e anche abbastanza in fretta. Concordiamo sul fatto che le fotografie oggi sono più facilmente accessibili, disponibili, e che dunque fare una serata sarebbe un’occasione per rivedere le fotografie. Forse per questo motivo non si creano più momenti di questo tipo: semplicemente seguendo i nostri amici e parenti sui social sappiamo già dove sono stati, cosa hanno mangiato e cosa hanno visto.

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Quello che mi ha fatto bussare alla porta del Museo è l’interesse nei confronti della fotografia, diciamo così, marginale — se preferite, chiamatela pure fotografia amatoriale, inconsapevole, inutile, social, conversazionale. A prescindere dal nome, c’è da parte di tanti utilizzatori della fotografia un numero immenso di fotografie non viste, uno scarto tra le fotografie realizzate e osservate, che è molto ampio. Quante fotografie le persone scattano al mondo? E quanti autori e quante fotografie abbiamo poi l’occasione di vedere appese su un muro, in una mostra, evento o museo? La differenza è abissale. Ho provato a fare qualche conto sulla base delle statistiche: al mondo vengono scattate 880 miliardi di foto all’anno, Cinisello Balsamo ha una popolazione di 75 mila abitanti.

Considerando che in mostra ci sono 800 fotografie — tante, per una mostra — possiamo dire che nell’arco temporale della mostra, 5 mesi circa, a Cinisello sono state scattate circa 4 milioni di fotografie. Tirate voi le conclusioni.

Passiamo dunque alla mostra SUPERCITY! Cusanello San Dugnano che, come afferma Giorgio Barrera, uno dei tre co-curatori insieme a Michele Smargiassi e Renata Ferri, “non è una città inesistente o invisibile. Esiste, anche se non è su nessuna mappa.  Questa città si crea attraverso le fotografie, con un lavoro condiviso che ci racconta, grazie a uno sguardo interiore, il territorio senza veli”. Si tratta di una indagine interna dell’area a Nord di Milano, realizzata da coloro che la abitano direttamente. Da quel magma di fotografie possibili dunque è possibile far nascere qualcosa, se gli si dedica del tempo, se lo si osserva, perchè c’è sempre un motivo per cui una fotografia è stata realizzata.

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Balduzzi ci racconta che il primo impatto con i circoli coinvolti in questo progetto non è stato facile. “Abbiamo chiesto ai circoli di poterci dare un momento per spiegare loro quale fosse la nostra idea. Da una parte io raccontavo nei dettagli l’idea che stava dietro, affermando soprattutto la volontà di riportare gli amatori e coloro che vivono in queste zone all’interno del museo, per riavvicinarli.” Parlando di quanto e come hanno coinvolto effettivamente i circoli sottolinea che “essendo i circoli abbastanza chiusi, non è stata sempre immediata la risposta. Ci è capitato di entrare in un circolo dove dopo aver parlato per un’ora davanti ad una platea silenziosa il presidente ci ha semplicemente ringraziato dicendo che ne avrebbero parlato nella riunione seguente e che ci avrebbero fatto sapere. Naturalmente la risposta è stata un secco no”.

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Da questi incontri alla realizzazione della mostra sono sorti altri momenti di confronto, per riuscire a trovare la forma finale. Quello che è visibile è il risultato di una selezione tra oltre 3000 fotografie ricevute da parte dei circoli, un lavoro che ha coinvolto quasi cento persone tra fotografi e curatori. A prima vista può sembrare un enorme collage ma, più ci si avvicina, più si riescono a cogliere le singole fotografie e i legami che si creano tra l’una e l’altra. “Non potevamo di certo pensare di prendere le 10 fotografie, stamparle 100×100, incorniciarle con passe-partout bianco e pretendere di farle diventare opere d’arte. Con il ruolo che ha il Museo avremmo potuto farlo, ma non è questo il senso di questo progetto.”

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“Allo stesso modo non abbiamo voluto fare una cosa come Erik Kessels o altri autori contemporanei: molti di fatto le fotografie delle proprie installazioni non le guardano neanche, sono solo uno strumento per fissare un’idea idea in un’opera.” Matteo sottolinea poi come sia stato “un grande lavoro, oltre alla selezione, anche l’aspetto curatoriale vero e proprio. C’è stato un momento in cui abbiamo dovuto iniziare a trovare un ordine per tutto. All’inizio, per esempio, ci siamo resi conto che tante fotografie inizialmente riguardavano il centro della città di Milano, le zone più moderne, paesaggi architettonici e dettagli di strada; mancava l’aspetto sociale vero e proprio. Abbiamo chiesto dunque ai circoli di provare a scavare nei loro archivi per trovare materiale che riuscisse a raccontare anche questo.” Trovati i contenuti naturalmente bisognava fare il passo successivo, ovvero quello di mettere ordine fisico e non solo di senso, pensare all’esposizione tenendo ben presente le pareti: “su un foglio, ho abbozzato le diverse pareti in mostra segnando formati, supporto e cornici per ognuna di queste foto”.

La mostra si apre con una prima parete con circa 50 foto dell’area più gettonata tra i circoli, Piazza Gae Aulenti. Sebbene la mostra parli di un’area extraurbana, questo apparente off-topic racconta anche del legame di questi cittadini con Milano. Salendo, prima di entare nel grande salone, si trovano campi ormai lontani dal centro, che guardano una volta ancora i grattiacieli prima di voltarsi e volgere lo sguardo verso le montagne, e dunque entrare in paese.

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Le sala principale è tutta da scoprire, solo qui ci sono circa 700 fotografie di ogni gusto e genere, ma che nel loro complesso spingono l’osservatore a guardare ogni singola fotografia per trovare connessioni e rimandi con quelle che gli sono più vicine — e non. L’operazione è riuscita, l’impatto è forte e ci si dimentica presto dell’origine amatoriale di queste fotografie; prevale la narrazione di un luogo ma anche di un sentimento di e per un luogo degli stessi fotografi. Una sala a parte è invece dedicata al racconto di una giornata tipo. Sempre ai 4 circoli è stato chiesto di impegnarsi insieme per riuscire a raccontare cosa succede nel corso della loro giornata. Una proposta ed una sfida interessante che ha portato, inevitabilmente, a sondare la vita di ognuno in maniera ancora più intima e personale.

In questa rassegna, abbiamo detto che si è svolto anche un gioco. Le squadre, composte dai circoli fotografici, si sono sfidati sulla storia e le curiosità che girano attorno alla fotografia. Non solo grandi autori ma anche piccoli aneddoti. Gentilmente il Museo ci ha concesso il video che riassume la giornata e la sfida. Giudici, i tre curatori. Matteo ci racconta che aveva già fatto un’esperienza simile e spera che questa possa diventare un’occasione di incontro negli anni.

C’è una domanda che ho voluto da subito rivolgere a Matteo: con la chiusura della mostra si sarebbero chiusi anche i rapporti con i circoli? “L’arte può servire per innescare certi processi; noi restiamo in contatto con i circoli, ma d’altra parte serve che le persone coinvolte portino avanti questo scenario. Abbiamo chiesto per esempio ai vincitori dell’edizione di quest’anno del Photo Jouer di occuparsi dell’organizzazione dell’anno prossimo, così che diventi una sorta di tradizione.”