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Le risposte possibili sono due:
1) No.
2) È ancora presto, può andare tutto molto peggio di così.

È una tentazione che periodicamente riaffiora, sin dai primi tempi seguiti al suo brusco allontanamento da Palazzo Chigi: una certa nostalgia dei “bei tempi andati” dell’era Berlusconi si sentiva già durante il governo Monti, specialmente dopo l’approvazione di provvedimenti impopolari come la riforma Fornero (che pure fu votata dall’allora Pdl). Ma se a quel tempo, comprensibilmente, la tendenza a rimpiangere il Cavaliere veniva quasi esclusivamente dal suo partito, dai giornali a lui vicini e dal blocco più fedele del suo elettorato, con il passare degli anni il sentimento ha contagiato settori sempre più ampi dell’opinione pubblica, anche tra chi l’aveva sempre considerato il nemico politico numero uno.

Un po’ per scherzo, un po’ per davvero, oggi è facile sentir dire o leggere in giro che tutto sommatoera meglio quando c’era Silvio.” La causa principale è da cercare sicuramente nel breve raggio della nostra memoria storica, unita ai cambiamenti repentini e vertiginosi che hanno stravolto il panorama politico italiano negli ultimi 7 anni. Ma da parte dei miei coetanei, nati nei primi anni Novanta e maturati politicamente nell’epoca d’oro dell’antiberlusconismo, c’è anche un certo sentimento di nostalgia romantica: si rimpiange Berlusconi per rimpiangere un periodo ormai tramontato, in cui le cose in Italia non andavano benissimo, certo, ma il nemico era chiaro e si aveva almeno l’impressione che ci fosse un certo fermento politico e culturale a sinistra. Si rimpiangono, per farla breve, i tempi del liceo.

Caduto ma mai del tutto eclissatosi dalla politica nazionale, Berlusconi è andato incontro a un declino morbido, accompagnato da una sua tacita ma palpabile riabilitazione, il cui momento più significativo si è avuto probabilmente quando si è fatto ritrarre mentre allattava e baciava degli agnellini per la Pasqua dell’anno scorso.

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Tutto ciò che maggiormente gli si rimproverava quand’era al governo — il battutismo, le volgarità, gli scandali sessuali, la scarsa credibilità internazionale — sembra renderlo più simpatico ora che ha l’apparenza di un vecchio inoffensivo. Le sue sparate durante l’ultima campagna elettorale, invece che suscitare indignazione o levate di scudi, hanno suscitato semmai un senso di pena e compatimento.

Ora che ciò che resta dell’opinione pubblica progressista in Italia si sta coalizzando contro un nuovo nemico politico e simbolico, che sembra molto più temibile e pericoloso del primo, la tentazione si fa ancora più forte: di fronte alla chiusura dei porti alle navi umanitarie, un’escalation di violenze razziste senza precedenti, un ministro della Repubblica che indossa tranquillamente merchandising neonazista — non erano meglio i tempi del bunga bunga e del lettone di Putin?

Le risposte possibili sono due:
1) No.
2) È presto, può andare tutto ancora molto peggio di così.

Sulla seconda, lasciamo che il tempo faccia la sua parte. Per la prima, prendiamo ad esempio il tema più caldo su cui si sta giocando in questi mesi lo scontro con il governo: la gestione dell’immigrazione. Qualcuno recentemente ha recuperato questo vecchio video in cui Berlusconi, dopo il drammatico affondamento della nave albanese Katër i Radës nel 1997 (in cui morirono 81 persone), praticamente si commuove dicendo “non possiamo accettare che siano ributtati in mare questi, sono cose indegne di noi.”

All’epoca Berlusconi era all’opposizione e aveva buon gioco a mostrare tutta questa umanità. Ma com’è andata poi quand’è tornato al governo e si sono intensificate le migrazioni dall’Africa? Non benissimo: anzi, come ha fatto notare Francesco Cancellato su Linkiesta, se l’immigrazione in Italia si è trasformata in una permanente “emergenza” gran parte della responsabilità è da attribuire proprio ai governi Berlusconi — Alleanza Nazionale e Lega Nord inclusi.

In primis la Legge Bossi-Fini: approvata il 30 luglio 2002, è ancora la normativa che regola l’ingresso dei cittadini extra-comunitari nel nostro paese, vincolando la concessione del permesso di soggiorno al possesso di un contratto di lavoro regolare prima di mettere piede su suolo italiano — una condizione praticamente impossibile da soddisfare, specialmente per chi proviene dal continente africano. Ragion per cui un numero sempre maggiore di persone è stato costretto — ed è costretto tuttora — a raggiungere l’Italia per via illegale, sperando poi di farsi riconoscere qualche forma di protezione internazionale

La rigidità della Bossi-Fini ha finito per favorire proprio i fenomeni che intendeva contrastare, funzionando a tutti gli effetti come una “fabbrica di clandestinità.” Nel 2007 la maggioranza di centrosinistra tentò una riforma che si arenò per la caduta del governo Prodi l’anno successivo. Tornato al governo Berlusconi, nel 2009 la normativa è stata inasprita con l’introduzione dell’assurdo reato di clandestinità pensato da Maroni e Alfano — che poi il governo Renzi ha mancato di abolire. Nonostante raccolte firme, leggi di iniziativa popolare e il rinnegamento da parte dello stesso Gianfranco Fini, la legge è ancora al suo posto e l’attuale maggioranza si guarderà bene dal metterci mano.

Ma su questo fronte i governi Berlusconi hanno collezionato vari record, tra gli accordi con Gheddafi e i respingimenti in mare voluti dal ministro dell’Interno Maroni, per i quali l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti umani nel 2012. Allora non c’erano ancora navi di Ong da trasformare in capri espiatori e le teorie del complotto su Soros e il piano Kalergi non erano diffuse come oggi, ma la sostanza è la stessa.

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D’altra parte, cosa può mancarci seriamente del berlusconismo? Le barzellette ce le abbiamo: il maggiore azionista del governo è un partito fondato da un comico. I giornali esteri che ci prendono in giro? Ce li abbiamo. Un presidente del Consiglio che si rende ridicolo durante i vertici internazionali? Eccolo. Il filo-putinismo grottesco? C’è. Scontri con la magistratura in seguito a problemi giudiziari che coinvolgono un partito di governo? Ovviamente.

A ben guardare, insomma, i tempi non sono poi cambiati così tanto. E anche il Parlamento, dalla mortadella per festeggiare la caduta di Prodi al “presidente Fica,” dimostra di aver saputo mantenere un ottimo livello nonostante il rinnovo di gran parte dei suoi membri.

Ma la ragione principale per cui non ha senso rimpiangere Berlusconi, oltre alle sue pesanti responsabilità sulla situazione attuale, è che Berlusconi non se n’è mai andato, e continua a fare danni: Forza Italia governa con la Lega praticamente dovunque a livello locale, la campagna elettorale l’hanno fatta insieme utilizzando lo stesso linguaggio, e l’attuale governo non sarebbe nato senza il beneplacito di quello che formalmente è ancora il secondo polo di una virtuale coalizione di centrodestra. Non solo: lo sdoganamento del razzismo più becero non è certo un’invenzione di Salvini, e gran parte della retorica di odio montata contro gli stranieri negli ultimi anni è stata portata avanti con zelo dalle peggiori trasmissioni delle tv berlusconiane e dai giornali della sua area.

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Proprio sul sito del quotidiano di proprietà del fratello Paolo scrive abitualmente come blogger Marcello Foa, il candidato indicato dal governo come nuovo presidente Rai ma bocciato in Commissione di Vigilanza proprio grazie alla contrarietà di Forza Italia. C’è poco da festeggiare: l’opposizione di Berlusconi non è stata motivata dalle imbarazzanti prese di posizione di Foa, ma soltanto da questioni procedurali — una scaramuccia nel centrodestra per ricordare la propria esistenza a Matteo Salvini, colpevole di averlo scelto senza consultare l’alleato. Se poi si tratta di un complottista compulsivo convinto che Hillary Clinton abbia partecipato a cene sataniche, poco importa. Più che un colpo di coda, sembra un canto del cigno: Berlusconi si rende conto che il proprio peso politico diminuisce drasticamente giorno dopo giorno, mentre Salvini cannibalizza il centrodestra e conquista il suo elettorato. Quando il parricidio sarà compiuto, però, cerchiamo di non dimenticarci che cosa l’ha reso possibile.


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