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Il rap di Sfera Ebbasta come lettura banalizzante di una città, Cinisello Balsamo, che ha nella contraddizione il suo fattore trascinante. Con le elezioni alle porte, le storie di comunità che intrecciano il vissuto urbano fermeranno un blocco populista che ha raggiunto il 49%?

Se a Milano parli del quartiere Crocetta, subito la mente corre ai palazzi signorili dai giardini lussureggianti e dagli antichi fregi sulle facciate. Ma se a Cinisello Balsamo dici “vado in Crocetta,” ti si apre ben altro immaginario. O meglio, l’immaginario si chiude su una realtà di cemento e condomini megalitici.

“La Cruseta,” come la chiamano gli abitanti che ricordano i vecchi toponimi dialettali, è un triangolo di asfalto e calcestruzzo su cui insistono due arterie di asfalto, rumore, smog e bruttezza: l’Autostrada Torino-Venezia e viale Fulvio Testi. Milioni di auto che si rincorrono senza pace, camion che arrancano in code interminabili, scooter che azzardano impossibili scorciatoie per portare in ufficio manager gentrificati in periferia. E più in là palestre 24 ore, meganegozi di abbigliamento e mobili, distributori self service e l’immancabile Carrefour 7 su 7.

Sfera Ebbasta è nato lì. E sempre lì ha girato il video che ha drammatizzato il suo pezzo “Ciny.” Quel video dove lui e un gruppo di ragazzi dalla mal simulata aria truce, attorniati da un nugolo di bambini con lo sguardo finto-favelas, alzano la mano formando una “C” con pollice e indice.

 

Un simbolo e una canzone diventati così noti nella Z-Generation di tutta Italia che, quando mi capita di tenere corsi di alternanza scuola lavoro anche molto lontano da casa, presentandomi scherzosamente con la frase “mi chiamo Jurij e vengo da Cinisello,” molti adolescenti alzano la mano imponendo una “C” in aria, e sorridono con un cenno di intesa. Del tipo: ci siamo intesi che vieni da quel mondo lì, da una periferia che è ruvida, spietata, una sorta di Bronx dove si scappa dagli sbirri in due sullo scooter, si vive di espedienti e si fumano le canne al parchetto. E lì finisce il tuo mondo.

O forse lì finiva il mondo di Sfera. O meglio, lui ci ha raccontato che il suo orizzonte terminasse lì, nonostante ora si muova con evidente confidenza nel suo nuovo status di re della trap sullo scenario nazionale e globale. Ma la narrazione che Sfera fa di Cinisello Balsamo è piatta, banalizzante e stereotipata. Non restituisce nulla della vividezza (e della bellezza) del tessuto umano e sociale di questa città. Perché è vero che alla Crocetta, il fu quartiere di Sfera, la realtà cantata dal rapper esiste. Certo. Ma è anche vero che sbocciano come fiori altre situazioni, condizioni e convinzioni.

C’è la sartoria sociale, che raccoglie persone di decine di etnie diverse, unite dal desiderio di riscattarsi con il loro lavoro paziente e prezioso. C’è il CAG Icaro, centro giovanile dove i ragazzi si ritrovano per studiare, fare web radio, suonare, imparare giocoleria, ballare ritmi afro. C’è lo sportello Assistenza familiare del comune, come punto di mediazione fra ricerca e offerta di lavoro nel settore della cura anziani.

Eppure Sfera non sembra voler raccoglie le contraddizioni del suo quartiere, le sfide lanciate da chi condivide gli stessi metri cubi del suo cemento. Il musicista è rimasto fermo nel suo mondo di purple drank e rap posticcio.

Forse non è mai uscito da quel quartiere (prima di fare un bel successo, almeno). Forse non si è mai accorto di vivere nel nono comune della Lombardia per numero di abitanti (Cinisello Balsamo), dove è stato inaugurato il primo museo italiano di fotografia contemporanea e dove il Pertini, centro culturale degno di una metropoli nord europea, fa centinaia di migliaia di presenza ogni anno.

Forse non si è mai tuffato nel melting pot di questa città — e non parlo della mescolanza di etnie di oggi, perché sarebbe troppo scontato fermarsi qui. Ma dell’ondata precedente, quando negli anni Sessanta e Settanta Cinisello Balsamo ha visto quintuplicare i suoi abitanti per la forte immigrazione dalle regioni del Sud, ma non solo da lì: veneti, ferraresi, mantovani, sardi… a Cinisello si arrivava dappertutto. Attratti dalla fabbriche di Sesto San Giovanni, decine di migliaia di nuovi cittadini popolavano questa nuova ma antica, grande città dormitorio.

È un vissuto collettivo fatto di un intreccio di storie che ritrovi ancora oggi. Le comunità di quella immigrazione hanno una vita sociale molto ricca. I sardi hanno la loro associazione, il loro circolo. I marchigiani? Lo stesso. E qual è il gruppo di mazzarinesi più numeroso fuori da Mazzarino in Sicilia? È quello di Cinisello, naturalmente, sono sei mila.

 

Da una così ricca mescolanza nascono anche itinerari di innovazione sociale e commerciale, come quella che ha per protagonista la storica macelleria del quartiere Crocetta che, pochi anni fa, ha deciso di macellare la carne anche secondo il rito islamico per poter restare su un mercato di prossimità ormai trasformato dalla nuova immigrazione.

E del resto questa è una città dove le storie sono tante, affascinanti, anche antiche. Era di Balsamo quel contadino che assassinò l’inquisitore di Milano Pietro da Verona, nel lontano 1232, e che poi morì beato nella lontana Forlì. Ed erano di Balsamo le famiglie borghesi che, agli albori del Novecento, aiutarono i contadini nella lotta per il diritto alla casa contro i proprietari terrieri. Nacquero così le scintille del movimento cooperativo che ancora oggi, a 115 anni di distanza, testimonia la sua forte presenza con tremila famiglie che abitano in case ad affitto agevolato: la più grande cooperativa di abitanti di tutta Italia.

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Sono storie che si intrecciano, fondono e rinnovano. Ed ecco perché, al cospetto di questo immenso patrimonio umano, la narrazione suburbana di Sfera Ebbasta risulta così riduttiva. Nasce da una metonimia che sovrappone le bruttezze di una parte alla ricchezza del tutto. Uno sguardo perimetrato che perde di vista le contraddizioni del territorio, per costruire una favola rap dal successo piuttosto immeritato. Perché poi alla fine, se proprio devo accettare uno sguardo stereotipato e scegliere un inno di Cinisello, io eleggo quello del misterioso Tripla C. Uscì qualche anno fa, nel 2012, su Youtube. E ci fece impazzire tutti, a noi di Cinisello. Tutti a cercare di capire chi fosse l’autore. E si vociferava che girasse attorno a un gruppo di amici di via Monte Grappa. Ma le bocche sono rimaste cucite.

Il pezzo è una parodia ben riuscita dell’aggressiva “Black and Yellow” del rapper americano Wiz Khalifa e strappa più di un sorriso, proprio perché è un gioco, una boutade. Che però, anche nel suo essere puro divertimento demenziale, si riferisce a una comunità: “Dalla Crocetta a Sant’Eusebio il coro è sempre quello,” unendo idealmente nello stesso canto due dei sette quartieri in cui è divisa la città.

Sette quartieri. E in ogni quartiere storie di vita, sudore e comunità. Come i muratori impegnati nella costruzione dei palazzoni di Balsamo negli anni del boom che decisero di fermarsi qui e si costruirono un folto gruppo di case più basse nella zona che oggi si chiama Borgo Misto. O come gli abitanti dei palazzi della cooperativa in via Mozart, che nei fine settimana si misero a dissodare il campo di fronte a casa per farci un campo da calcio, per loro e per i loro figli.

Questo patrimonio di storie e di vite ancora resiste: è forte e ben presente.

Chi si ricorda La Storia Infinita, ricorderà anche il Nulla, quella sorta di nebbia che avanzava divorando i sogni e le speranze degli esseri umani, riducendo in polvere il loro immaginario. Anche in questo pezzo di periferia – che si appresta a diventare la “Porta della città metropolitana” con l’arrivo delle linee MM1 e MM5 e la costruzione di un hub enorme dell’entertainment e del commercio – il populismo sta facendo la sua avanzata, come hanno mostrato i risultati usciti dalle urne il 4 marzo. Anche se siamo a soli dieci chilometri dall’Area C di Milano, dove la Bonino ha preso l’8% e il PD è arrivato primo, ogni chilometro sembra scorrere in progressione geometrica, tracciando una distanza incolmabile, perché a Cinisello ha vinto il Movimento 5 Stelle (29%) e la Lega si è posizionata molto bene (20%), oltre la media nazionale. Siamo periferia politica, abbiamo un blocco fascio-populista che è arrivato a sfiorare il 50%.

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I colori sono vividi. E il font vintage è molto gustoso. Ma la storia di questo murales è parecchio bruttarella perché, dove oggi leggiamo “Crocetta”, prima stava scritto “ACAB.” La libertà di espressione di un writer è stata annichilita da un dibattito politico provincialista e miope.

E bussa alle porte il test elettorale delle amministrative. Si vota a giugno 2018, mentre si stanno contrapponendo due narrazioni della città: quella del centrosinistra, posizionata su uno storytelling molto leggero in alcuni canali cui fa da contraltare un tono molto muscolare e rivendicativo – interessante bipartizione – e quella del centrodestra a trazione leghista, che si concentra su una rappresentazione molto dark della città (insicura, sporca, mal gestita) e spera nella sindrome Sesto San Giovanni.

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La rivoluzione del “buonsenso”

Staremo a vedere se dopo la Stalingrado d’Italia cadrà anche questa roccaforte monocolore dal 1945. La paura più forte è che un uragano di destra provincialista, oscurantista, populista e passatista spazzi via le storie antiche e moderne di questa città, per costruire una post-realtà fatta di individualismo, paura e risentimento, semplificazione e brutalizzazione dell’esistente, delle categorie del pensiero e della nobile prassi politica. E sarebbe un appiattimento ben più pericoloso e inquietante di quello operato da un pezzo rap.


Foto e video di Jacopo Musicco.

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