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in copertina, foto dalla pagina Facebook di Resome

Da qualche anno numerose associazioni di volontari e attivisti organizzano a Parigi corsi per migranti e sans papier, non solo di lingua francese, ma anche di matematica, biologia e chimica, per preparare a una formazione universitaria.

“E tu, sai come si scrive il mio nome?” mi chiede Amir*, 23 anni, dopo esserci presentati e scambiati una stretta di mano. Mi sono sentita obbligata a correggere la pronuncia del mio nome che per lui come per tutti i francofoni, anche se recenti, è diventato “Frederica.” Si presenta sorridente e un po’ intimorito al quinto piano di una delle torri che ospita la sede dei sindacati del Campus Jussieu, nel quinto arrondissement di Parigi.
Nell’aula siamo una ventina di persone. Alcuni, la maggioranza, sono migranti provenienti dall’Africa centrale, in Europa già da qualche anno ma stabilitisi in Francia da meno tempo, come Amir. Altri, come me, sono tra gli studenti, i ricercatori e i professori dell’Università Pierre e Marie Curie (detta anche Paris 6) che hanno deciso di diventare volontari per l’associazione Ouvrir P6 (Aprire Paris 6).

Lo scopo dell’incontro è di conoscere alcuni dei migranti che, a partire da aprile, frequenteranno una volta a settimana i corsi di matematica, biologia e chimica organizzati dai volontari nei locali del Campus Jussieu. È un’iniziativa nuova e per il momento unica a Parigi, ma che si inserisce in un contesto molto più ampio: quello delle associazioni di studenti francesi che vogliono convincere le università ad aprire le loro porte ai migranti. Il che permetterebbe loro di diventare un luogo di riferimento per l’integrazione, la formazione e l’educazione dei nuovi cittadini francesi ed europei.

Collettivi e associazioni che organizzano corsi, soprattutto di francese ma non solo, rivolti a migranti, rifugiati ed esiliati in Francia esistono già da qualche anno. Tra i primi a dare una struttura a queste iniziative di integrazione è stato il Resome (Réseau Etudes Supérieures et Orientation des Migrant.e.s et Exilé.e.s, Rete Studi Superiori e Orientazione dei/delle Migranti ed Esiliat*). Sul loro sito, nella pagina di presentazione, si descrivono come un “collettivo costituito da studenti, professori e volontari, d’associazioni e gruppi informali, che lavora al fianco di rifugiati e migranti per favorirne l’accesso all’insegnamento superiore e facilitarne l’orientamento […] e l’apprendimento della lingua francese per tutt*”. Si pongono in particolare come obiettivo quello di favorire la creazione di programmi d’integrazione dei migranti nella realtà universitaria tramite collettivi e associazioni per l’insegnamento della lingua francese.

Tra i membri della rete, almeno una decina di associazioni costituitesi in altrettante università parigine, si nota il Programme Étudiant Invité dell’École Normale Supérieure (ENS), un’istituzione tra le università francesi al pari della nostra Scuola Normale Superiore di Pisa. Il programma, gestito dall’associazione MigrENS, organizza corsi intensivi di francese grazie alla formazione di binomi studenti/migranti per il loro accompagnamento personalizzato non solo nell’apprendimento della lingua ma anche nell’orientamento specifico sugli studi superiori nelle università francesi. Sul sito del MigrENS si nota che è l’ENS stessa a sostenere il programma e a dare libero accesso a locali, strutture e corsi universitari. Il sostegno ufficiale della presidenza dell’università non è scontato, e altrove la sua mancanza pone non pochi problemi.

Ho la fortuna di incontrare Éloïse, 23 anni, studentessa di matematica applicata all’École des Ponts, che mi racconta come, a partire dalla sua collaborazione con Resome, è nata l’idea che i corsi di lingua non bastassero, ma che anche una formazione più specifica, come quella della matematica, fosse fondamentale.

Nel 2015, migranti e rifugiati insieme ad alcune associazioni di volontari occupano il liceo parigino dismesso Jean Quarré, che arriva a ospitare più di un migliaio di persone. Éloïse mi dice che alcuni tra i volontari presenti durante l’occupazione per insegnare il francese, parlando con gli ospiti del liceo, “si sono accorti che molte persone volevano studiare. Alcuni di loro avevano già iniziato gli studi nel loro paese, altri volevano iniziare a studiare in Francia.” Come per tutti i non francofoni senza un programma di orientamento, però, iniziare o continuare gli studi a Parigi “era impossibile, soprattutto perché in Francia il sistema degli studi superiori è complicatissimo se non conosci qualcuno che ti possa spiegare, per esempio, la differenza tra Università ed Écoles.”

Oltre alle difficoltà nell’orientarsi nella burocrazia francese, tra la scelta del proprio percorso di studi, i documenti da preparare e le scadenze da rispettare, il primo ostacolo era che “molte persone avevano l’idea che non era possibile iscriversi all’università se non hai i papiers, ma secondo il Code de l’Éducation,” aggiunge Éloïse, “ci sono solo due motivi per i quali un’università può rifiutarsi di iscrivere qualcuno: il livello accademico e la disponibilità di posti. Quindi per la legge lo status amministrativo non conta.” Che tu abbia un permesso di soggiorno o che tu sia sans papiers, insomma, all’università non deve interessare né è tenuta ad informarsi sul tuo stato. In teoria, dunque, le università francesi sono aperte a chiunque.

Leggi anche: Dentro la prima occupazione universitaria di studenti e rifugiati a Parigi.

Se anche si interpreta in maniera ottimistica il Codice dell’Educazione come una possibilità di superare il primo ostacolo, quello dei documenti per l’iscrizione, molti altri ne restano. I più evidenti sono la padronanza della lingua e la mancanza di un aiuto a orientarsi nel sistema dell’educazione superiore, a cui le associazioni come Resome cercano di far fronte. Meno evidente è invece il problema del livello accademico.

A pensarci sono i volontari dell’associazione Ouvrir P6. Éloïse ne fa parte e, insieme ad altri, ha avuto l’idea di organizzare dei corsi di remise à niveau (messa a livello) in matematica. Oltre ad Amir, che vorrebbe studiare informatica e lavorare nell’ambito della programmazione web, tra i futuri studenti ci sono Kwame, che dopo aver interrotto i suoi studi universitari in Sudan desidera riprendere a studiare Biologia; Malik, che vuole completare la sua triennale in Farmacia; Ayodele, anche lui con una triennale in Informatica e Management; Abayomi, a cui piacerebbe diventare un ingegnere elettrico proseguendo la triennale in Elettronica interrotta all’Università di Khartoum. Tutti seguono corsi di francese e molti, in Francia da pochi mesi o pochi anni, lo parlano meglio di me che dopo tre anni di studi a Parigi non ho ancora imparato ad “arrotolare” la erre.

Sebbene molti di loro abbiano già delle buone conoscenze di base nelle materie scientifiche e in particolare in matematica, iniziare da un giorno all’altro a seguire dei corsi universitari in Francia risulta quasi impossibile.

Tutti, infatti, hanno abbandonato gli studi diversi anni fa. Cercare di risolvere anche solo un’equazione di primo grado è difficile se sono sei anni che non ne vedi una. Tutti parlano francese molto fluentemente in una conversazione più o meno informale, ma molti di loro manca un vocabolario scientifico adeguato per capire i corsi e svolgere gli esercizi, soprattutto quando gli stessi corsi e gli stessi esercizi li hanno svolti, per esempio, in arabo: studiare un teorema non è come studiare un مبرهنة. Infine, c’è il metodo di insegnamento che cambia, a volte considerevolmente, da paese a paese. In Francia è molto efficiente ma un po’ elitario: se non te la sai cavare da solo, pochi professori vorranno dedicarti del tempo per capire le tue difficoltà e aiutarti (e questo è vero a tutti i livelli, non solo all’università). I corsi organizzati da Ouvrir P6 si pongono insomma come ponte tra ciò che i migranti hanno già studiato, magari in un’altra lingua o che forse hanno dimenticato dopo anni di inattività, e quello che affronterebbero se decidessero di iniziare o continuare una formazione scientifica.

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Foto di Éloïse

Per ora sono disponibili un corso di biologia e chimica e due corsi di matematica, divisi per livello di conoscenze. Si cerca di tener conto non solo delle difficoltà nell’apprendimento delle nozioni scientifiche ma anche di quelle linguistiche. Si è scelto, per esempio, di dividere la lavagna in due parti: da un lato, le nozioni di matematica, dall’altro, i vocaboli utili da conoscere per quell’argomento.

Dopo le prime settimane di corsi, sono già evidenti alcune difficoltà. Il primo passo è stato provare a capire qual era il livello medio degli studenti, che varia molto da persona a persona. Si è cercato poi di dare un po’ di coerenza alla sequenza degli argomenti affrontati. Non è sempre facile riuscirci, poiché qualunque nozione, anche di base, potrebbe risultare troppo semplice per qualcuno e quasi sconosciuta per qualcun altro. Per molti dei volontari, inoltre, in maggioranza ancora studenti, questa è la prima occasione in cui si ritrovano non più tra i banchi, ma dall’altra parte dell’aula nelle vesti di insegnante.

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Gli aspetti positivi ovviamente non mancano. Durante le prime lezioni è stato possibile gestire gli orari dei corsi in modo da avere un numero di insegnanti e studenti quasi uguale. Questo permette di affrontare una per una le difficoltà di ciascuno studente. La forza dei corsi sta però soprattutto nell’entusiasmo e nella voglia di imparare dimostrata dai migranti, che fa capire all’associazione di aver avuto l’idea giusta e dà ai volontari la risolutezza per continuare.

Non è ancora possibile dire che futuro avranno i corsi, e soprattutto se ne avranno. La presidenza dell’Università Paris 6, informata già da settembre dell’idea di dare vita a dei precorsi scientifici per i migranti, si è dimostrata decisamente poco collaborativa. La richiesta da parte dei volontari dell’associazione di avere un’aula adeguata dove poter svolgere i corsi è rimasta inascoltata per mesi, fino a fine aprile. Questa minima apertura è stata concessa solo dopo l’occupazione (fallita) avvenuta a febbraio quando, sull’esempio di quanto avvenuto a Paris 8, volontari e migranti sono entrati in alcuni locali del Campus Jussieu, riscaldati seppur inutilizzati. La presidenza dell’università, dopo aver bloccato tutti gli ingressi e chiamato la polizia, ha minacciato di farla entrare per sgomberare le aule occupate qualora questo non fosse avvenuto “volontariamente.” Di fronte al pericolo che alcuni dei migranti potessero venir allontanati dalla Francia, gli occupanti hanno lasciato i locali abbandonati, tornando in strada in una settimana in cui la temperatura massima a Parigi era di -3 gradi. Qui un articolo di Libération sull’occupazione.

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Occupazione del Campus Jussieu del 28 febbraio 2018. Foto via.

Per il futuro, nonostante le difficoltà, la volontà dell’associazione è di convincere la presidenza dell’Università Paris 6 a gestire lei stessa l’organizzazione dei corsi, chiamando e pagando le persone volenterose del corpo insegnante. Un’apertura in questo senso è già avvenuta in numerose e prestigiose università di Parigi: oltre all’ENS, anche all’École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs, all’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS), all’École des Ponts, alla Sorbona Paris 4 e alla Sorbona – Panthéon. Tutte ospitano un programma di accoglienza e di insegnamento del francese, portato avanti da volontari sostenuti ufficialmente — ma non sempre economicamente — dalle loro università. Continuare a lasciare che siano degli studenti volontari a gestire i corsi, privi di appoggio ufficiale e sostegno economico oltre che impreparati dal punto di vista pedagogico, non sarebbe solo una vistosa mancanza di apertura da parte della presidenza di Paris 6 ma anche una dimostrazione della sua incapacità di stare al passo coi tempi e con le università parigine sue concorrenti.


*Tutti i nomi dei migranti sono di fantasia

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