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Cat Person di Kristen Roupenian, il racconto di questa settimana del New Yorker, è un pezzo di letteratura da leggere subito. Racconta della drammatica banalità del sessismo nelle nuove relazioni.

Cat Person racconta del flirt e del primo appuntamento tra Margot, una ragazza di vent’anni che lavora in un cinema d’essai, e Robert, una specie di man–child di trentaquattro anni da cui nessuna donna ragionevole si farebbe nemmeno avvicinare. Gran parte del primo approccio tra Margot e Robert, tuttavia, avviene attraverso messaggi istantanei e la ragazza non si rende conto del vicolo cieco in cui si sta cacciando, non riuscendo a cogliere tutti i campanelli d’allarme che cominciano a suonare letteralmente dal loro secondo scambio di parole — quando lui pensa bene di darle consigli non richiesti circa il suo lavoro. I consigli non richiesti, così come le frecciatine sulla presunta inferiorità intellettuale della ragazza, paiono effettivamente essere gli assi nella manica di questo personaggio: un uomo molto solo, che maschera le sue insicurezze in una ridicola boria da maschio alpha, incapace di accettare un rifiuto.

Una delle caratteristiche più interessanti del racconto è proprio l’analisi del rapporto che si va creando tra i due, tutto filtrato solo dal punto di vista di lei. Margot è una ragazza di vent’anni, spaventata dalle relazioni come solo a vent’anni puoi esserlo, con la netta sensazione di star sbagliando proprio tutto e con tutte le paranoie del caso. Margot continua a incolparsi. Si incolpa prima per aver, magari, offeso in qualche modo Robert, poi per essersi presentata all’appuntamento vestita normalmente — e non in tiro come si aspettava il caro Robert, da chissà quale pulpito poi, visto e considerato che lui si palesa con dei pantaloni kaki e una camicia, non in tuxedo di paillettes — poi ancora per esserci andata a letto, ed infine per per averlo scaricato.

Perché Margot si sente sempre così in colpa? È un meccanismo reso assurdamente normale da uomini idioti come il personaggio di Robert, sempre pronti ad “insegnare il galateo della giusta fidanzata” alla ragazza di turno. Meglio se più giovane di loro, così possono giocarsi la carta “anzianità”.

La forza di Cat Person sta nel mostrare un personaggio maschile debole e subdolo — la stessa Margot si dice che, in fondo, Robert non ha fatto “nulla di male”, quando invece si è comportato come un perfetto stronzo dall’inizio del racconto. Robert non stupra Margot, non la insulta apertamente, si mostra anche tiepidamente dolce (il minimo indispensabile), quando lei lo lascia lui risponde pacatamente, per poi mostrarsi in tutta la sua natura passivo–aggressiva solo alla fine del racconto. Quella esercitata da Robert è una violenza psicologica sottile e infame, un costante ribadire l’inferiorità di Margot, che sia intellettuale o economica. Robert gioca la carta del far pena, dell’essere in imbarazzo o in difficoltà, nasconde la sua impotenza oggettificando la ragazza, rendendola una bambola gonfiabile durante un rapporto sessuale che lo smaschera in tutta la sua piccolezza — “ho sempre sognato di scoparmi una con delle belle tette” le dice durante l’amplesso, mentre la gira e rigira così concentrato su di sé stesso da non badare minimamente al piacere di lei.

Insomma, un personaggio ripugnante che, eppure, pare non essere considerato tale proprio da tutti.

Il pezzo, infatti, è stato accolto da un’ondata inarrestabile di critiche da parte di uomini incapaci di provare empatia — un’ondata così ondata che c’è un account Twitter apposta, di reazioni di uomini a Cat Person. Sorvoliamo in questa sede sul livello di alienazione a cui è necessario vivere per non cogliere perché il personaggio di Robert sia orribile — e quanto la loro storia sia drammaticamente familiare per troppe donne.

Ovviamente i punti sono vari:

In primis Margot è una grandissima schifosa perché fa sesso con un semi sconosciuto e addirittura osa giudicare come l’uomo bacia o la sua performance sessuale — attenzione eh, non importa che il giudizio di lei sia relativo al fatto che nei baci e nel modo in cui Robert la tocca c’è di base un egoismo incredibile e una certa violenza, no, la donna non può giudicare. Mai.

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Lui non ha fatto nulla di male, è così che si conquistano le donne, portandole a vedere film sull’olocausto per acculturarle e facendole sentire delle povere ragazzine pazze se ti baciano in auto.

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E, ovviamente, questo è uno scritto contro gli uomini. Attenzione, non contro uno specifico tipo di uomo — ahimè diffuso. Contro tutti gli uomini. Chissà perché queste persone credono che Robert sia una metafora di tutto il genere maschile, forse coda di paglia.

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E comunque fare ghosting è peggio di dare della troia a una solo perchè ti ha bloccato. Ok.

Un’altra questione sollevata dai commentatori incattiviti è stata la prevedibile “vabbè, ma se lui è così disgustoso è comunque scema lei ad esserci uscita”. Sì, perché nella vicenda Margot è presentata come una ragazza molto sveglia, con un senso dell’umorismo acuto — come fa a trovarsi in una situazione simile? In un’intervista di Deborah Treisman, l’autrice di Cat Person Kristen Roupenian risponde ad una domanda sulla genuinità della relazione che Margot e Robert costruiscono via messaggio nel suo racconto.

È abbastanza genuina, di per sé, ma non fa molta strada. È vero che Robert è sveglio e spiritoso, ma essere svegli e spiritosi garantisce che una persona non ti assassinerà (cosa che Margot si chiede più di una volta), o che non ti stupri, o che non ti aggredisca verbalmente quando viene rifiutato? Certo che no, e il senso di vertigini che Margot sente in svariati punti della storia è proprio per questo senso di incertezza: non è che sappia che c’è qualcosa in Robert che non va — perché se lo sapesse avrebbe delle certezze — ma proprio non lo conosce.

Quando si conosce per la prima volta una persona inevitabilmente si finisce per costruire un’immagine dell’altro che si riempie di dati ricavati strettamente per deduzione — è un meccanismo sotteso alla società, metacomunicativo, che va dal vestiario ai propri riferimenti culturali in conversazione, dal proprio ordine al bar agli interessi che si decide, in mancanza di un’altra parola, di promuovere.

Proprio perché una parte sostanziale di questo scambio di informazioni avviene a livello metacomunicativo — quanto posso parlare della mia passione per il femminismo futurista? Ma cosa ne pensa degli Ewoks? — la comunicazione testuale, diventata cardine dell’esistenza contemporanea, è profondamente inadatta per svolgere lo scopo per cui la usiamo.


chiamando-eva-coloriAbbonati a Chiamando Eva, il podcast femminista di the Submarine, registrato ogni 15 giorni al telefono da Milano a New York. Nel terzo episodio si parla di donne grasse e donne magre, di donne coi fianchi, la cellulite e le smagliature. Perché la lotta contro la discriminazione di chi è grasso (o magro, ma soprattutto grasso) è una questione femminista.


Uno dei primi studi completi sull’argomento quello di Yifeng Hu et al, 2004, pubblicato per il Journal of Computer-Mediated Communication, testimonia come non solo per via testuale le persone osservate trovavano più facile confidarsi con estranei o amici, ma che il rapporto via messaggi porti a una sensazione di intimità intellettuale e affettiva molto rapidamente. Il contesto privato e confortevole della chat viene proiettato rapidamente nei contenuti stessi dello scambio, facilitando un senso di intimità che altrimenti non si avrebbe con persone relativamente sconosciute. Nel 2004 — quando si chattava su computer grandi quanto un amplificatore guardando schermi grandi come uno scatolone da trasloco — si trattava di una rivelazione che oggi percepiamo tutti, più o meno consapevolmente: via internet si cazzeggia e poi cinque minuti dopo si parla dei propri traumi infantili, e in qualche modo è anche bello.

È bello, e per molti è una valvola di sfogo importante, fondamentale, che le scorse generazioni non avevano e noi siamo fortunati ad avere. Ma per ogni storia che scalda il cuore, la realtà per troppe persone è diversa: è facile costruirsi una persona gradevole online, perché è un piano dell’esistenza più semplice.

Per questo è più facile anche per persone che faranno abuso dei codici di fiducia reciproca dei messaggi istantanei per instaurare un rapporto manipolatorio o predatorio.

In Drouin & Landgraff, 2011 (paywalled), pubblicato su Computers in Human Behavior 2, 28, 2012, le autrici misurano su un campione già importante, 744 studenti di college statunitensi, le dinamiche di messaggi istantanei in una relazione sentimentale e di passaggio da texting a sexting — diviso a sua volta tra forma testuale e multimediale. Oltre a rilevare fenomeni relativamente prevedibili, maggioranza di messaggi di conversazioni in rapporti di lunga data rispetto a relazioni occasionali, Drouin e Landgraff misurano statisticamente che lo scambio di sext multimediali è iniziato in gran parte da uomini nel contesto di conversazioni non con partner stabili.

Gli effetti di relazioni abusive che si svolgono in parti sostanziali attraverso piattaforme di messaggistica è analizzato dettagliatamente in Stonard et al, 2015, pubblicato sul Journal of Interpersonal Violence, 1–35. Le autrici, in uno dei primissimi studi del caso tra adolescenti del Regno Unito, misurano come le interazioni abusive via messaggio siano grandemente normalizzate da parte della vittima, che spesso “tende a giustificare o razionalizzare comportamenti manipolatori o ossessivi e considerandoli accettabili” — ed è esattamente il tunnel in cui si ritrova Margot nel racconto. Tamara, l’amica della protagonista motore della soluzione del racconto, si comporta da manuale, secondo Stonard, che conclude il proprio studio senza mezzi termini. In casi come questi, “Servono interventi per aumentare la consapevolezza, educare, prevenire e assistere.”

Cat Person non fa che trasporre in letteratura una delle più complesse problematiche sociali della nostra epoca, e lo fa con sguardo completamente limpido, senza pietismo o retorica, mettendo in gioco dinamiche psicologiche ben precise. Dinamiche incomprese, costantemente sottovalutate, e per questo ancora più pericolose.


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