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Dopo una campagna elettorale basata quasi interamente su menzogne e falsità, nella sua prima settimana da Presidente Donald Trump si sta dimostrando paurosamente sincero.

Nell’ultima scarica di decreti esecutivi, firmati uno dietro l’altro nello studio ovale della Casa Bianca, comincia a prendere forma una delle sue promesse più famigerate, uno dei principali slogan e ritornelli della sua campagna: il famigerato muro al confine con il Messico. Quando Trump era ancora “solo” un candidato alle primarie repubblicane, questa sua proposta gli era costata contestazioni anche eclatanti — come il muro di sacchi di sabbia costruito intorno alla Trump Tower di New York.

Ma si farà davvero? Il confine Sud degli Stati Uniti è lungo circa 2000 miglia, di cui poco meno di 700 sono già percorse da una recinzione costruita tra il 2008 e il 2010.

Va detto infatti che, anche senza muro, il confine è tutt’altro che permeabile, e sono almeno 2600 le persone morte nel tentativo di attraversarlo dal 2001. Il giornale online the Intercept ha curato di recente una raccolta di fotografie aeree del deserto dell’Arizona: una foto per ogni migrante morto in quel luogo.

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Accedere legalmente dal Messico è un’impresa quasi impossibile: tutti gli Stati Uniti ammettono solo 47mila immigrati dal Messico all’anno — e la lista d’attesa è già enorme: nel 2012 si parlava di un milione e trecentomila persone. Inoltre, l’ammissione non è cronologica: ogni volta che il confine viene aperto, degli addetti selezionano e danno precedenza a persone con competenze specialistiche. Chi arriva illegalmente dal Messico non verrebbe mai ammesso attraverso canali legali.

Gli ostacoli per la costruzione del muro di Trump non sono soltanto logistici (per dirne una, gran parte del confine corre lungo un fiume, il Rio Grande) ma anche economici: secondo le stime, il muro potrebbe costare dai 15 ai 40 miliardi di dollari. Trump insiste che a pagare sarà il Messico, ma ragionevolmente il governo messicano ha qualcosa da ridire: poche ore dopo la firma dei decreti esecutivi, il presidente Pena Nieto ha dichiarato che “il Messico non crede nei muri”.

Al di là delle rispettabilissime credenze metafisiche del presidente Nieto, il muro per Trump è senz’altro un simbolo e un catalizzatore di attenzione per l’opinione pubblica. Ma non è il peggior provvedimento preso dal neo-presidente in materia di immigrazione, anzi: l’amministrazione ha annunciato che pubblicherà ogni settimana una lista di tutti i crimini compiuti da immigrati, e settimana prossima dovrebbero essere firmati decreti presidenziali per sospendere l’ammissione di rifugiati e il rilascio di permessi di soggiorno da sette paesi a maggioranza musulmana — Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.

Che sia chiaro: la causa di queste normative è di classe e razzista, e in nessun modo di sicurezza o di controllo del mercato del lavoro — tant’è che già dovrebbe essere pronta l’eccezione per accogliere cristiani perseguitati nel Medio Oriente. Ma solo loro.