in copertina, foto CC-BY-NC-SA 3.0 IT presidenza del Consiglio dei ministri
La Russia ha respinto il piano di pace di Di Maio e Draghi, ma qualcuno ci ha creduto? Mentre il governo parla di pace e condizionatori, l’Italia ha quadruplicato le proprie importazioni di petrolio russo
Il “Piano italiano per la pace” offerto a Russia e Ucraina è stato malamente snobbato dal vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Medvedev, secondo cui “sembra preparato da politologi locali che hanno letto molti giornali di provincia.” Il portavoce del Cremlino Peskov ha poi stemperato, dicendo che il piano non è stato ancora esaminato. La proposta, in quattro punti, è stata definita da Di Maio come un lavoro “ancora embrionale.” Anticipato da Repubblica la settimana scorsa, il piano ha avuto una gestazione tortuosa e non molto chiara, estranea ai canali diplomatici tradizionali.
Nel mondo reale, però, la situazione è molto più complessa. Ad esempio, l’Italia questo mese ha importato 450 mila barili di greggio dalla Russia — ben quattro volte più che a febbraio. Questo aumento è dovuto alla necessità di mantenere in funzione la raffineria Lukoil di Priolo, in provincia di Siracusa, di proprietà dell’omonima azienda russa e che — come conseguenza indiretta delle sanzioni — utilizza ora unicamente petrolio russo per le proprie attività. E la raffineria è troppo grande per essere chiusa — lavora il 13% del petrolio greggio che arriva in Italia e dà lavoro a circa mille dipendenti più indotto. L’aumento delle importazioni dalla Russia, però, stride con la politica del governo, che a parole parla di ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia — la quale finanzia il proprio apparato militare soprattutto con le esportazioni di petrolio.
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Con Stefano Colombo e Alessandro Massone
Editing di Federico Cuscunà