L’Italia si sta organizzando con fatica per gestire i nuovi contagi ed evitare una seconda ondata, ma forse un’altra crisi è già qui: quella degli effetti collaterali del Covid a lungo termine
Nelle ultime settimane sta diventando chiaro in tutto il mondo, e anche nel nostro Paese, che una significativa percentuale di persone infettate e guarite dal coronavirus presenta diversi sintomi che persistono anche da mesi. Tra questi: stanchezza cronica, mal di testa, dolori articolari e infiammazioni della pelle, oltre a disturbi del sonno, perdita di memoria, caduta di capelli e diarrea. Sintomi molto differenti e che riguardano più organi, ma che sono comuni in così tante persone guarite dal virus da far temere l’esistenza di una vera e propria sindrome post-Covid.
Negli Stati Uniti, in Francia e nel Regno Unito si parla già da mesi dei long-haulers — malati a lungo termine — soprattutto grazie a chi ha contratto il virus e ora racconta le sue conseguenze, come la scrittrice britannica Jemma Kennedy sul suo blog per il Guardian. Un articolo apparso l’11 agosto sul British Medical Journal giunge alla conclusione che, nel Regno Unito, ben 60mila persone hanno denunciato sintomi a lungo termine, su 4 milioni di contagiati. In molti Paesi sono attivi online da tempo diversi gruppi di auto-aiuto, in cui i reduci condividono le proprie esperienze e chiedono consigli reciproci.
In Italia l’attenzione verso i reduci del Covid è ancora debole, ma da qualche tempo un gruppo Facebook che raduna molti di loro sta provando a farsi sentire da medici e politica. Il gruppo si chiama, in maniera piuttosto chiara, “Noi che il Covid lo abbiamo sconfitto e ora ne combattiamo gli effetti collaterali.” Lo ha fondato proprio una di loro: Morena Colombi, bergamasca, che ha contratto il coronavirus tra i primi, a fine febbraio. “Il gruppo l’ho creato l’8 maggio e da lì in poi mi si è aperto un mondo. Ora siamo più di 3500 persone,” racconta Colombi. La sua storia è comune a molti: è stata ricoverata all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e dimessa tre giorni dopo senza alcuna terapia. “La mia era una forma lieve di Covid, a differenza di quello che è venuto dopo.” Una volta finito l’isolamento, a metà marzo, “pensavo di tornare a vivere normalmente. E invece non è stato così,” continua Colombi. Ho cominciato a non star bene e ad accusare una stanchezza cronica, dolori muscolari e articolari, oltre a emicranie e rush cutanei improvvisi, che prima non avevo.”
Tra le persone nel gruppo c’è chi ha contratto una forma grave della malattia ed è stato intubato, ma anche molti altri che come Colombi non sono stati abbastanza male da essere ricoverati in ospedale, che però non si sono mai ripresi abbastanza da tornare alla vita normale. Gli effetti sono spesso persistenti e invalidanti: molte persone colpite fanno fatica anche tornare a lavorare normalmente. Colombi, per esempio, racconta di non riuscire “a lavorare due settimane intere, dopo il Covid.”
Ora la paura di tutti è quella di avere a che fare con una malattia cronica, per di più senza un adeguato sostegno o riconoscimento medico.
Testimonianze come quella di Morena Colombi si leggono a centinaia sul suo gruppo. Francesca, che lavora come infermiera in un pronto soccorso, commenta così uno dei tanti post: “Dormo poco, sono stanca, se faccio sforzi mi sembra di avere un mattone al torace e di non incamerare aria. Ho formicolii ai piedi, le gambe mi sembrano di legno appena mi sveglio, ci metto diversi minuti prima di riuscire a muovermi per bene”. E continua: “ho ripreso a lavorare da tre giorni e nonostante le limitazioni e l’aiuto dei colleghi sono distrutta, quando torno sono così stanca che faccio fatica anche a mangiare e dormo il resto della giornata.” In un altro post Vittorio condivide la sua storia, molto simile: “Da tre mesi ho una stanchezza cronica alle gambe. Non appena mi sveglio sono senza forze,” racconta. Nel gruppo molti domandano se un loro sintomo è comune anche ad altri, chiedono consigli sugli esami da fare e si informano sul decorso altrui della malattia. Tutti sottolineano la necessità in questo momento di spostare l’attenzione su chi sopravvive. “Ci diano ascolto e ci dicano cosa abbiamo,” sintetizza Colombi che, a nome del gruppo, chiede che il mondo medico li accolga e li usi per approfondire la questione, e “ci diano risposte.”
Per adesso c’è un primo studio, firmato da tre medici del policlinico Gemelli di Roma e pubblicato a luglio sulla rivista scientifica internazionale Jama, che dà loro ragione. Il trial è stato condotto nel day hospital post-Covid dell’ospedale dal 21 aprile scorso su 143 pazienti, seguiti fino alla fine di maggio. A distanza di oltre due mesi dalla diagnosi di Covid-19, solo 1 su 10 non presentava sintomi correlabili alla malattia iniziale. L’87% delle persone riferiva la persistenza di almeno un sintomo, soprattutto stanchezza intensa (53,1%) e affanno (43,4%). Il 27,3% lamentava dolore alle articolazioni e uno su cinque un dolore toracico. Per tutti la qualità della vita era peggiorata dopo l’infezione.
I pazienti guariti dal Covid sono seguiti e richiamati per controllare lo stato dei vari organi. Ma se non molti sono quelli avere riscontrato danni importanti a polmoni, cuore, fegato o occhi, la maggior parte ha sviluppato altri sintomi, che prima non erano stati considerati. Il campione dello studio del Gemelli è limitato, ma rappresenta un punto di inizio per capire meglio le cause dell’insorgenza di questi sintomi e, soprattutto, per mettere a punto possibili cure.
Intanto, conferme arrivano anche da oltreoceano dove, a fine luglio, il Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) degli Stati Uniti ha pubblicato un report che evidenzia la presenza di sintomi a lungo termine su pazienti giovani e senza malattie preesistenti che avevano contratto il coronavirus. Ad ammettere la possibile sindrome post-Covid è anche Anthony Fauci, il virologo americano a capo della task force anti-coronavirus negli Stati Uniti, che ha collegato i sintomi che molti denunciano alla sindrome da stanchezza cronica.
Una delle ipotesi è che la sindrome sia causata dal fatto che, dopo essere stato chiamato a combattere un’infezione, il sistema immunitario non riesca a fermarsi e produca quella che si chiama risposta immunitaria ritardata. C’è chi pensa c’entrino i coaguli di sangue che si formano con la malattia e che indebolirebbero cuore e polmoni, generando un afflusso di ossigeno minore e di conseguenza l’affaticamento.
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In ogni caso, nonostante le conferme di questi studi, uno dei sentimenti prevalenti tra i malati a lungo termine al momento è quello dell’abbandono. In tanti sono convinti che i loro sintomi non vengano presi sul serio perché non richiedono cure in ospedale o ricoveri, e sentono di essere abbandonati a loro stessi. Parlando della sua esperienza con i medici lombardi, Colombi dice che, semplicemente, “una volta che hai i polmoni a posto per loro sei guarita”. Lei, dai follow up, ha riscontrato ad esempio un malfunzionamento della tiroide — ma in ospedale si è sentita rispondere che non si può dare la colpa di tutto al Covid.
Quello che chiedono queste persone, prima di tutto, è di essere creduti: e poi, che la politica e il mondo medico si muovano di conseguenza. “Ho mandato lettere all’assessore lombardo alla sanità Gallera e ad altre istituzioni,” racconta Colombi. Nessuno ci ha risposto, ma non mollerò. È un problema grosso e abbiamo bisogno di risolverlo, per la salute e per non perdere il lavoro.”