Per combattere l’oggettificazione di bambine e giovanissime ragazze serve ripensare a come le donne vengono cresciute e formate per la società patriarcale — un lavoro che deve partire anche dal ruolo dei genitori
Nel 2010 fece scalpore una copertina di Vogue Paris su cui appariva Thylane Blondeau, modella che all’epoca aveva solo nove anni, ritratta in una serie di scatti e di pose decisamente inadatte per una bambina della sua età; in alcune ammiccava lussureggiante all’obiettivo reclinata su di una pelliccia di tigre, in altre veniva mostrata davanti a uno specchio in cima ad un paio di altissimi tacchi a spillo, ingioiellata, ammaliante, truccatissima. Se dopo quella copertina le case di moda per fortuna hanno smesso di utilizzare in quel modo le bambine, e la Francia ha vietato con una normativa di partecipare ai concorsi di bellezza chiunque non abbia raggiunto il sedicesimo anno di età, il fenomeno dell’oggettificazione dei bambini nei media e la sessualizzazione dell’infanzia purtroppo non si sono arrestati — e non sono neanche diminuiti: anzi.
Numerose ONG e ONLUS che si occupano di protezione dell’infanzia come Terre des Hommes, Save the Children o Telefono Azzurro lancino periodici allarmi su questo tema, in Italia se ne è tornato a parlare solo dopo il clamore mediatico che ha suscitato il caso della copertina della rivista Gente, in cui veniva raffigurata la figlia di Ilary Blasi e Francesco Totti e che, senza alcuna interferenza comunicativa, — checchè ne dica la direttrice che ha provato a scusarsi asserendo che il suo intento era quello di “valorizzare le donne e la vita familiare” — focalizzava l’attenzione sulla somiglianza fisica della tredicenne con la madre — infatti nella foto la minorenne appare in costume da bagno e di spalle mentre il suo volto è pixellato. Tuttavia, già da qualche tempo il problema della sessualizzazione delle bambine è tornato alla ribalta, soprattutto dopo che, sempre di recente, l’Audi ha diffuso una pubblicità, poi immediatamente ritirata, in cui una bambina poggiata al paraurti di un’auto mangiava una banana e dopo che Sky aveva pubblicato un’immagine promozionale della Mostra del Cinema di Venezia in cui senza alcuna ragione veniva mostrato il frame di un film in concorso che ritraeva una bambina in mutandine circondata da uccelli.
Tutti questi episodi rappresentano però, soltanto la punta di un iceberg gigantesco, perché la sessualizzazione dell’infanzia, e l’oggettificazione dei bambini e delle bambine in particolare, sono una realtà presente e diffusa, dentro e fuori dai media. Un fenomeno pervasivo e trasversale che ha finito con l’essere talmente tanto accettato e sdoganato da non essere più riconosciuto come un abuso quando si verifica. La sessualizzazione precoce dei bambini infatti è un reato che lede i diritti dell’infanzia, il Consiglio d’Europa, nel 2016 ha emanato sotto forma di due documenti una risoluzione e una raccomandazione contro l’ipersessualizzazione dei bambini e degli adolescenti, invitando i 47 Stati membri a impegnarsi per combatterla. Un fenomeno estremamente dannoso per lo sviluppo della persona, perché può avere delle serie conseguenze sulla salute fisica e mentale dei minori danneggiandone l’autostima, il benessere e le relazioni con gli altri e con sé stessi molti studi hanno messo in evidenza.
Passa attraverso vari canali; dai media ai social, dai giornali ai video musicali con il 44%–81% di immagini esplicitamente sessualizzate, ma anche nei videogiochi che vengono utilizzati dall’87% dei bambini e dal 70% degli adolescenti, e ancora nei prodotti di uso quotidiano, nei programmi televisivi, nello sport. Quando si parla di sessualizzazione precoce dell’infanzia, però, non ci si riferisce soltanto ai messaggi ipersessualizzati cui i minori sono esposti, ma anche all’abuso che si compie ai loro danni quando li si espone come oggetti sessuati. Ed è qui che si può e che dobbiamo intervenire.
Sarà capitato a molti, scrollando la home di Facebook o di altri social di imbattersi in fenomeni “virali” in cui bambine prodigio sfilano o si cimentano in danze caraibiche in concorsi ad hoc in cui a 5, 6, e 7 anni strizzate in costumi di nylon sgargianti e paillettes si sfidano a colpi di ancheggiamenti e giravolte. Come quello scioccante e riproposto anche in Italia in cui, durante una puntata di Ukraine’s Got Talent, una bambina che avrà sì e no 4 anni si esibisce controvoglia e terrorizzata in una danza del ventre che come titola l’articolo “lascia sorpresi pubblico e giudici per la sua sensualità” e che, assurdamente, genera gli applausi e il divertimento di un pubblico in visibilio. Internet spopola di immagini e video di bimbe riprese con vestiti e trucchi da adulte, o in posizioni e atteggiamenti sensuali e inappropriati, impegnate in attività da donne o preoccupate della loro bellezza e del loro look molto più di quanto dovrebbero. Sessualizzate nell’abbigliamento e nell’atteggiamento con lo scopo di farle apparire come donne in miniatura piuttosto che come bambine. Fenomeni molto spesso considerati divertenti, e che spesso suscitano l’ilarità dei più grandi, ricondivisi e commentanti con superficialità da chi non ne comprenderne la gravità e il rischio. È sempre meno raro poi, sentire genitori lamentarsi,ironicamente, del fatto che le loro figlie hanno abbandonato i giocattoli già da un pezzo e che ormai si interessano di “altre cose.”
Questo, ovviamente, non vuole dire che la “colpa” della sessualizzazione che colpisce le bambine dipenda direttamente dai loro comportamenti — o da come siano vestite dai loro genitori. Indicare un problema come “di società,” infatti, comprende sottolineare che ci siano agenti attivi, da gruppi editoriali e grandi aziende fino a singoli numerosissimi individui viscidi, e agenti passivi: le vittime per l’appunto, nei confronti delle quali è necessario camminare su una sottilissima linea tra l’urgenza di protezione e la necessità di non essere censurate.
Se infatti ci infastidiscono e ci indignano le copertine e le pubblicità che per vendere si spingono al limite della pedopornografia, i primi a farsi un lavoro di autocritica devono essere gli adulti, e spesso, anche i genitori. Infatti, una parte rilevante delle operazioni che sessualizzano le bambine hanno un pubblico specifico: i loro genitori. L’esempio più lampante sono ii contest e i talent show televisivi per adulti in versione bambino. In alcuni casi sono veri e propri concorsi di bellezza per bambine: un cortocircuito comunicativo e umano spiegato molto bene in una puntata di Nemo intitolata Il mondo delle baby Miss, in cui si approfondisce il fenomeno della diffusione anche in Italia della controversa usanza, tutta americana, dei concorsi di bellezza per baby Miss. Eventi promossi sui social e ospitati in piccoli locali di provincia o nei centri commerciali, che promettono alle bambine — e soprattutto ai loro genitori — il miraggio di un futuro da Vip. Miss Spettacolo, Baby model, Mister e Miss Italia Baby, occasioni in cui le bambine vengono giudicate per il look, la spigliatezza, il portamento, fatte sfilare come pezzi di carne. Un esercito di reginette in miniatura che non sanno ancora leggere o scrivere, ma che in compenso sfilano e si muovono come showgirls professioniste in abiti da lolite cucite da madri e zie, divertite e orgogliose di quelle figlie e di quelle nipoti che “dimostrano molti più anni di quelli che hanno” e che, come ammette nel documentario una delle madri dietro le quinte, “vorrebbero esporre ovunque.”
A prescindere dal caso e dalle modalità, perché certi discorsi meriterebbero sicuramente tutt’altra introduzione, nel 2016 Corrado Augias venne investito da una pioggia di critiche e di insulti dopo il giudizio espresso sul caso della piccola Fortuna Loffredo, la bimba uccisa due anni fa dopo essere stata violentata nel palazzo in cui abitava a Caivano, durante una puntata di Di Martedì. Il web insorse dandogli del pedofilo e accusandolo di stare giustificando il suo stupratore ed assassino — intervenne anche Salvini che chiese ad Augias di “chiedere scusa in ginocchio”. Il problema risiede in gran parte nella mancanza generalizzata di consapevolezza di cosa voglia dire sessualizzare l’infanzia, e soprattutto del fatto che ignorando alcune cose — anche quelle che possono sembrare più piccole, come lasciare che una bambina si trucchi, o che si vesta e si atteggi come una donna — abbiano in realtà più peso di quanto possiamo immaginare. Il dramma dell’ipersessualizzazione dei bambini sono i grandi. Adulti distratti e superficiali che normalizzano atteggiamenti aberranti vincolando le femmine, già da piccolissime, a una cultura misogina e brutale.
Adulti che le agghindano come fossero Barbie e che si rivolgono loro continuamente con “principessa,” “bella,” e “tesoro”: è così che inizia la sessualizzazione e la riduzione delle donne ad oggetto. È questa la base su cui si fondano, oltre che i ruoli di genere, anche l’idea che per le donne l’aspetto più importante sia quello fisico, che deve essere una vetrina per attirare l’attenzione e l’approvazione degli altri, mentre l’intelligenza, la personalità e il carattere vengono dopo. L’esempio didascalico e perfetto di come la femminilità sia uno standard socialmente costruito e imposto con violenza.
Per questo se vogliamo tutelare e proteggere i bambini dalla sessualizzazione precoce dovremmo soprattutto evitare che i loro corpi diventino oggetti da manipolare e da esibire nella ricerca spasmodica di like su Facebook. E, inoltre, bisognerebbe impegnarsi a crescere e a trattare le bambine non come bambole da agghindare ma come esseri umani che meritano affetto, rispetto e stimoli intellettuali, nello stesso modo con cui cresciamo i bambini.
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