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L’ennesimo rinvio alle modifiche dei decreti sicurezza tradisce il totale disinteresse del governo per tutto ciò che riguarda i diritti umani dei migranti — oltre alla cronica paura di mostrare il fianco alla destra

Il governo è orientato a rinviare la modifica dei Decreti sicurezza a dopo le elezioni regionali del 20-21 settembre. Le modifiche dovevano essere discusse nel primo Consiglio dei ministri di settembre, ma sembra sempre più probabile che non se ne parlerà fino a ottobre — nonostante le pressioni del Ministro dell’interno, Lamorgese. Il governo, in particolare il Movimento 5 stelle, ha come al solito paura di offrire spunti alla propaganda sovranista in vista di una contesa elettorale molto critica, in cui — ad esempio — il Pd rischia di perdere una regione roccaforte come la Toscana. 

In teoria, un accordo tra i partiti di governo sarebbe già stato raggiunto, ormai un mese fa. Questo accordo prevederebbe una modifica — non una cancellazione, sia chiaro — dei decreti, che dovrebbe includere la cancellazione delle multe milionarie alle Ong, l’allargamento della concessione della protezione umanitaria e la possibilità per i richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe. Su quest’ultimo punto, a dire il vero, il governo è stato anticipato dalla Consulta, che aveva già bollato questo punto come incostituzionale e lesivo della dignità personale dei migranti, oltre che fonte di grande confusione amministrativa. 

Il rinvio della discussione, dunque, sarebbe unicamente frutto di un ragionamento di opportunità mediatica. I partiti di governo, insomma, confermano come non tengano in nessuna considerazione i diritti dei migranti — persone considerate poco più che pedine, fardelli o merce di scambio. Il Movimento 5 stelle soprattutto sembra avere una vera ossessione di non poter prestare il fianco alla minima critica della destra, subordinando a questo “ideale” tutte le proprie azioni.

Questo si traduce, molto banalmente, in una generale malagestione del fenomeno migratorio, che il governo sembra preferire rispetto al farsi vedere troppo attivi e solerti nei confronti chi sbarca. E nel voler fare la faccia duri, probabilmente, si nasconde anche un po’ la vera motivazione di un provvedimento come quello delle navi-quarantena, inumano e inefficace. L’alternativa sarebbe far le cose bene e traghettare anche i migranti positivi, o sospetti tali, sulla terraferma: ma questo rischierebbe di esporre il governo ad attacchi degli enti locali come quelle di Musumeci, con la sua ordinanza farneticante, recentemente bocciata dal Tar. Meglio mettere tutti su un traghetto e aspettare, così come si aspetta un non meglio identificato momento buono per modificare i decreti sicurezza.

In un’intervista degna di nota, l’ex sindaca lampedusana Giusi Nicolini fa notare che a Lampedusa in realtà “non c’è alcuna emergenza: ci sono turisti che vanno al mare, che anche sfidando il Covid affollano spiagge, locali, ristoranti, bar, mangiano granite, fanno colazione. Questo è un Paese senza memoria, quando ero sindaco io ne ricevevo anche 2.600 in ventiquattro ore di migranti.” Secondo Nicolini, il costante clima di emergenza giova sia alla propaganda di destra più becera, sia a chi è interessato a speculare sulle “emergenze.” 

Se il governo fosse davvero interessato davvero a far qualcosa, fa notare Nicolini, ci sarebbero molti modi per risolvere la questione: “È difficile pensare a un aereo che in giornata alleggerisca il peso dell’accoglienza? Anche perché le navi-quarantena costano tantissimo e con gli aerei immagino si potrebbe persino risparmiare. Il Governo non ha una politica, non ha mai pianificato. Io per anni sono stata convinta che l’emergenza e questo clima giovassero solo alle destre, ai Salvini, e a chi vive di malaffare, come si fa con i terremoti e le ricostruzioni, invece giova a tutti.” Ad esempio, “il centro di accoglienza di Lampedusa che è stato incendiato, da anni non viene ricostruito. Tu sai che Lampedusa è la frontiera e non ripristini quei posti? Non lo fai perché ti conviene coltivare il clima emergenziale, non ci sono scuse.”

Ieri, ad ogni buon conto, è iniziato il trasferimento di una parte dei migranti da Lampedusa ad altri centri d’accoglienza nel paese, visto che comunque non possono essere lasciati su un’isola sperduta in mezzo al mare o su un traghetto-prigione per sempre. I migranti trasferiti, finora, sono stati circa 300: sull’isola, però, ne restano ancora più di 1200 — dieci volte più di quelli che possono essere accolti nell’hotspot locale. Il sindaco Totò Martello, che aveva minacciato uno “sciopero” per i prossimi giorni — a proposito di iniziative degli enti locali — mercoledì incontrerà Giuseppe Conte a Roma. Lo sciopero è quindi rinviato, in attesa dell’incontro. 

il ministro degli Esteri al lavoro, via Facebook

Le priorità del governo sono evidentemente altre rispetto al rispetto dei diritti umani e la modifica dei decreti sicurezza. Il ministro degli Esteri Di Maio è volato a Tripoli per discutere di alcuni importanti dossier. Di Maio si occuperà soprattutto di “oliare” il percorso di alcune commesse lucrose affidate nel paese a imprese italiane, come la costruzione della cosiddetta Autostrada della pace lungo tutta la costa libica e l’aeroporto di Tripoli, sul solco di una “tradizione” che risale agli accordi tra Gheddafi e Berlusconi del 2008. Modifiche al memorandum tra l’Italia e il governo Serraj? Nemmeno per idea. Il Mediterraneo, insomma, continua ad essere un posto rigidamente segregato: una trappola mortale per i più poveri come i migranti, e una ricca mangiatoia per chi sa muoversi nel modo giusto. Come i quattro militari della marina italiana che andranno a processo il prossimo 5 ottobre con l’accusa di aver preso parte al contrabbando di 690 kg di tabacco durante l’operazione “Mare sicuro” del 2018. 

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