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Younis è la direttrice del giornale online Al–Manassa, Seif si era recata per denunciare violenze subite fuori dal carcere di Tora — quello dove è rinchiuso anche Patrick Zaki. Entrambe sono state arrestate con accuse pretestuose nel giro di 48 ore.

Ieri il sito di informazione Al–Manassa ha denunciato l’arresto della propria direttrice, Nora Younis, durante un raid della polizia nella redazione. Secondo il giornale l’accusa rivolta verso la direttrice sarebbe di “operare un sito senza licenza governativa” — necessaria per operare come media nel paese — anche se ufficialmente la polizia era arrivata per verificare le licenze… dei software in uso sui computer. Lo scontro tra governo e Al–Manassa non è una novità: il sito era stato oscurato durante la stretta sull’informazione del 2017, e da allora opera attraverso una serie di siti mirror. L’anno successivo la testata ha chiesto di ricevere la licenza dal governo, ma non ha mai ricevuto risposta — una tattica comune in Egitto per silenziare la stampa. Gli esempi di oppressione dei giornalisti in Egitto sono numerosissimi: il paese è quarto al mondo per numero di arresti di giornalisti, dopo solo Cina, Turchia e Arabia Saudita. Il più recente è di soli dieci giorni fa, quando il sessantacinquenne Mohamed Monir è stato arrestato con l’accusa di diffondere “fake news” — malgrado avesse in passato lavorato anche per il giornale pro–al-Sisi Al-Youm Al-Sabae — apparentemente a causa di una ospitata su Al Jazeera TV.

Younis è un’attivista politica ed è stata anche caporedattrice del quotidiano più letto nel paese, Al-Masry Al-Youm. Secondo il quotidiano rimarrà in custodia fino a quando non sarà interrogata dagli inquirenti, auspicabilmente durante la giornata di oggi. In una dichiarazione fin troppo gentile nei confronti delle autorità egiziane, Amnesty ha chiesto di “proteggerla dalle torture.” The New Arab, la redazione londinese di Al–Araby Al–Jadeed, ha contattato un portavoce del ministero dell’Interno per ottenere un commento sulla situazione, ma non ha ottenuto nessuna risposta

Solo ieri ha fatto il giro del mondo la notizia dell’arresto di un’altra attivista, Sanaa Seif. Seif si era recata presso gli uffici del procuratore generale del Cairo per denunciare le violenze subite da lei, la sorella Mona e la loro madre Laila Soueif fuori dal carcere di Tora — quello dove è rinchiuso anche Patrick Zaki — dove si erano recate a loro volta per protestare, chiedendo di poter ricevere informazioni dal proprio fratello Alaa Abdel Fattah, anche lui un noto attivista, di cui la famiglia non riceve notizie da tre mesi. 

Fuori dal carcere le tre donne sono state assalite da un “gruppo di uomini armati,” sotto gli occhi della polizia, che non è intervenuta a difenderle. Seif è già comparsa di fronte alle autorità, ma non è chiaro con che accuse sia ora trattenenuta. Suo fratello è in custodia cautelare dallo scorso settembre, in attesa di un processo. Alaa Abdel Fattah è un blogger che aveva raggiunto notorietà durante la sollevazione del 2011, ed è tra i tantissimi arrestati durante la stretta con cui il governo ha soffocato le proteste dello scorso autunno. Fattah aveva raggiunto nuovamente la cronaca mondiale in seguito alla denuncia di Amnesty International, che aveva rivelato come il blogger avesse subito torture in carcere.

Meno di dieci giorni fa si è parlato anche del suicidio di Sara Hegazi, la rifugiata egiziana che aveva dovuto scappare dal governo del proprio paese perché fotografata con una bandiera del Pride durante un concerto del gruppo indie libanese Mashrou’ Leila. Secondo un conteggio non ufficiale pubblicato sul Globalist, le persone desaparecido nel paese sarebbero ad oggi 43 mila, più di quelle dell’Argentina fascista a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80. 

Ma sicuramente, continuando a vendere armi al regime egiziano e rafforzando un rapporto di fiducia reciproca, il governo italiano potrà vantare altri risultati importanti, e magari riceverà anche altri pezzi di hashish, che il regime sosterrà essere stati di Giulio Regeni.

— Leggi anche: L’Italia deve smettere di vendere armi all’Egitto, e non solo per Giulio Regeni

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.