Non solo quelle belle, né solo quelle brutte: tutte le canzoni. Per come si sta parlando del Festival di Sanremo in questi giorni potremmo tranquillamente fare a meno della musica e concentrarci solo sui costumi e i monologhi.
La maggior parte dei media tratta ormai il Festival di Sanremo come una giornata calcistica bonus, un modo per fare pagelle spietate senza sentirsi in colpa, per parlare di costumi, improvvisare podcast, rivendicare battaglie che poco o niente hanno a che fare con Sanremo, ancora meno con la musica. Non è una novità, lo si fa da tempo, per lo meno da quando il festival è diventato solo una passerella di bolliti e giovani-vecchi.
Forse all’inizio c’era ancora l’esigenza di trovare qualcosa da dire quando in realtà non c’era nulla di cui parlare, perché qualcosa su Sanremo bisognava dirla comunque, in ogni caso, anche solo per sottolineare che fare il giornalista in fondo è un mestiere come un altro. Ma ora che anche i quotidiani hanno per lo più rinunciato a produrre ragionamenti, magari inutili ma argomentati, su Sanremo, abbandonando di fatto la loro posizione più tradizionalista per abbracciare lo schieramento del lol, forse dovremmo rassegnarci al fatto che le canzoni in gara e lo stesso schema del festival non hanno veramente più nulla da dire, nemmeno a chi prima una qualche ragione per guardare Sanremo e parlarne seriamente, in maniera più posata, la trovava ancora. Il Corriere della Sera, ad esempio, da martedì pubblica tutti i giorni pagelle che per lo più stroncano i concorrenti. Sono simili a quelle calcistiche e la quantità di sarcasmo le rende sovrapponibili ai commenti che siamo abituati a leggere sui social, o all’editoriale del magazine da cui ti aspetti una stroncatura puntuale dei brani in gara prima ancora che il festival inizi. E come il Corriere fanno in sostanza tutti gli altri.
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Quello che prima era un hobby di pochi — prendere in giro i dinosauri —, ora è di fatto mainstream e abbracciato a tutti i livelli. E non significa che i giornalisti che prima ne parlavano seriamente si siano resi conto all’improvviso dello scarso spessore artistico del festival, quanto che scrivere del festival per quello che è, un momento in cui durante l’anno si presentano e vengono valutati dei brani inediti (quasi sempre brutti) non ha ormai veramente più senso, evidentemente nemmeno per loro.
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E allora si parla di qualsiasi cosa pur di non parlare delle canzoni, che sono sempre più defilate e marginali rispetto al baraccone di sketch e ospitate. In questi giorni è stato ripreso più volte il discorso di Rula Jebreal e si è parlato tantissimo della tutina di Achille Lauro, del presunto passato trasgressivo di Piero Pelù, di Rita Pavone che porta i soldi in Svizzera, del passaggio di testimone tra Massimo Ranieri e Tiziano Ferro, dell’abito “lungo color carne tempestato di paillette” di Georgina Rodriguez, delle “minacce” di boicottaggio da parte di Morgan. E poi un riflusso di polemica sul caso Junior Cally, Elettra Lamborghini giudicata ancora troppo provocante, il maestro Peppe Vessicchio, lo share che si impenna, la reunion dei Ricchi e Poveri, Benigni e la bibbia e Albano e Romina. Ancora loro, nel 2020.
Ma se ci piace così tanto il baraccone costruito attorno alle canzoni, e il baraccone ci piace, è inutile negarlo, perché ostinarci a tirarla lunga con la musica? Potremmo condensare quattro serate in una, trattare le canzoni come un contorno, farne, di Sanremo, un’americanata alla Grammy Awards. Tirarne fuori uno spettacolo scientificamente divisibile in clip per YouTube, una carrellata di momenti memorabili da cui estrapolare gif. Continueremmo a parlarne perché sarebbe, contemporaneamente, l’oggetto del discorso e l’unico spunto per buttarsi sul contorno, tutto ciò che succede a Sanremo oltre la musica. È di gran lunga più interessante del piatto principale ed è il vero motivo che, se non ci tiene incollati allo schermo di un televisore fino all’una di notte, perlomeno oggi ci spinge all’aggiornamento quotidiano.
A Sanremo non sopravvivono (quasi) mai le sue canzoni, che vengono divorate dal carrozzone, ogni anno più grande e ingombrante dei suoi inediti. Magari un giorno le canzoni spariranno del tutto dietro agli abiti, o verranno relegate a una veloce presentazione seguita da una premiazione in pompa magna. A quel punto Sanremo non sarà più un festival musicale ma un varietà a tutti gli effetti, e noi avremmo ottenuto quello che in fondo più di ogni altra cosa desideriamo: concentrarci sullo spettacolo. E probabilmente scopriremo che ci basterà e che alla fine abbiamo sempre e solo voluto quello.
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