Con pochi anni alle spalle come band hanno già saputo attirare l’attenzione delle orecchie più attente a captare suoni nuovi con il loro primo ep “L’altra parte”. Senza perdere troppo tempo, si sono subito messi a scrivere il loro primo disco.
Loro sono i Tersø e “Fuori dalla giungla” è il loro primo disco, uscito il 22 febbraio. Un lavoro estremamente interessante che mischia un sound internazionale a liriche personali e mai banali o sopra le righe — domani alle 18.30 all’Ostello Bello (via Medici) ci sarà lo showcase dell’album per Tracklist.
Una domanda alla quale probabilmente siete abituati a rispondere: il vostro sound è assolutamente “esterofilo”, internazionale in contrapposizione con i testi in italiano. Quale di queste affermazioni vi dà più fastidio? L’idea che un certo sound sia etichettato di default come internazionale o l’effetto straniante che ha la lingua italiana su questo genere?
C’è un equilibrio molto sottile nel fare convivere questi due aspetti, anzi, quello che volevamo provare a fare quando abbiamo deciso di iniziare questo percorso (e che poi è rimasto il “cuore” della nostra musica) era proprio di provare a unire queste due realtà apparentemente distanti senza permettere che una venisse meno all’altra.
Com’è stato lavorare al disco dopo un ep piacevolmente chiacchierato? Come sono nati i pezzi, qual è la linea che vi siete dati per i lavori?
In realtà noi tendiamo ad avere una scrittura continua, molto legata alla quotidianità che viviamo in quel preciso momento e così sono nati i pezzi nuovi. Nella fase di scrittura tendiamo a non darci regole, non abbiamo pensato cose tipo “ok ora facciamo un disco che si chiamerà così e che dirà questo, questo e questo” è stato più uno scrivere quello che avevamo voglia e bisogno di dire in quel momento e poi ci siamo resi conto che questi nove pezzi dialogavano tra loro per il messaggio che volevano mandare.
A parte Bruno (Belissimo) che partecipa anche a una traccia del vostro disco, com’è la scena bolognese? O meglio, quanto c’è di Bologna nella vostra musica?
C’è sicuramente molto di Bologna nella nostra musica, per il fatto che viviamo qui e che tutto quello che pensiamo, sentiamo o vediamo è filtrato dai palazzi, dai posti che frequentiamo e dalle persone che conosciamo. Tutto questo influenza naturalmente e inevitabilmente chi siamo e colora in modo differente gli input che ci arrivano. Bologna poi è molto viva e stimolante, ci sono un sacco di cose da fare e di progetti super interessanti!
L’effetto che mi fa il vostro disco è particolare. Mi sento come trasportato in una realtà differente. Vado di metafora. È come se indossassi quei caschetti di realtà virtuale. Ti muovi stando fermo, ti gira la testa e non sai perché. Proviamo a giocare e proviamo a descrivere questa sensazione anche a chi, a differenza mia non la vive così. Accendiamo “Fuori dalla giungla” mettiamo il casco, siamo in una stanza buia, cosa vediamo tutto intorno a noi?
Non è mai facile parlare in prima persona di quello che le proprie canzoni potrebbero suscitare perché è ovviamente super personale però, quello che vedremmo noi, sarebbe una proiezione delle situazioni che poi raccontiamo nei testi. Quello che cerchiamo di fare è di raccontare situazioni piccole, quotidiane appunto, utilizzandole un po’ come metafore di sensazioni più grandi. Probabilmente sarebbe una sorta di paesaggio etereo fatto di elementi naturali e le foto della festa di ieri sera in cui brindavamo super contenti per il tirocinio non retribuito che inizieremo a breve. E anche qualche neon colorato, dai!