La diffusione di gruppi privati su Facebook e Whatsapp, Slack segreti e altre chat rischia di intossicare il giornalismo, trascinando un’intera generazione di nuovo nella peggiore monocultura.
Un’inchiesta di Le Monde del 10 febbraio ha rivelato l’esistenza di un gruppo Facebook privato dal nome Ligue du LOL — un nome adeguato all’età mentale dei suoi membri — che comprendeva alcune delle personalità più in vista del giornalismo francese (casualmente tutti uomini), e veniva usato per coordinare campagne lunghe anche anni di abuso e persecuzione contro colleghe donne, attiviste, persone di colore e minoranze di genere.
Il gruppo era composto, tra l’altro, soprattutto da giornalisti di testate liberal o con lo sguardo rivolto a sinistra — Libération, Les Inrocks, Slate France, Télérama, VICE France — lanciando un ulteriore allarme sulle infiltrazioni misogine nell’ambito della conversazione progressista. La notizia è che il gruppo — e alcuni dei suoi membri — ora sono pubblici, ma la sua esistenza era sussurrata, nel mondo reale e su Twitter, fin dalla sua fondazione, ormai dieci anni fa. Per dieci anni il gruppo ha goduto di sostanziale immunità e segretezza, nascosto dietro la giustificazione, o l’assunto, di essere “solo” shitposting.
Anche se proprio “solo shitposting” non sembra: la videomaker Florence Porcel, per esempio, ha accusato un membro della Lega del LOL di averla contattata fingendosi il capo-redattore di un’importante emittente francese, per proporle un lavoro.
Ovviamente era tutto finto, e la registrazione del falso colloquio è stata caricata su Soundcloud — insomma uno scherzone da vero bullo del liceo, di quelli che fanno i grossi con i primini e poi piangono davanti al preside accusando qualcun altro.
Chiaramente, adesso che è esplosa la bomba, dobbiamo sorbirci la trafila di quelli che “io c’ero, ma comunque ho abbandonato la nave prima che affondasse eh, sia chiaro”. Per esempio David Doucet, editor de Les Inrocks, che ammette su Twitter di aver fatto parte della Lega del LOL e di aver partecipato allo “scherzo” contro Florence Porcel — per cui si scusa — ma giura di non aver mai creato fotomontaggi (che, evidentemente, nella scala di valori dei bulli è un dato fondamentale). Una cosa interessante, però, Doucet la scrive: il giornalista sostiene infatti di essere entrato nel giro anche per “brillare agli occhi di professionisti del settore” che vedeva come “modelli”. Insomma la dinamica è evidente: per non essere bullizzato dagli stronzi diventa anche tu uno stronzo come loro. Se già tra adolescenti risulta una logica inquietante, tra gente che l’adolescenza se l’è lasciata alle spalle da un pezzo è semplicemente inaccettabile. È il trionfo della toxic masculinity — del “boys will be boys” raccontato nello spot Gillette, tanto criticato — e la prova evidente di quanto sia necessario andare oltre determinati schemi di pensiero.
Spesso, parlando di shitposting o goliardate sessiste varie ed eventuali, si tende a sminuire il tutto mediante la sempreverde teoria del “è solo uno scherzo”, “sono solo chiacchiere da spogliatoio”, “se rido per un meme che inneggia allo stupro, mica penso davvero che uno stupro sia divertente”. Esiste anche una versione femminile di questo arrampicarsi sui vetri, che è: “do della troia a un’altra donna ma lo faccio senza retropensieri”.
Spoiler: se qualcuno dice di non avere retropensieri in realtà li ha, e ha anche la coda di paglia.
Il punto è che, anche nella più becera chat del calcetto, lo scherzo nasconde sempre un fondo di verità, e quando lo scherzo mira a decriminalizzare un abuso non può essere preso alla leggera. Perché poi la chat del calcetto si allarga, perché le menti più eccelse si fanno forza a vicenda, perché poi si arriva a punti di non ritorno come la Lega del LOL — che d’altra parte altro non è che una enorme chat dei bomber, con però al suo interno i caporedattori delle più importanti riviste francesi, che si divertono a fare finti colloqui alle colleghe e ne commentano le tette. Ma tanto è tutto uno scherzo — almeno finché non mette in pericolo il posto di lavoro. Nella chat della Lega del LOL, alla notizia di una notifica da parte delle risorse umane di un editore, un utente commentava, “On va se faire couper la teub” — “Ci faremo tagliare il cazzo.”
L’alto profilo dei misogini coinvolti nell’azione rende due volte più grave il gioco delle aggressioni e del bullismo online: ogni volta che la Lega del LOL — ma come si fa a chiamarsi così, Gesù — entrava in azione contro una persona su Twitter le aggressioni si allargavano sempre molto oltre i confini dei membri del gruppo, rinforzati da un effetto gregge di utenti imitatori.
Non si può ridurre il problema al singolo scandalo — come se ci fosse un “singolo” scandalo — o solo all’ambiente dei giornali “lib” francesi: negli ultimi anni, con la transizione delle comunicazioni da posta elettronica a nuovi sistemi di chat e messaggistica, il giornalismo mondiale è andato via via isolandosi — gruppi Facebook sempre più ritirati, gruppi su WhatsApp solo tra contatti fidati, se non direttamente in comunità su Slack e Discord. In un’industria le cui priorità sono già così pesantemente deformate verso le “necessità” dei giornalisti uomini, la diffusione crescente di cerchie chiuse rinforza posizioni retrograde, che non si possono tenere in pubblico: lasciandole maturare in ambienti che si cerca di minimizzare come goliardici, ma che hanno dinamiche molto più simili a quelle della radicalizzazione politica e militare.
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