Nicolás Maduro mostra il proprio giuramento dopo essere eletto per un secondo mandato, 10/01/19, foto CC Presidencia El Salvador
Data la complessità della situazione, che richiede di essere analizzata sotto piú aspetti, abbiamo parlato con la professoressa Marzia Rosti, docente di Storia e istituzioni delle Americhe dell’Università degli Studi di Milano.
In Venezuela la situazione sta cambiando velocemente. Il 3 febbraio è scaduto l’ultimatum all’attuale presidente Nicolás Maduro, erede del chavismo. L’avversario in campo ha il volto di Juan Guaidó, appoggiato da Stati Uniti, Brasile e da una buona fetta dell’Europa. Il governo italiano invece si trova diviso sulla questione; da un lato il Movimento 5 Stelle che non si dichiara favorevole al possibile golpe, dall’altro Salvini sostiene che ci sia “un problema di diritti umani” (!). Mattarella, inoltre, si è collocato ancora più a destra di Salvini, indicando al governo la necessità di prendere una posizione più netta.
Il 2 febbraio, su Twitter, il generale di divisione dell’aviazione venezuelana e direttore della pianificazione strategica, Francisco Yánez, ha riconosciuto Guaidó come presidente incaricato dall’assemblea nazionale, disconosciuto l’autorità di Maduro e ha confermato che ogni giorno il leader chavista avrebbe due aerei a disposizione pronti a portarlo via. Maduro inoltre ha disposto il blocco degli aiuti umanitari inviati dagli Stati Uniti, visti come un cavallo di troia statunitense. Data la continua evoluzione e la complessità della situazione, che richiede di essere analizzata sotto più aspetti, abbiamo parlato con la professoressa Marzia Rosti, docente di storia e istituzioni delle Americhe presso il Dipartimento di Studi internazionali, giuridici e storico-politici dell’Università degli Studi di Milano.
Parliamo del consenso di Maduro. Com’è cambiato negli anni?
Non si può parlare del consenso di Maduro senza parlare di Chávez. Al suo arrivo al potere Chávez gode di un grande consenso in un paese in cui metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà e mette in pratica una democrazia partecipativa. Ha chiamato il popolo venezuelano alle urne moltissime volte, perché esprimesse la sua opinione. È stato un leader molto amato e la sua morte fu motivo di sentito cordoglio da parte di gran parte del paese.
Alla sua morte Chávez ha lasciato uno zoccolo duro di “fedeli”, distribuiti tra l’apparato burocratico, le istituzioni, la compagnia petrolifera di stato. I chavisti sono un po’ ovunque: dalle cariche elettive, all’economia, alle forze armate. Maduro ha ereditato il consenso da Chávez, il cui errore, forse, è stato quello di non coinvolgere la classe media, che è rimasta “vittima” di espropri, accusata di tutto quello che era successo prima e di non voler dialogare con il nuovo potere.
Maduro si è reso disponibile ad andare a elezioni per rinnovare il parlamento. Qualcuno è interessato ad ascoltare la fetta di cittadini che non è né con Maduro né con Guaidó?
Mettiamo pure che si elegga l’assemblea nazionale. Resta la questione dell’assemblea costituente, quella che ha dato origine agli scontri, la stessa che dovrebbe riscrivere la costituzione. Al momento abbiamo due presidenti e due assemblee, di cui una esautorata. Se si vuole dare libertá di azione all’assemblea nazionale, la costituente chavista non ci dovrebbe più essere, o perlomeno andrebbe riformata. Altrimenti è come un cane che si morde la coda: si rielegge l’assemblea nazionale, esautorata dalla costituente, a sua volta protetta dalla costituzione chavista. In quest’ottica se Guaidó accettasse l’offerta di Maduro, farebbe un clamoroso autogol.
Potrebbe far tutto parte di una strategia in cui la costituente sta lavorando a una riforma della costituzione. Penso a come uscì di scena Pinochet che, sconfessato al referendum, ha immediatamente modificato la costituzione rafforzando il legislativo, non potendo più essere a capo dell’esecutivo.
Potrebbe essere questo l’asso nella manica di Maduro. Sarebbe da capire cosa sta facendo la costituente.
Le elezioni parlamentari potrebbero certamente essere un’occasione per dimostrare a Maduro che l’opposizione è sostenuta dall’organo legislativo e ne mantiene il controllo. Se però rimangono questi equilibri, i venezuelani possono eleggere l’assemblea anche una volta alla settimana, ma resta un organo svuotato delle sue funzioni. Non è difficile concedere la rielezione di un organo che non vale nulla. Bisogna anche capire se un organo esautorato è preparato a riacquistare potere. Ribadisco, bisognerebbe sapere cosa sta facendo la costituente.
L’attuale apparato potrebbe dire: l’anno scorso abbiamo eletto Maduro con elezioni regolari e fatti vostri se non le avete riconosciute; la costituente ha redatto una nuova costituzione; ci avete chiesto le elezioni parlamentari e le abbiamo concesse. Che volete di più?
A marzo l’opposizione venezuelana ha chiesto di non mandare gli ispettori a controllare perché sapeva che avrebbe vinto Maduro.
Aveva anche invitato i cittadini a non recarsi alle urne per abbassare il quorum e sabotare le elezioni. L’astensionismo fu del 60%, (percentuale “in ballo” ancora oggi, ndr). Nell’ottobre 2017, l’annus horribilis della crisi e del referendum contro la costituente, svoltosi ad agosto, ebbero luogo le elezioni amministrative, in cui vinsero pochi governatori dell’opposizione.
All’interno di essa si creó una spaccatura provocata dallo scontro tra chi sosteneva che non si dovesse prestare giuramento nell’assunzione dell’incarico, perché si sarebbe giurata fedeltà al regime e un gruppo di governatori, quello che poi assunse l’incarico, che osservava la necessità di giurare per poter prendere l’incarico e cominciare a riguadagnare terreno, come opposizione, a livello locale, ripartendo dal basso.
Cos’ha di diverso Guaidó rispetto a Lopez e Capriles, precedenti figure di spicco, il primo soprattutto, dell’opposizione? Come è cambiato lo scenario politico e in cosa è favorito l’attuale leader di Voluntad Popular?
Partiamo da qualche anno fa. La Mesa de Unidad Popular (MUD), la coalizione di opposizione entrata nel congresso nel 2015 con regolari elezioni, aveva al suo interno una serie di leader con idee diverse sulla strategia per contestare Maduro.
I due principali esponenti erano López, che sosteneva la necessità di scendere in piazza e di protestare e Capriles, più incline al dialogo, che era dell’idea di smussare il regime attraverso le istituzioni.
López è stato arrestato, è entrato e uscito dal carcere, è stato messo ai domiciliari, ha fatto parlare di sé. Capriles è stato soltanto interdetto dai pubblici uffici, col risultato che pochissimi, solo gli addetti ai lavori, sanno chi sia.
La differenza fra i tre leader dell’opposizione è che i primi due, López e Capriles, operavano in un contesto diverso, precedente alla forte crisi economica in cui ora si trova il paese e senza quell’attenzione internazionale a cui il paese è divenuto sempre più esposto in questi mesi. Se una volta si poteva parlare di “scaramucce interne”, ora non è più possibile farlo.
L’opposizione venezuelana, negli ultimi tempi, non ha poi saputo elaborare una strategia unitaria. Guaidó emerge da questo vuoto e lo fa con un gesto di grande impatto mediatico, giurando in piazza sulla costituzione.
Come commenta chi sostiene Maduro, indicandolo come il meglio che ci possiamo permettere davanti al mostro capitalista?
Se si vuole essere autonomi, si può fare, soprattutto se si hanno risorse naturali, ma sta allo stato gestire il tutto senza deviazioni autoritarie. Maduro si è presentato come l’uomo che avrebbe portato avanti il socialismo del ventunesimo secolo.
A me personalmente piacque molto Chávez. Tutte le presidenze progressiste sono state una boccata di ossigeno, per l’America Latina, nonostante alcuni si siano rivelate, sotto certi aspetti, uguali a governi di altri colori. Questa ondata progressista si è esaurita e ora prevalgono i reazionari, è così un po’ ovunque. Maduro ha avuto un’involuzione e forse non aveva le competenze e le conoscenze necessarie a gestire la situazione.
A volte penso a cosa avrebbe fatto Chávez davanti a una crisi del genere. Il progetto di Maduro e di tutto il socialismo del ventunesimo secolo, basato sui sussidi, prevedeva che il prezzo del greggio non crollasse, il mondo non cambiasse, la sinistra, con tutte le sue sfumature, rimanesse sempre al potere in America Latina. E invece la svolta conservatrice c’è stata, il prezzo del greggio è crollato, l’economia interna si è indebolita. Maduro ha fatto sicuramente i conti senza l’oste e quando è andato a chiedere che si mantenesse un minimo sul prezzo del greggio ne abbiamo avuto la prova. La corruzione c’è sempre stata prima di lui e temo ci sarà sempre, ma se il prezzo del petrolio fosse stato sempre alle stelle sarebbe stato senza dubbio più al sicuro. Ora l’ago della bilancia sono proprio i militari, con cui Guaidó si incontra da giorni, e suppongo lo stesso stia facendo Maduro.
Qualche previsione se cade Maduro?
L’apparato probabilmente si regge anche sul traffico di droga. Non si tratta e non si tratterebbe di una questione irrilevante.
Guaidó ha assicurato l’amnistia ai militari che non si sono macchiati di crimini contro l’umanità, per portarli dalla sua parte. Anche Bolsonaro ha offerto un corridoio di uscita, con garanzia di impunitá a Maduro e a tutto il suo gruppo, in un paese africano. La trattativa tra militari uscenti e un presidente che viene eletto o designato, consta sempre di un’amnistia e dell’impegno del governo nuovo a non investigare sul passato. È un programma collaudato nelle transizioni alla democrazia e Bolsonaro, da ex militare, lo sa bene. Si fa pressione sui militari, che in questo caso sono lo zoccolo duro del chavismo, garantendo amnistia e una “buonuscita” all’attuale leader. Nessun altro ha offerto asilo a Maduro, fa pensare. Díaz Canel (presidente di Cuba, ndr) gli è vicino geograficamente per esempio, ma l’offerta è arrivata da un brasiliano, ex militare, di ultra destra. Forse se ci fosse stato Fidel avrebbe avuto ospitalità.
Ho sempre trovato la posizione di Maduro particolare: ha rispettato tutte le regole. D’accordo, ha iniziato a controllare un po’ il tribunale elettorale e di giustizia, non è il primo e non sarà l’ultimo. Ha esautorato l’assemblea legislativa, ma non personalmente, ha creato una costituente perché lo facesse attraverso una nuova costituzione. Ho anche pensato che un giorno, la costituente, avrebbe potuto voltare le spalle anche a lui.
Sarà necessario anche che chi succederà a Maduro abbia chiaro come combattere la povertà, non solo che va fatto.
Per questo secondo me sarebbe utile andare al voto, in questo modo ognuno presenterebbe il proprio programma politico. Il governo non fornisce più da tempo i dati relativi a inflazione e bilancio, le cifre sono tutte stime del FMI. Adesso il meccanismo è tanto semplice da apparire ingenuo: Maduro è giá stato “collaudato”, la gente ha fame, c’è un nuovo leader all’orizzonte, si rovescia l’attuale e poi si vedrà. Poi che Guaidó abbia un progetto preciso, i soldi degli Stati Uniti, i paesi del gruppo di Lima che lo aiuteranno non appena salirà al potere, si vedrá. È un momento caratterizzato da una commistione di parecchi fattori, una via di uscita va trovata e non può ridursi ad un’analisi del bilancio in rosso.
Il Venezuela è rimasto, anche simbolicamente, uno dei pochi paesi a guida socialista.
Assieme all’Uruguay con Tabaré Vasquez, che peró è pur sempre un progressista pacato, al Messico con López Obrador e alla Bolivia con Morales, che cerca di farsi eleggere per la quarta volta. Per me, appassionata di questi paesi, Morales rappresenta un personaggio interessante. Vede, lui è più furbo ed è riuscito a presentarsi, vicino ai più incisivi Correa e Chávez, come socialdemocratico e progressista, pero ha gestito meglio il tutto, lasciando una finestra aperta agli investitori stranieri e dimostrando più attenzione agli equilibri internazionali. A onor del vero, quando sono stata in Bolivia ho notato il rafforzarsi di una certa opposizione critica, la stessa che ora ha posto un veto alla quarta candidatura. Ideologicamente e come progetto Morales è senza dubbio vicino a Maduro, ma ha gestito meglio le risorse.
Di recente Morales è stato criticato per aver consegnato Battisti.
Non si può negare che Morales si trovi in una posizione delicata. Ha le elezioni a breve e deve far vedere che la Bolivia non è più un paese che offre ospitalità ai terroristi. Ha vicino Bolsonaro, un esponente della destra; ha Macri in Argentina, che non è come Bolsonaro, ma è comunque un conservatore; Pinera in Cile e Vizcarra in Perú, conservatori o comunque non socialdemocratici come pure Lenin Moreno in Ecuador. Si può non condividere la scelta di Morales, ma ammetto che non si trovi in una posizione facile.