Tutta la vicenda delle tessere stampate-anzi-no è l’ennesima occasione per riflettere sugli effetti della polarizzazione dell’informazione nella nostra era.
Il caso delle tessere per il reddito di cittadinanza è uno di quelli che, tipicamente, provocano un’ulcera a chiunque riesca a percepirne la gravità e allo stesso tempo sia costretto ad ammettere l’assoluta mancanza di qualsivoglia conseguenza, politica o di altro genere.
Il ministro del Lavoro annuncia in diretta televisiva una palese falsità, dicendo di aver dato attuazione a una legge che non esiste ancora; pochi giorni dopo una viceministra dell’Economia conferma la sua versione e la arricchisce di ulteriori dettagli; incalzato un po’ da tutte le parti, alla fine è lo stesso ministro del Lavoro a smentire se stesso, trasformando l’affermazione perentoria di pochi giorni fa (“noi abbiamo già dato mandato di stampare i primi 5-6 milioni di tessere elettroniche”) — di fronte a cui, tra l’altro, l’intervistatore Corrado Formigli non ha battuto ciglio — in una ridda di subordinate di secondo grado che affumicano completamente qualsiasi fattualità:
Visto che sul reddito c’è questo giallo delle tessere di cui si parla in Italia [come se il giallo non l’avesse creato lui, ndr], ci tengo a dirvi che io da due settimane ho dato ordine al mio staff di lavorare con Poste per avviare tutto il progetto del reddito di cittadinanza e che include anche la stampa delle tessere. Quindi non c’è nessun giallo.
Sul caso, nel frattempo, sono stati annunciati due ricorsi all’ANAC, l’autorità nazionale anti-corruzione, da parte di Michele Anzaldi (Pd) e del Codacons per capire in base a quale procedura il compito di realizzare le tessere sia stato dato a Poste Italiane. C’era già stata anche anche un’interrogazione parlamentare di Paolo Zangrillo (Fi), a cui il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon aveva spiegato che l’affermazione di Di Maio non andava interpretata in senso letterale, un po’ come l’Antico Testamento:
2) Dopo una serie di polemiche e da ultimo una interrogazione parlamentare di Zangrillo (FI) ieri il sottosegretario al Ministero del Lavoro Durigon fa intendere che non sono in stampa. pic.twitter.com/EUwQPbctS5
— Francesco Seghezzi (@francescoseghez) November 29, 2018
Ma la vicenda è del tutto surreale molto più a monte: che siano già in stampa o no è relativamente importante, la cosa grave è che un ministro della Repubblica continui a parlare (dando anche dettagli di minima, tipo che in caso di nuclei familiari la tessera “andrà solo al capofamiglia”) di un provvedimento di cui al momento non esiste nessuna bozza di legge in discussione da nessuna parte, e le cui coperture finanziarie sono previste in una legge di bilancio che non è ancora stata approvata e di cui non esiste ancora una versione definitiva. E lo fa con la massima naturalezza, sorridendo. Tutto questo è estremamente grave, ma a un livello di assurdità tale che è francamente difficile capire anche solo come reagire.
È come essere all’interno di una gigantesca operazione di gaslighting, la sottile forma di violenza psicologica per cui, bombardati di informazioni false, contraddittorie, o anche solo lievemente discordanti, finiamo per dubitare della nostra stessa memoria e percezione della realtà. D’altra parte, la post-verità di cui si parla tanto da un paio d’anni a questa parte non è altro che questo: una colossale erosione del senso di realtà causata dalla “illimitata intensificazione dell’infostimolazione e dell’infosimulazione,” per dirla con le parole di Bifo.
Ma il problema significa ancora qualcosa solo per chi non ha già abbracciato una forma di realtà alternativa — il che può essere anche soltanto un meccanismo inconscio di difesa psicologica dalla violenza di cui sopra.
Ogni volta che emerge un caso simile di menzogna palese da parte del Movimento 5 Stelle (e quello delle tessere non è certamente il primo), la reazione tipica del “cittadino mediamente informato e non sostenitore del governo” è: bene, adesso vediamo come faranno a giustificare questa evidente e incontrovertibile contraddizione, loro che da dieci anni parlano di onestà e trasparenza; sarà la volta che smetteranno di illudersi e capiranno di essere stati truffati da una banda di cialtroni organizzati dalla Casaleggio e Associati.
Questa aspettativa, puntualmente frustrata, è malposta. Si basa sul presupposto inesistente e impossibile che tutti abbiano il medesimo accesso alle stesse fonti di informazione e si pongano nei loro confronti con la medesima attitudine — un presupposto che non è mai stato vero in nessuna epoca storica, ovviamente, ma che oggi, nel momento in cui l’accesso all’informazione di massa non è mai stato così diffuso e capillare, si pone con particolare importanza.
Non è impossibile, certo, che qualche sostenitore del Movimento 5 Stelle, di fronte a questa storia o altre — per esempio: a che punto siamo con la nazionalizzazione delle autostrade? — riconosca il problema. Ma nella maggior parte dei casi andrà così:
Ipotesi 1: tutta la storia viene completamente persa, o seguita solo in parte (nella parte in cui Di Maio dice che le tessere sono già in stampa o in quella in cui dice che non c’è nessun giallo sulle tessere, perché saranno mandate in stampa in futuro). Nessuno è pagato per consumare un certo quantitativo di informazione al giorno, e la vicenda ovviamente è stata messa in risalto soprattutto dai media di parte o percepiti come tale dal M5S — dieci anni di lavoro per screditare il giornalismo e costruire parallelamente un proprio gigantesco ecosistema informativo indipendente è servito a questo e lo schema funziona benissimo, bravi. Sull’home page di un quotidiano “a metà strada” (per fare i buoni) tra un fogliaccio di propaganda governativa e un portale di informazione serio, per esempio, la notizia delle tessere stamattina si trova in un trafiletto laterale con questo titolo: Reddito di cittadinanza, Di Maio: “Non c’è nessun giallo sulle tessere.” Poi la spiegazione su chi le stamperà. Uno lo legge e non può fare altro che pensare: è tutto okay. (Sullo stesso quotidiano viene dato molto più risalto alla notizia dei cani che nei parchi di Milano si intossicano mangiando la droga nascosta dai pusher, una bella metafora di tutta questa vicenda, se ci pensate).
Ipotesi 2: un sostenitore 5 Stelle particolarmente informato e zelante, che si impegna anche a leggere media considerati ostili alla propria fazione o che incappa nella notizia perché la propria bolla sui social non è ancora completamente chiusa, e che quindi ricostruisce tutto il tessere-gate dall’inizio alla fine, probabilmente penserà: è una minuzia capziosa a cui si stanno aggrappando quelli del Pd perché sono disperati, che differenza vuoi che faccia se le tessere sono in stampa in questo momento o saranno stampate in futuro. E non è nemmeno un ragionamento stupido, dato che, come abbiamo detto, l’assurdità sta a monte (parlare di un provvedimento che non esiste) e sui dettagli del parlamentarismo siamo davvero in due o tre a fare le pulci, tipo quelli che ricordano ogni volta che “non si dice premier, si dice Presidente del Consiglio.”
Quindi? Non bisogna più denunciare le menzogne del governo, perché tanto è inutile? Ovviamente no — anche perché ciò che sembra inutile oggi non è detto che non produca effetti sul lungo periodo. Ma occorre urgentemente spostare il dibattito, la riflessione — e, perché no, anche l’azione — sulla radice del problema, e cioè la colonizzazione politica degli spazi di informazione, frammentati e polarizzati al punto da essere quasi impermeabili tra loro, fino alla creazione di realtà parallele evidentemente incompatibili con l’idea stessa di “società civile.” È un problema, ripetiamo, vecchio quanto l’informazione stessa: in Italia ha sempre vinto le elezioni chi aveva la macchina di propaganda più potente — la Dc con la Rai, Berlusconi con Mediaset, ora il blocco grillo-leghista grazie alla combinazione inedita di Mediaset e internet — e che non è evidentemente facile da risolvere, nemmeno in teoria.
Ma neppure in questa situazione di polarizzazione estrema le barriere tra una realtà e l’altra sono completamente impenetrabili: lo dimostra il caso che sta montando attorno al padre di Di Maio, esploso in una trasmissione televisiva estremamente popolare e in passato presa come evidente punto di riferimento — per lo stile comunicativo ma anche per la scelta dei temi trattati — proprio da gran parte dell’area culturale grillina. Non a caso, se cercate tra i commenti sulla pagina Facebook dello stesso Di Maio, su cui pure sarà operativa una zelante e meticolosa censura moderazione, di tutta la storia delle tessere del reddito di cittadinanza non trovate traccia, tanto che vi verrà l’impressione di esservela sognata. È pieno, invece, di commenti che difendono Di Maio dalle accuse rivolte a suo padre: ovviamente, bollate come infamanti e faziose.
in copertina, foto da Facebook
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