Ogni anno o quasi il Seveso torna a vendicarsi per il proprio interramento allagando la superficie della città.
Oggi tutta la Lombardia è sotto allerta meteo rossa. La Protezione civile ha deciso di spendere il massimo grado di cautela per la perturbazione che sta interessando il paese — oltre alla Lombardia, altre cinque regioni ne sono interessate. Anche Milano non fa eccezione. Per tutta la giornata di oggi sono previsti piogge e forte vento. Ecco cosa ha scritto il Comune:
Si invitano pertanto i cittadini a prestare particolare attenzione a non lasciare automobili parcheggiate nelle zone maggiormente a rischio per l’esondazione del Seveso e attivare le ordinarie tutele per le zone allagabili; si ricorda inoltre di evitare di lasciare le automobili parcheggiate sotto alberi ad alto fusto e a rimuovere da davanzali, balconi e terrazzini i vasi e gli oggetti che potrebbero essere portati via dal vento.
Prendiamo in particolare la prima parte, che riguarda il rischio per gli incauti che potrebbero parcheggiare la propria automobile nelle vicinanze del fiume Seveso. Perché questo torrente fa così paura?
È necessario partire da lontano, dalla fondazione stessa della città di Milano. Tanto per cominciare, la città sorge sulla linea delle risorgive: la linea che separa l’alta dalla bassa pianura — è importante perché, mentre l’alta pianura ha la capacità di assorbire meglio l’acqua, la bassa è impermeabile, e quando il terreno cambia l’acqua torna fuori tutta in una volta.
In quello che sarebbe diventato il territorio della futura Milano scorreva un gran numero di piccoli corsi d’acqua. Da Ovest a Est: l’Olona, il Pudiga, il Nirone, il Seveso e il Lambro.
Il console romano Marco Claudio Marcello conquistò il centro abitato celtico di Mediolanum nel 222 avanti Cristo. L’importanza della città crebbe, e i romani effettuarono diverse modifiche alla rete di fiumi e torrentelli che la costeggiavano e attraversavano. Il fiume più coinvolto in questo progetto è stato il Seveso: il suo corso naturale scorreva grosso modo da Brera verso il retro del Duomo, per poi continuare lungo tutta via Larga. Arrivato in via Pantano si allargava, appunto in una palude prima di allontanarsi dalla città lungo corso di Porta Romana.
Nel corso di decenni e secoli, il Seveso e tutti gli altri fiumi vennero progressivamente incanalati fino a costruire un anello d’acqua intorno alla città. Il risultato più vistoso e duraturo di quest’opera è stata la cerchia dei navigli, quella di cui oggi si discute la riapertura: ma fino all’ottocento e oltre, il centro di Milano era attraversato e lambito da un gran numero di canali, torrenti e fiumicelli.
Lo sviluppo industriale della città, però, condotto con criteri non proprio ragionati e rispettosi del territorio, è stato la tomba — anzi il tombino — di questa varietà idrica. Oggi, nel mondo, i fiumi in genere non vengono più combinati — anzi: si è capito che la copertura è stato un errore a cui rimediare. A Madrid, Seul, Chicago, ci sono progetti per recuperare antichi corsi d’acqua urbani, chiusi come a Milano durante lo sviluppo industriale. Se si può discutere sul fatto che l’operazione di chiusura sia stata un bene o un male per la città a livello di vivibilità e di paesaggio, è comunque indubbio che sia stata fatta male.
Ogni anno o quasi, infatti, una porzione variabile di questi corsi d’acqua sotterranei torna a vendicarsi allagando la superficie della città. Il problema più grave e ricorrente è proprio il Seveso. Il fiume è stato intombinato a partire dagli anni ’30 e oggi entra sotto terra prima di Niguarda, in via Ornato. Poi prosegue verso piazzale Istria e viale Zara per poi versare la maggior parte delle acque nel naviglio della Martesana, sotto via Melchiorre Gioia.
E qui torniamo al comunicato del Comune, che invita i cittadini a non parcheggiare le macchine “nelle zone particolarmente a rischio per l’esondazione del Seveso,” senza che ci sia nemmeno bisogno di specificare quali. Ogni anno il Seveso straripa senza che nessuno sembri in grado di fare nulla per impedirlo: nel periodo compreso fra il 1976 e il 2000, il fiume è uscito dai dalle tubature 62 volte.
La conduttura in cui il Seveso è forzato, infatti, è stata forse pensata in modo discutibile e nel corso del tempo ha avuto anche dei problemi di manutenzione. In occasione delle piene del 2014, l’anno peggiore per i danni causati da questi fenomeni, la colpa venne data a una serie di concause tra cui la presenza di numerosi detriti nell’alveo sotterraneo, che restringevano il passaggio dell’acqua favorendo gli straripamenti. In quell’occasione le acque hanno raggiunto addirittura il quartiere dell’Isola, un fatto mai visto durante le piene del Seveso.
Nel corso del tempo si è provato ad ovviare al problema delle esondazioni in molti modi, ma senza un successo definitivo.
Negli anni ’80 venne costruito il cosiddetto canale scolmatore, che da Palazzolo di Paderno sottrae le acque in eccesso del Seveso per dirottarle, dopo un lungo percorso in pianura, nel Ticino. Questo canale è un’idea discutibile a livello ambientale, visto che porta al fiume più pulito d’Italia le acque di uno di quelli più sporchi, ma soprattutto, una volta inaugurato nel 1980, si è scoperto che non funziona.
Un’altra proposta sono le cosiddette vasche di laminazione. L’idea è piuttosto semplice: creare delle gigantesche piscine in cui il fiume — che per fortuna, nel caso del Seveso, quando è in piena si gonfia a dismisura ma non raggiunge mai portate drammatiche — può riversare una parte delle acque in eccesso. Il problema, principale, in questo caso, è che nessuno vuole avere vicino a casa delle vasche di acqua sporca. I sindaci di Senago e Bresso, due dei comuni in cui le vasche dovrebbero essere costruite, sono riusciti a bloccare il progetto, con una serie di ricorsi e controricorsi che durano ancora oggi.
Negli ultimi trentacinque anni, inoltre, la città è stata protagonista di un curioso fenomeno idrogeologico: la chiusura delle grandi acciaierie a nord della città, che impiegavano una grandissima quantità di acqua dal sottosuolo, ha portato a un progressivo innalzamento dell’aumento dell’acqua di falda, che è tornata su livelli più naturali. Questo minaccia alcune fermate della metropolitana, progettate quando la falda era più bassa, e rende in generale più difficile per il terreno assorbire grandi quantità di precipitazioni. Inoltre, la sempre maggiore cementificazione del suolo urbanizzato riduce la capacità di drenaggio del terreno, quindi aumenta il flusso d’acqua che finisce nei fiumi, facendoli esondare.
La città deve rassegnarsi al fatto che il millenario sfruttamento dei propri corsi d’acqua non sempre è stato fatto secondo i migliori principi, e non sempre ha portato buoni risultati. Il primo porto fluviale di Milano, situato tra San Babila e via Larga, venne distrutto intorno al 200 d.C. proprio da una piena del Seveso, e nel 1700 il problema delle esondazioni del fiume si presentava in corrispondenza di porta Vittoria, dove all’epoca passava una parte del suo corso. Oggi, visto anche l’aumento di fenomeni metereologici sempre più improvvisi ed estremi a causa del cambiamento climatico, è importante ripensare a una convivenza più sana e costruttiva con i corsi d’acqua del territorio rispetto alla loro reclusione sottoterra.
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