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in copertina, il naviglio grande durante la secca primaverile. foto di Van Loon

Dieci anni fa riaprire i navigli di Milano era un’idea da bar. Oggi la situazione è profondamente cambiata. Abbiamo provato a capire cosa c’è sotto i futuri navigli di Milano, con un approfondimento in tre parti.

Dieci anni fa riaprire i navigli di Milano era un’idea da bar. Del resto la città era molto diversa, e anche la considerazione dei canali che erano e sono aperti — il Naviglio Grande, la Darsena che versava in stato di abbandono e il Naviglio Pavese, più la Martesana — non era quella di oggi. Quando si sente recriminare contro la barbarica chiusura dei navigli negli anni ’20, che in un colpo solo ha cancellato quasi tutto il patrimonio idraulico milanese, ci si dimentica ad esempio che fino al 2009 la Darsena sarebbe dovuta diventare un gigantesco parcheggio. Il folle progetto venne fermato per un soffio; c’è da chiedersi come sarebbe diversa non solo quella zona di città, ma l’intera Milano, se i lavori fossero stati iniziati e terminati. Poco tempo dopo, Stefano Boeri si scagliava contro chi voleva pedonalizzare le sponde dei navigli, con argomenti non illogici, ma che letti nella Milano di oggi sembrano elaborati su un altro pianeta.

La situazione, infatti, è profondamente cambiata. L’attuale sindaco, Beppe Sala, è un grande sostenitore della riapertura dei navigli e ha annunciato che intende far avviare i primi lavori entro la fine del 2020, con il sostegno anche del nuovo presidente regionale Fontana. Il primo tratto d’acqua da riportare alla luce sarà probabilmente il naviglio della Martesana, che al momento scorre sotto l’asfalto di via Melchiorre Gioia fino in via San Marco, insieme a quattro tratti della centralissima Fossa interna. Il sindaco ha annunciato una consultazione pubblica che dovrebbe tenersi entro la fine di questo mese, in cui ogni milanese sopra i sedici anni — ma anche ogni pendolare che ogni giorno frequenta Milano — potrà dire la propria prima dell’avvio della stesura definitiva del progetto e dei lavori. L’organizzazione di questo brainstorming collettivo è stata affidata all’assessore alla partecipazione pubblica, Lorenzo Lipparini.

La città di Milano sorge al confine geologico tra l’alta pianura, i cui terreni ghiaiosi lasciano affondare l’acqua, e la bassa pianura, che grazie al proprio suolo argilloso tende a portare l’acqua in superficie — sorge, insomma, lungo la cosiddetta Linea delle risorgive, un’area ricchissima di acqua. Fin dall’antichità i celti e i romani hanno incanalato i fiumi e i ruscelli della zona per scopi civili e militari. Il Naviglio grande ad esempio risale circa al 1200, la Martesana circa al 1450. Anche la cosiddetta Fossa interna poteva vantare una storia quasi millenaria, essendo stata costruita sulle rovine della città distrutta dall’Imperatore Barbarossa nel 1162.

Venne interrata dalla dittatura fascista nel 1929, mentre Milano si stava espandendo sempre più rapidamente come capitale economica del paese: oggi al suo posto ci sono una serie di viali percorsi dalla linea di autobus 94.

L’idea di rigettare quest’importante arteria cittadina e ripristinare il naviglio è sempre stata — per così dire — sepolta sotto la cenere del dibattito pubblico milanese, con poche voci che ciclicamente l’hanno riproposta, spesso come provocazione, almeno negli ultimi trent’anni. Marco Formentini, sindaco di Milano dal 1993 al 1998 per la Lega Nord, è stato il primo politico di peso a dichiarare di essere interessato alla riapertura dei canali — guadagnandosi a distanza di dieci anni, durante lo show televisivo Rockpolitik, l’approvazione di Adriano Celentano — ma di non aver potuto nemmeno discutere seriamente del progetto nelle sedi adeguate a causa di una serie di veti incrociati.

Negli ultimi sette-otto anni, la diffusione, la credibilità e l’apparente solidità dell’idea sono aumentate. Arrivati al 2018 la proposta di riaprire i navigli ha raggiunto un consenso diffuso tra la popolazione milanese, con sfumature che vanno dall’entusiasmo urbanistico all’indifferenza. La maggior parte degli scettici temono che i navigli puzzino, portino zanzare e congestionino il traffico: ma queste opinioni prima hanno iniziato a non essere più così dominanti da impedire qualsiasi discussione sul tema, poi sono diventate non centrali nel discorso, infine sono state archiviate e eliminate dal dibattito pubblico.

La proposta sembra essersi consolidata quasi senza nessuno a spingerla esplicitamente. In realtà, però, l’accelerazione degli ultimi anni ha un padre ben preciso: Roberto Biscardini, già professore di Architettura al Politecnico di Milano, che nel 2007 l’ha elaborata ed esposta in modo compiuto insieme ad Andrea Cassone nel suo corso “Teorie urbanistiche e qualità urbana.”

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“L’idea di riaprire i Navigli che sono stati chiusi — è meglio dirla così — dal ’29 al ’60 è venuta a me e al mio collaboratore nel 2007, quando insegnavo in facoltà di architettura,” ci ha raccontato al telefono Biscardini. Oggi, Biscardini è presidente dell’associazione “Riaprire i navigli,” un ente fondato anche da lui che con la sua attività di promozione e sensibilizzazione è stato decisivo nel tramutare un’idea affascinante in qualcosa di vero. “Abbiamo coinvolto tutti i comuni esterni, le scuole, la politica, il Touring club, la camera di commercio, propugnando l’idea — che era già nel nostro volantino — che ci guadagneremo tutti,” prosegue Biscardini. Nel corso degli ultimi cinque anni, l’associazione ha tenuto più di duecento eventi pubblici in cui ha continuato a spiegare, illustrare, promuovere la propria visione di Milano.

Il prestigio personale di Biscardini ha fatto la sua parte. Il fondatore dell’associazione ha incarichi politici attivi dal 1974, quando venne eletto consigliere comunale nel PSI pre-Craxi nella città di Gorgonzola — uno dei comuni, tra l’altro, attraversati dalla Martesana. In seguito ha ricoperto vari incarichi in consiglio regionale, in consiglio comunale a Milano e al Senato, dal 2004 al 2006. Oggi è membro della segreteria nazionale del nuovo PSI.

Il 2011, per la riapertura dei navigli, è una data fondamentale. Quell’anno in città si sono tenuti una serie di referendum consultivi su questioni di riqualificazione urbana e interesse pubblico, come Ecopass e Expo, promossi dal comitato Milano si muove. Quel referendum, che ebbe un ruolo decisivo nell’affondare la possibile rielezione di Letizia Moratti e portare a Palazzo Marino Giuliano Pisapia, ne comprendeva uno anche sulla riapertura dei navigli. L’esito fu trionfale. Ecco cosa riportava Il Post all’epoca:

Sono passati con largo margine, ben oltre il quorum del 30% richiesto per la validità i cinque referendum consultivi di indirizzo sull’ambiente organizzati nel solo Comune di Milano. Alle 22 di domenica aveva votato già quasi il 38% degli aventi diritto; l’affluenza definitiva è stata del 48,99% per il primo quesito (Ecopass) e del 49,07% per verde, parco Expo, risparmio energetico e Navigli. […] i risultati indicano una nettissima vittoria dei «sì» per tutti i quesiti, [….] 94,36% per la riapertura dei Navigli.

Da quel momento l’operazione riapertura entra ufficialmente nel dibattito istituzionale del comune di Milano e della regione Lombardia.

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“È insomma cambiato lo scenario, anche grazie a un po’ di lobbying che è stato fatto nel corso degli anni,” commenta Biscardini. “Nel 2012 questo progetto è stato inserito nel piano del governo del territorio del comune di Milano, e ha funzionato come vincolo. La regione nel 2015 ha approvato all’unanimità una mozione (con l’esclusione del Movimento 5 Stelle) per affermare che non solo il progetto è interessante ma anche di interesse regionale.” Sempre la regione, nel 2016, tramite il vicepresidente del consiglio regionale, Fabrizio Cecchetti, aveva presentato un emendamento al “Patto per la Lombardia” riguardo ai navigli.

Inoltre non può essere trascurato l’impatto che ha avuto, almeno a livello retorico e immaginifico, la manifestazione di Expo2015, che aveva tra i principali punti di programma l’apertura di fantomatiche “vie d’acqua” nella parte ovest della città. Secondo il progetto originario si sarebbero dovuti scavare una serie di canali irrigui e idealmente navigabili tra il sito di Rho, sede della manifestazione, e tutta la parte ovest di Milano, attraversando i parchi della zona, come quello di Trenno o Delle cascine. Il progetto trovò l’opposizione decisa del movimento No Canal, un’associazione di cittadini che nel 2014 riuscì tramite un ricorso a impedire lo scavo delle vie d’acqua, ritenute dannose per i parchi attraversati.

Questa iniziativa idraulica e il suo naufragio, che hanno rischiato di compromettere l’intero carrozzone dell’esposizione universale, oggi sono in buona parte dimenticati — anche per merito di una martellante propaganda pro-Expo che prima e durante la manifestazione è andata in scena su quasi tutti i media italiani. La stessa campagna nel 2016 ha facilitato l’elezione dell’ex commissario unico per l’Expo, Beppe Sala, a sindaco di Milano, il quale fin dal primo giorno si è dichiarato ottimista sulla possibilità di riaprire i navigli nel centro storico della città. L’idea di ripristinare le vie d’acqua nel centro storico si adatta bene alla sua visione della città e della politica, di un centro-sinistra molto attento ai diritti civili e alla retorica del buon governo, non molto legato alle fasce più basse della popolazione ma disposto a lanciarsi in grandi opere di trasformazione urbana.

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Sala ha spinto sul tema sin dalla propria campagna elettorale, inserendo la proposta addirittura nel proprio programma per le primarie del centrosinistra e presentandolo nel primo confronto diretto coi rivali Majorino e Balzani, il 20 gennaio 2016. Una volta vinte le primarie, Sala è riuscito a sconfiggere in modo piuttosto agevole anche il rivale di centrodestra Stefano Parisi — che in un’intervista di ottobre 2017 si è peraltro dichiarato contro la riapertura dei navigli in quanto “ridurrebbero la viabilità.”

Una volta arrivato a Palazzo Marino, Sala ha mantenuto la promessa, continuando a sostenere la bontà della sua proposta del 2016, che in pratica ha mantenuto fino ad oggi. Il sindaco, all’inizio, prevedeva di indire un nuovo referendum sulla questione, a cui la cittadinanza avrebbe potuto rispondere sì o no. Ma poi sembra aver cambiato idea, preferendo affidarsi alla consultazione popolare di cui parlavamo in precedenza. “Abbiamo contestato l’idea del referendum perché ce n’era già stato uno nel 2011,” commenta Biscardini. “Il dibattito pubblico invece è positivo. Sì o no l’abbiamo già detto nel 2011: è un modo un po’ stupido e manicheo di affrontare la questione. Il dibattito pubblico potrebbe far emergere delle questioni, che a nostro avviso sono sostanzialmente due: come finanziare l’opera — secondo noi anche da privati — e la qualità dell’architettura.”

Da come se ne sente parlare, sembra che l’inizio dei lavori sia imminente, ma in realtà non esiste ancora un progetto che sia anche solo remotamente definitivo.

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