Le campagne reazionarie contro i rifugiati, contro il diritto all’aborto, la parità di genere e l’omosessualità, in Polonia affondano le proprie radici in un’epica nazionale lunga più di un millennio.
La ragazza sembra posseduta. Scuote il microfono come se fosse il testimone che si passano i podisti. Chiude gli occhi, inala l’aria elettrica attorno a sé e ruggisce, la sua voce si spande poderosa. Il plotone reagisce compatto, seguendo il canto che lei intona, sulla melodia delle chitarre sparata a tutto volume dagli altoparlanti portatili. Ogni truppa vibra alla stessa nota; in testa ad ogni corteo le insegne della città di provenienza e una, due, tre coppie di sposini per mano. Ogni compagine si ferma ordinatamente al semaforo rosso, senza che l’entusiasmo orgiastico del canto diminuisca, attende gioiosa l’attraversamento.
Sembra che i vari reggimenti, pur accomunati dalla stessa fede, cerchino di sovrastarsi, urlando a squarciagola canti religiosi dal ritmo incalzante. Tutti i pellegrini sorridono, chiedono e incassano il supporto della folla che cede loro la strada, acclamandoli a gran voce. Nell’armamentario di icone dei santi, immagini votive, opuscoli per le preghiere, si staglia onnipresente un altro simbolo: la bandiera della Nazione, della Polonia, sventola imperiosa sopra ogni gruppo di devoti, anche dagli zaini spuntano fedelmente dei gagliardetti bianco-rossi. Li distribuiscono tra i presenti, sembrano voler coinvolgere anche loro nella celebrazione estatica del sentimento religioso.
Siamo a Częstochowa, Polonia meridionale, tra credenti commossi, slogan nazionalisti e adolescenti che si scattano selfie con il monastero sullo sfondo.
Częstochowa non è un luogo qualunque. Nel 1655 presso il locale monastero di Jasna Gora, sede della veneratissima icona della Madonna nera, l’esercito polacco riuscì miracolosamente a resistere all’invasore svedese per la prima volta dall’inizio delle ostilità. Re Casimiro dedicò quindi la Polonia alla Madonna, consacrata da allora Regina del Paese. Nel 1979, in una delle sue prima visite ufficiali come papa, davanti ad una folla oceanica radunatasi a Częstochowa da tutta la Polonia, Karol Wojtyla si rivolse alla folla, o forse piuttosto alla nomenklatura comunista al potere:
“La Storia della Polonia può essere scritta in modi diversi… Ma se vogliamo sapere come questa storia si rifletta nel cuore dei Polacchi, dobbiamo venire qui… Dobbiamo sentire l’eco della vita della nazione nel cuore della sua Madre e Regina”.
Raccontare la Polonia e lo smantellamento delle istituzioni democratiche che vi sta avvenendo, come fanno Krytyka Politycnza (storico foglio della sinistra polacca) e, in Italia, Eastwest e East Journal, è utile anche a capire qualcosa in più della crisi di quella democrazia liberale che si candidava a “Fine della Storia” poco meno di trent’anni fa. E anche della declinazione nostrana di questa crisi.
La Polonia è il sesto stato per popolazione in Unione europea, ha più abitanti da sola di tutti gli altri nove stati entrati con lei nel 2004. Buona parte del confine orientale dell’Unione europea coincide con il confine polacco. È un Paese in fiorente crescita economica, con una cittadinanza pressoché mono-etnica e, appunto, mono-religiosa. L’anno scorso i principali membri del governo hanno partecipato all’incoronazione di Gesù Cristo a re del Paese.
Poiché “le famiglie belle sono tutte uguali e quelle brutte lo sono ognuna a modo suo”, si deve resistere alla tentazione di derubricare il crescente autoritarismo di Varsavia alla stessa pagina di quello della vicina Ungheria. Nella svolta illiberale che la nascita del governo PiS (Prawo i Sprawiedliwość, Diritto e Giustizia) nel 2015 ha impresso alla Polonia emerge un aspetto peculiare, non sempre compreso.
Un lavoro illuminante per indagare la gestazione di questa sterzata illiberale è Conversation with a Populist dell’antropologo Don Kalb. Raffinato etnografo, Kalb descrive la parabola ideologica di un gruppo di operai polacchi, dalla transizione post-comunista fino al 2009. L’idea di democrazia liberale – un sistema ordinato, fondato sul lavoro e sui vecchi valori — che questi colletti blu hanno coltivato negli anni dell’opposizione si è tradotta in un’impalcatura di aspettative tradite che, crollando, ha lasciato un vuoto. Un vuoto che il PiS prova oggi a colmare, presentandosi come l’incarnazione odierna di quello spirito nazionale polacco che ha da sempre resistito all’invasore appellandosi alla Madonna: le campagne reazionarie contro i rifugiati, contro il diritto all’aborto, la parità di genere e l’omosessualità, da queste parti affondano le proprie radici in interpretazioni di un’epica nazionale lunga più di un millennio. Qualcosa che, forse, così e così forte c’è soltanto qui in Polonia.
Generalmente, le destre odierne hanno infatti un rapporto strumentale con la religione; Salvini sventola il Vangelo e Orbán proclama di difendere la cristianità dagli infedeli, ma questi gesti simbolici appaiono come pura captatio benevolentiae a fini elettorali, per quanto efficaci. Frange ultra-radicali escluse, il loro elettorato non chiede loro di riformare in senso religioso il progetto europeo, né tantomeno di improntare la loro azione politica ai valori cristiani. Per la maggior parte degli attori nazionalisti europei, il ricorso all’elemento religioso è una questione di connotazione – l’identità nazionale ha come caratteristica di essere cristiana/cattolica.
In Polonia, per larghi settori della popolazione, si tratta invece di denotazione – l’identità nazionale polacca è la religione cattolica, come ribadiva Wojtyla quarant’anni fa, quando il comunismo sembrava invincibile. La religione non informa solo un’identità che va difesa, ma anche un progetto che guarda al futuro, un’escatologia intenzionata a trascendere i sogni di gloria dell’attuale dirigenza. Cosa significa quel tripudio di bandiere bianco-rosse qui a Częstochowa se non l’equivalenza nazione polacca-cattolicesimo? E quel cippo con inscritto “Dio Onore Patria”? I polacchi sono quasi quaranta milioni, quindi è saggio astenersi da ogni sorta di determinismo culturalista, ma l’impressione è che per una fetta ampia di popolazione quest’equivalenza sia confermata.
Per la maggior parte degli attori nazionalisti europei, il ricorso all’elemento religioso è una questione di connotazione. In Polonia si tratta invece di denotazione.
Osservando questa folla festante, viene dunque spontaneo domandarsi: in uno degli Stati che in termini materiali ha beneficiato maggiormente dell’entrata in Unione europea, quale mito collettivo può contrastare un’adesione così entusiasta, una costruzione identitaria così radicata? Si può davvero disinnescare un tale potenziale escatologico e palingenetico con politiche redistributive, rafforzamento dei diritti civili e potenziamento del welfare state? Che progetto alternativo possono offrire oggi le sinistre, o le forze liberali, insomma qualunque attore politico ispirato ad un razionalismo secolare, per insidiare una devozione così cieca e sperare che nera rimanga solo la Madonna?
volna mare è un collettivo di reporter di confine. A maggio hanno pubblicato per Dots Edizioni il libro “Il futuro dopo Lenin. Viaggio in Transnistria.”
Foto: Marco Carlone.
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