Danzica è davvero graziosa come cittadina. Anzi, diciamo pure bella, con i canali, i palazzi colorati, le navi e il verso dei gabbiani. Sono arrivata molto a nord, e si vede dal cielo, e da quel che mi dice la cartina (sempre lei, infida e indispensabile, non posso farne a meno e tuttavia non riesco a trovare sintonia) dovrei essere capace di affacciarmi sul mar Baltico e prendermi in faccia una ventata di sale.
Peccato che, gira e rigira, il mare io non riesca a trovarlo. I turisti, molti, vengono incanalati dalla stazione nel delizioso porto medievale, costruito sul fiume — quale non saprei dirvi, vi ho già detto dei miei problemi con la geografia e a quel che ho capito a Danzica di fiumi ce ne sono ben due, figurarsi. E dal delizioso porto medievale uscire è più difficile del previsto, vie, canali, ristoranti, artisti di strada, intrattenitori, ma niente mare. Sento l’odore ma non riesco a raggiungerlo e la cosa mi frustra.
“Siamo andati a vedere la partita sulla spiaggia,” mi dice più tardi, in ostello, il compagno di stanza tedesco. “La spiaggia? Dov’era la spiaggia?” chiedo io, indignata. Come ho fatto a non trovarla, girando e rigirando per ore? Lui ride. “Bisognava prendere il treno,” mi spiega, con il fare vagamente paterno che ha assunto dopo che gli ho detto che no, non so ancora come arrivare ad Amburgo, no, non ho ancora prenotato l’ostello, no, l’applicazione utilissima con le mappe che va anche offline non l’ho scaricata, e infine no, non ho collegato il cellulare al wifi, perché sono pigra e il codice era complesso. Si sarà chiesto come ho fatto ad arrivarci, fino a Danzica, da Milano, in questo modo. Ma la disorganizzazione è solo apparente, alla fine le cose importanti le faccio sempre e i treni li prendo nella direzione giusta (per ora, ecco, magari non tiriamocela).
Quindi, questo per dire che sul Mar Baltico non riesco ad arrivarci, ma ne sento l’odore, un po’ da lontano, e mi distraggo guardando il divertente modo un po’ antico in cui i polacchi di qui cercano di spillare soldi ai turisti. Io ormai sono talmente sgarrupata nell’apparenza, capelli, giacca a vento felpa macchina fotografica penzolante e leggera smorfia da gastrite — ma sulla gastrite un altro capitolo — che a me nemmeno filano di striscio e mi lasciano gironzolare indisturbata senza offrirmi niente.
Ci sono i soliti banchi di caramelle e di gelati, i souvenir marittimi, le ragazze che preparano lo zucchero filato del colore che preferisci, rosa o azzurro o entrambi, i chitarristi virtuosi, due signori che si pavoneggiano con un serpente avvolto attorno al collo e te lo lasciano toccare se lasci una moneta nel cappello (si, okay, sono consapevole dell’ambiguità della frase, sghignazzate pure) e persino una bambina bionda, di non più di dodici anni, con un castoro al guinzaglio. Un castoro al guinzaglio sinceramente è la prima volta che lo vedo, non sembra infelice, i turisti sono in visibilio. Le fiere medievali me le immagino un po’ così, ma forse è una suggestione di tutta l’architettura medievale che ho attorno.
Poi, verso sera, appaiono anche le prostitute, che passeggiano nella piazza principale facendo roteare i loro ombrelli colorati e cercando di invitare alla conversazione gli uomini di passaggio. So che sono prostitute perché me le ricordo, anche a Cracovia, con gli ombrelli e i vestiti inaspettatamente sobri, l’espressione mai ammiccante, un po’ annoiata, mi domando che cosa dicano ai potenziali clienti. Mi fermo un attimo ad osservarle, nessuno pare prestar loro attenzione, eppure sono lì, in pieno centro turistico, che fanno, lentamente, avanti e indietro.
Prostitute e suore. Per far suonare meglio il paradosso, suore e puttane. Entrambe le categorie si incontrano spessissimo qui in Polonia. Entrambe le categorie, direi, esistono anche in Italia, anche in tanti altri paesi, ma sono nascoste, messe da parte, o forse, come le suore, in via di estinzione. Le uniche suore che ricordo di aver incontrato per la strada, a Milano, erano grigissime, vecchissime, risalenti senza dubbio all’anteguerra. Sono sicura ce ne siano di più giovani, ma non si vedono, se ne stanno dietro ai muri, nei conventi, nascoste, appunto. Qui invece le vedi dappertutto, e sul treno per Danzica, per esempio, ce ne era una giovanissima, con l’abito marrone, una grossa croce di legno al collo e una frangetta di capelli biondi sul viso. La gente si avvicinava a parlarle, e almeno cinque persone diverse hanno chiesto se potevano sedersi accanto a lei, l’hanno salutata con gentilezza e hanno iniziato a chiacchierare.
Da Varsavia a Danzica si sono moltiplicati i pianeti che compongono l’universo sotterraneo dei viaggiatori solitari. E, di conseguenza, finalmente inizio a incontrare altre ragazze, zaino in spalla, che se ne vanno in giro da sole come me. Nessuno si stupisce più o chiede più perché, solo il controllore dell’ultimo treno che ho preso, ma sospetto che il suo stupore fosse più per il luogo dove sono finita che per la modalità di viaggio — come per dire, che diavolo ci fai qui? — e non è che abbia tutti i torti.
Comunque, ragazze in viaggio. Una l’ho incontrata nell’ostello di Varsavia e le ho chiesto l’accendino perché aveva dei bellissimi capelli rosa. Non è vero, le ho chiesto l’accendino perché mi serviva l’accendino, ma aveva anche dei bellissimi capelli rosa. È seguita un’interessante conversazione di tre minuti condotta unicamente a gesti, perché ovviamente non parlava una parola di inglese. E il nostro rapporto di amicizia è finito lì. Un’altra è caracollata nella stanza dell’ostello di Danzica nel pomeriggio, portandosi dietro uno zaino almeno tre volte più grande del mio. Non ha detto nulla a nessuno, si è buttata sul letto e ha dormito fino alle sei della mattina del giorno dopo, quando, sempre senza dire niente a nessuno, è scomparsa. Mi chiedo da dove venisse e cosa andasse a fare. Noto che le viaggiatrici solitarie sono più silenziose degli uomini, se ne stanno sulle loro. Ma non posso generalizzare, alla fine ne ho incontrate solo tre. La terza appunto, era più loquace. Mi ha consigliato un gruppo Facebook, interamente in polacco ma dice che posso usare Google Translate e che tanto lo usano tutti, sul quale i camionisti offrono passaggi gratuiti ai viaggiatori. Lei così dalla Polonia è andata in Portogallo l’anno scorso e ci ha messo tre giorni, ora sta aspettando di incontrare il suo camion per la Spagna. “Magari sono solo camionisti che cercano compagnia femminile,” commenta il ragazzo tedesco. Sia io che la polacca lo guardiamo male. Che poi ve lo sto descrivendo come antipatico, questo ragazzo, quando invece è un tipo a posto, un ingegnere.
La sera compro una bottiglietta di vodka alla ciliegia, dicono che sia una specialità di questi posti, e la bevo con le gambe che penzolano sul canale. Il chitarrista virtuoso sta ancora suonando per i soldi dei turisti, saranno cinque ore che va avanti senza fermarsi.
Memo del giorno:
Se prenoti un ostello, è cosa buona e giusta annotarsi anche l’indirizzo dell’ostello, perché altrimenti è statisticamente impossibile che tu lo trovi.
Cose che mangio quando mi viene la gastrite:
- Banane
- Latte
- Gallette di riso
E basta.
Perché se soffri di gastrite e sei in viaggio, è una certezza matematica che arriverà il giorno in cui ti viene la gastrite. E non ci sono cazzi, non importa quanti Maalox mastichi nervosamente, quella viene, resta per quattro o cinque ore, poi se ne va, come le pare e piace.