L’effetto Sardegna si ferma in Abruzzo

La proposta di D’Amico non ha smosso l’astensionismo: l’affluenza finale è stata del 52%, un punto in meno che alle regionali del 2019. Il problema non è tanto la flessione dell’1%, quanto il fatto che non va a votare metà degli aventi diritto

L’effetto Sardegna si ferma in Abruzzo
foto via Instagram @marco_marsilio

Le elezioni in Abruzzo si sono concluse con una netta vittoria della destra con Marco Marsilio, che ha superato di 7 punti percentuali il campo larghissimo che sosteneva Luciano D’Amico. Marsilio ha da subito celebrato la vittoria — le prime proiezioni lo davano addirittura in vantaggio del 9% — ricordando di essere il primo presidente di regione ad essere rieletto in “30 anni.” Il presidente uscente è stato il primo a voler dare immediatamente una lettura a livello nazionale della sconfitta del centrosinistra: “Il campo largo non è il futuro dell’Abruzzo, perché era il suo triste passato, e non sarà il futuro dell’Italia.” Marsilio non si è risparmiato la retorica: “Questa è la missione della mia vita: restituire alla terra dei miei padri la forza, la dignità, il ruolo che merita.”

Che Marsilio fosse molto favorito si sapeva, ma il centrosinistra ha sperato fino all’ultimo che si materializzasse un “effetto Sardegna,” che mostrasse una mobilitazione anche a livello locale per sconfiggere i partiti di governo. La proposta di D’Amico non ha smosso l’astensionismo: l’affluenza finale è stata del 52%, un punto in meno che alle regionali del 2019. Il problema non è tanto la flessione dell’1%, quanto il fatto che non va a votare metà degli aventi diritto. Ora per la leadership dei partiti di centrosinistra la sfida è evitare che emerga un “effetto Abruzzo,” che mini i tentativi di costruire un’alleanza con cui continuare a sfidare la coalizione di governo. A contrastare questa inevitabile narrazione ci ha provato subito Stefania Pezzopane, ex presidente della provincia dell’Aquila: “Comunque sia il centrosinistra è ripartito, una grande unità e un campo larghissimo, siamo in campo. È importante quello che abbiamo fatto, può essere un messaggio che mandiamo all’Italia.”

Le prossime fermate per la coalizione di centrosinistra sono le elezioni regionali in Basilicata e in Umbria. L’urgenza è quella della Basilicata, dove si vota il 21 e il 22 aprile, e bisogna capire se è possibile chiedere un passo “di lato” ad Angelo Chiorazzo, senza che il suo diventi un altro caso Soru — il candidato centrista che con il suo 8% ha rischiato per solo un migliaio di voti di far perdere le elezioni ad Alessandra Todde.

Entrambe le coalizioni, nel frattempo, devono confrontarsi con tensioni interne che sono destinate a diventare solo più problematiche. Per la destra la dinamica che sembra affermarsi è che Forza Italia è un partito più solido e vitale della Lega di Salvini: in Abruzzo FI ha preso quasi il doppio dei voti della Lega — una differenza tale da quietare, probabilmente, le tensioni sui bus di Forza Italia per i fuorisede. Nel centrosinistra resta il problema ormai storico della cattiva performance del M5S sui territori: la sigla dovrebbe essere quella che più facilmente parla a chi si astiene, ma finora non solo non riesce a mobilitare quel gruppo, ma ha una performance nettamente inferiore rispetto alle elezioni politiche, a causa di un effetto NIMBY che il Movimento non ha mai superato.


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