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Dopo 30 ore di negoziato, il Parlamento, la Commissione e il Consiglio europeo sono arrivati a un accordo al ribasso sulla riforma del mercato europeo del carbonio, sulla “Carbon tax alle frontiere,” e sul Fondo sociale per il clima

Il Parlamento europeo ne parla come di una vittoria, dicendo che il principio di “chi inquina paga” è “al cuore della politica climatica europea,” e che l’accordo “aumenta le ambizioni per il 2030.” Secondo Roberta Metsola il risultato “rende l’Europa il termine di paragone per gli altri attori globali,” mentre l’europarlamentare tedesco del PPE Peter Liese, che ha guidato la trattativa, ha descritto l’accordo “la più grande legge climatica mai negoziata in Europa,” che “da più spazio per respirare per cittadini e aziende, ma poi [segna] il momento decisivo per la decarbonizzazione.”

In realtà, il risultato della trattativa è per lo più lineare: ad esempio, il Parlamento europeo voleva mettere fine alle quote di emissione gratuite per le industrie dell’acciaio, del cemento e della chimica nel 2032, la Commissione e il Consiglio volevano tirare avanti altri quattro anni, fino al 2036, per cui ci si è accordati per il 2034. Il Parlamento chiedeva un impegno per utilizzare tutti i guadagni del mercato del carbonio per l’azione climatica, ma di fronte alla resistenza di Commissione e Consiglio il testo dice solo che gli introiti “saranno” (sic) destinati al contrasto della crisi climatica, senza fornire altri dettagli o scadenze. Un’eccezione è la separazione delle politiche per utilizzi commerciali e utenti privati, fortemente voluta dal Parlamento, e che invece è stata abbandonata perché ritenuta irricevibile durante la trattativa. Resta invece un richiamo alla necessità di creare un “mercato del carbonio” parallelo per i combustibili fossili impegnati per le automobili e per il riscaldamento, a partire dal 2027 — uno degli elementi più controversi del pacchetto, perché rischia di far aumentare la povertà energetica se non progettato in modo equo.

L’entusiasmo delle autorità europee non è condiviso da organizzazioni ed esperti climatici: secondo il WWF l’accordo è “troppo poco, troppo tardi.” Alex Mason, che si occupa di Clima e energia per l’ufficio policy europeo dell’organizzazione, commenta che “sarebbe stato un buon accordo dieci o vent’anni fa,” e sottolinea che l’Europa “favorisce i grandi inquinatori invece di aiutare i cittadini ad abbandonare i dispendiosi combustibili fossili, continuando a distribuire permessi di emissioni gratuita dal valore di miliardi.” Sul Fondo sociale per il clima l’organizzazione non riesce a dire più che “almeno c’è,” ma anche loro sottolineano che il Fondo “rischia di legare chi se lo può permettere meno a fonti di energia costose ed inquinanti.” Secondo Carbon Market Watch, la riforma del mercato europeo del carbonio “non ridurrà l’impronta di carbonio dell’Europa abbastanza in fretta da affrontare la crisi climatica.” Sabine Frank, direttrice esecutiva di Carbon Market Watch, ha detto che la politica europea si è fatta “spaventare dallo spettro della presupposta deindustrializzazione futura dell’Europa.” Così, l’Europa chiede alle industrie di ridurre maggiormente le proprie emissioni, ma fornisce “virtualmente nessun incentivo,” e così “garantisce che lo schema fallirà.”

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