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Condizioni abitative inaccettabili, affitti esorbitanti, discriminazioni razziste: la ricerca di un alloggio per gli studenti fuori sede a Bologna somiglia sempre di più a una lotteria impazzita.

Chi ha letto l’articolo L’assurda odissea di una studentessa in cerca di casa a Bologna sa che, a settembre 2021, ero alle prese con la disperata ricerca di una casa in questa città. Durante la ricerca, mi ero stabilita provvisoriamente a casa del mio ragazzo (Bujar). In quel periodo lui è stato avvisato, con tre mesi di anticipo, che il suo contratto di locazione non sarebbe stato rinnovato e che avrebbe dovuto lasciare l’appartamento a fine novembre 2021. Dopo vari appelli disperati da parte sua e delle coinquiline, il proprietario ha accettato di prolungare ulteriormente il contratto per tre mesi, inserendovi anche me. Dopo la scadenza, solo una di noi aveva trovato una sistemazione. Così, a marzo 2022, per un mese, io e Bujar abbiamo dormito da amici, spostandoci di casa in casa con i nostri bagagli. A inizio aprile, dopo sei mesi di ricerca, ci siamo finalmente stabiliti in una stanza doppia.

Le difficoltà con cui ci siamo confrontati non sono un caso isolato: a Bologna, la crisi abitativa ha raggiunto proporzioni mai viste, e la situazione continua a peggiorare. L’aumento delle matricole universitarie, che alimenta la domanda nel mercato immobiliare, si scontra con la conversione delle abitazioni in alloggi turistici affittati a breve termine. I numeri più recenti forniti dall’Università parlano di 90.291 iscritti all’anno accademico 2020/2021, quasi 5 mila in più rispetto all’anno precedente. Secondo il sito indipendente InsideAirbnb, che si occupa di monitorare l’attività di Airbnb in varie città, ci sono 3.895 alloggi affittabili a breve termine a Bologna su questa piattaforma, con un prezzo medio di 152 euro a notte. Stando all’ultimo rapporto di Immobiliare.it Insights, l’incremento della domanda e le possibilità di profitto offerte dal turismo hanno spinto il prezzo medio di una stanza singola a Bologna a 447 euro al mese, in un aumento del 16,7% rispetto al 2021.

Luca Dondi, amministratore delegato della società di consulenza Nomisma, ha affermato in un’intervista recente per il quotidiano La Repubblica che, a Bologna, “gli studenti in questo momento sono quasi espulsi dal mercato immobiliare.” Ampiamente divulgata sui mezzi di comunicazione è stata la lettera della giovane lavoratrice Gaia Sallemi al sindaco Matteo Lepore e alla vicesindaca Emily Clancy, che denuncia l’aumento dei prezzi, la mancanza di condizioni di abitabilità, l’impossibilità di trovare alloggio senza garanzie dei genitori o fideiussione bancaria, e l’assenza di una vera e propria tutela contro le truffe immobiliari. 

La casa-prigione

La verità è che, a fine febbraio, quando si avvicinava la scadenza del contratto straordinario, io e Bujar pensavamo di avere già una stanza dove trasferirci. Si trattava di una doppia dentro le mura, in un appartamento condiviso con un lavoratore diciannovenne. Anche se, nel momento della visita, la casa esalava un pessimo odore, eravamo talmente stanchi di cercare che abbiamo firmato il contratto senza indugi. Quando Bujar è andato a portare le prime valigie nel nuovo appartamento, si è trovato di fronte a uno scenario catastrofico: vestiti sporchi in cucina, decine di sacchi pieni di immondizia a bloccare l’entrata, bottiglie, piatti sporchi e resti di cibo dappertutto, sigarette spente per terra ovunque. 

Come se non bastasse, quella che sarebbe dovuta essere la nostra futura stanza era temporaneamente occupata da un uomo di quarant’anni, amico del coinquilino. Nessuno qui vuole esprimere giudizi morali sulle condizioni igieniche o sugli ospiti altrui, ma in un appartamento condiviso anche la proprietà ha la responsabilità di garantire le condizioni di convivenza — responsabilità che in questo caso, come in molti altri, non è stata presa in carico. 

Dopo aver più volte discusso con l’inquilino, peraltro a noi totalmente sconosciuto, sulla pulizia della casa e sulla permanenza indeterminata del suo amico, senza ricevere da parte sua nessun riscontro, abbiamo deciso di rivolgerci al proprietario per uscire il prima possibile dal contratto. Si può immaginare la frustrazione nel dover rinunciare a una casa dopo mesi di ricerca inconcludente, e penso che questo sia sufficiente a far percepire la gravità della situazione che ci si presentava. 

La reazione del proprietario alla nostra richiesta è stata di grande stupore, parzialmente giustificato dalla nostra precedente insistenza nell’avere il contratto il prima possibile. Comunque, nonostante gli avessimo descritto le condizioni in cui versava l’appartamento che dava in affitto, non si è mai preso la briga di visitarlo personalmente. Convinto che la nostra decisione fosse conseguenza di un semplice capriccio, ha tenuto la nostra caparra di due mensilità d’affitto. 

In seguito, abbiamo scoperto che, dopo di noi, in quella casa, sono entrate due matricole, che si sono ritrovate a convivere col famigerato inquilino e un altro uomo (diverso da quello che Bujar aveva incrociato), descritto da loro come minaccioso ed aggressivo, che si comportava come padrone della casa. Questo personaggio ha suscitato in loro una paura tale da togliergli il coraggio di denunciare la situazione al proprietario. Dopo un’irruzione della polizia nell’appartamento, si è scoperto che si trattava di un uomo agli arresti domiciliari, e che l’inquilino aveva firmato illecitamente dei documenti per permettergli di trascorrereil tempo di detenzione. Solo dopo questa vicenda il proprietario ha deciso, con tre mesi di ritardo, di restituirci la caparra che aveva trattenuto, stando comunque attento a detrarre 200 euro “per non aver smaltito il vecchio letto,” come avevamo promesso di fare.

I colloqui

Dopo questa storia burlesca, la nostra lunga ricerca di casa è andata ancora avanti. Nel periodo delle lauree, siamo riusciti a visitare molte più stanze rispetto all’inizio dell’anno accademico. Ne abbiamo viste una tale quantità da competere con i migliori agenti immobiliari. La visita degli appartamenti rappresentava, però, solo il primo passo di un lungo percorso ad ostacoli.

Rispondevo agli annunci più disparati, cercando di presentarmi come la coinquilina ideale. Mi è capitato di dover scrivere una mail “spontanea” con “BREVE presentazione e info generali” e “qualsiasi altra cosa” io mi sentissi “di condividere”, per poter essere ammessa alla visita di una stanza. Nelle preziose volte in cui riuscivo ad avere un colloquio (cosa che avveniva, in media, una volta ogni 63 risposte ad annunci), il rischio che quest’ultimo saltasse era sempre dietro l’angolo. Quando si concretizzava, poteva comunque rivelarsi un fiasco, o per la stanza in sé (stanze senza finestra, stanze di cui si doveva comprare tutto l’arredamento ai precedenti coinquilini…), o per le condizioni offerte (proposte di affitto in nero, contratti che scadevano da lì a sei mesi…). 

Ma ho imparato anche a non crearmi false speranze dopo colloqui apparentemente di successo. Come quello in cui, al posto di me e Bujar, gli inquilini rimanenti hanno prediletto una candidata disposta a pagare 540 euro per prendere come singola una stanza doppia a 270 euro il posto letto. O quello in cui una ragazza di trent’anni (io e Bujar ne abbiamo ventiquattro) ci ha intervistato per una doppia, per poi, quasi due settimane dopo, informarci “per correttezza” che, nonostante le stessimo simpatici, aveva rimesso l’annuncio online per cercare persone della sua stessa età. Sono sicura fosse in buona fede, però per noi è stato l’ennesimo schiaffo in faccia. 

Non sono mancati colpi di scena. L’unica volta in cui ho avuto un riscontro positivo dopo una visita è stato per una stanza singola che anche Bujar aveva visitato una settimana prima, e nella quale riponeva molta fiducia. Non avendo più un contratto di affitto che certificasse la sua condizione di fuori sede, Bujar ormai rischiava di perdere la borsa di studio. Fortunatamente, pochi giorni dopo, abbiamo ricevuto una risposta positiva per una doppia. Avendo però dato la mia parola sulla camera singola, ho dovuto pagare agli inquilini una settimana dell’affitto, nonostante avessi disdetto prima dell’inizio del mese in cui sarei dovuta entrare, e nonostante l’ovvia facilità nel trovare qualcuno che prendesse il mio posto. Ad approfittarsi della situazione immobiliare, purtroppo, non sono soltanto i proprietari.

Genitori garanti italiani

Dopo la barriera degli inquilini, arrivava la parte più faticosa: il contatto con i proprietari e/o l’agenzia immobiliare. A tale proposito, ho due storie da raccontare. 

La prima è successa a gennaio. Bujar, che ha origine albanese ma nazionalità italiana, ha inviato tutta la documentazione richiesta per affittare un monolocale, per poi ricevere dall’inquilina uscente la seguente risposta:

“Ciao, ho sentito i proprietari e purtroppo mi hanno detto di dirti che la proprietà non ha accettato la proposta… mi dispiace! Mi hanno detto che è perché hanno bisogno di genitori garanti italiani siccome hanno avuto brutte esperienze in passato.” 

Di fronte all’indignazione di Bujar, la ragazza si è immediatamente corretta:

“Sì, dicono che hanno bisogno di genitori residenti in Italia. Perché le cose delle buste paghe ecc sono diverse da quanto ho capito.”

Visto che la madre di Bujar, che lui aveva presentato come garante, è residente in Italia da oltre vent’anni e ha un contratto di lavoro stabile, questo tentativo di giustificazione è risultato ancora più insolito del primo messaggio. 

Bujar ha allora deciso di scrivere all’agente immobiliare responsabile dell’affitto del monolocale. In una lunga mail, ha messo in chiaro la gravità dell’atteggiamento del proprietario, citando pure l’articolo 43 del Testo Unico sull’Immigrazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, comma 2, lettera c): “In ogni caso compie un atto di discriminazione: c) chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso (…) all’alloggio (…) allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità.” 

La risposta è arrivata poco dopo, e penso che non abbia neanche bisogno di commenti:

“Premesso che la proprietà è libera di locare il proprio immobile a chi desidera e non c’è alcuna norma che stabilisca l’obbligo di concedere in locazione il proprio bene a soggetti immigrati, sia chiaro che non vi era alcun atteggiamento razzista ma solo una significativa incertezza sulle garanzie di solvibilità del conduttore […]. A seguito della Sua e-mail ho sciolto ogni dubbio e Le confermo che la proprietà non intende concederLe in locazione l’immobile. […] Un’e-mail analoga, scritta da un italiano, di origini italiane, bianco, cattolico ed eterosessuale, avrebbe sortito le medesime conseguenze.” 

Qualche tempo dopo, siamo stati scelti da un gruppo di inquilini per subentrare in una doppia. Come ormai è di prassi, abbiamo inviato una mail formale all’agenzia immobiliare che si occupa dell’affitto in questione, allegando i nostri documenti di identità, quelli dei nostri garanti e le rispettive buste paghe. Dopo una prima risposta non troppo gentile, è arrivata una seconda mail da parte dell’agenzia: “Una domanda: avete permesso di soggiorno?” Abbiamo chiarito che non ne avevamo bisogno, per cui ci è stato detto che si era trattato di un equivoco. 

Un po’ più tardi, nello stesso giorno, l’agente immobiliare ha cercato di liquidare la nostra proposta, sempre via mail: “Buonasera, avevo già detto al sig. Rossi [uno dei coinquilini uscenti] che la Proprietà non accetta persone con reddito non italiano, quindi mi spiace ma non accettiamo il subentro della Sig.ra Ines Faria e relativo garante.”

Pensando precisamente a questa evenienza, noi avevamo specificato che il fratello di Bujar sarebbe stato disposto a fare da garante per l’intero importo della stanza doppia (440 euro). Abbiamo quindi riaffermato la disponibilità e idoneità del fratello di Bujar per fare da garante a entrambi. L’agente immobiliare si è esasperata: “Avrebbe dovuto mandare solo i documenti di suo fratello e non quelli esteri se sapeva che la Proprietà non li avrebbe accettati. Così mi fa perdere tempo e crea solo confusione. Comunque sarà la proprietà a decidere se suo fratello è abbastanza capiente per tutti e due. A tale proposito chiedo anche la dichiarazione dei redditi di suo fratello […]”. Bujar: “Salve, nella mail ho già allegato il CUD di mio fratello, che dovrebbe essere la dichiarazione dei redditi. Sono a disposizione per ulteriori chiarimenti.” Qui l’agente immobiliare ha perso la calma, scrivendo una mail tutta in caps lock e senza punteggiatura per sottolineare la nostra stupidità: “NO IL CUD NON È LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI.”

La vicenda è finita senza sorprese: “Buonasera a tutti, la proprietà ha rifiutato il subentro, non ritenendo sufficienti le garanzie del Sig. Agron A. [fratello di Bujar].” Come ho già riferito, Bujar prende la borsa di studio da fuori sede, e la borsa di studio dovrebbe servire proprio a eliminare la necessità di affidarsi alla famiglia per un supporto economico. Chiedere delle garanzie economiche a persone che ricevono degli aiuti statali a causa della scarsa capacità economica del nucleo familiare è un paradosso che mette a rischio la funzione stessa delle borse di studio e, di conseguenza, il diritto allo studio.

Portando avanti questa ricerca rocambolesca, mi sono trovata sempre più sconvolta dall’aggressività con cui io e Bujar veniamo trattati per via delle nostre origini e della nostra situazione economica. Non riesco a immaginare cosa debbano sopportare le persone in posizioni vulnerabili ad attacchi razzisti e in situazioni di vero disagio economico. Mi stupisce l’insensibilità con cui viene trattata una questione così delicata come l’abitazione. Su di noi, che abbiamo una certa sicurezza familiare, le conseguenze di questa insensibilità sono in certa misura riparabili ma, su persone senza nessuna forma di supporto economico e sociale, può significare andare a vivere per strada.

 


In copertina: foto di RitaMichelon da Pixabay

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