Il Pride visto dalla provincia
Fuori dalle grandi città è più difficile accettarsi e lottare contro le discriminazioni. Ma le cose cambiano, come a Cremona e a ‘Milano nord-ovest’: abbiamo chiesto a tre attivisti come hanno riconquistato anche le strade di provincia con i Pride diffusi
Fuori dalle grandi città è più difficile accettarsi e lottare contro le discriminazioni. Ma le cose cambiano, come a Cremona e a ‘Milano nord-ovest’: abbiamo chiesto a tre attivisti come hanno riconquistato anche le strade di provincia con i Pride diffusi
Quest’anno per la prima volta molte province e piccoli centri abitati ospiteranno dei Pride locali: dal primo a Cremona il 5 giugno a quello di Milano Nord-Ovest, che attraverserà molti comuni fuori dalla città. Nonostante questo evento venga spesso banalizzato e considerato alla stregua di una festa estiva perchè “ormai non c’è più nulla per cui combattere,” bisogna riflettere sull’importanza che assume soprattutto in quelle zone in cui i giovani Lgbtqia+ spesso non hanno alcun punto di riferimento a parte i social. Gli attivisti Luce Scheggi, Matteo Rastelli e Gaia Di Paola ci hanno spiegato cosa vuol dire essere queer fuori dalle grandi città e come il Pride può influenzare le comunità locali.
Fuori! dalle grandi città
A Milano c’è via Lecco, a Roma c’è via San Giovanni in Laterano: le due strade sono accomunate dal fatto di ospitare bar gay-friendly e quindi di essere un punto di riferimento per la comunità Lgbtqia+. In più, oltre ai vari locali, le persone queer possono anche riunirsi in collettivi, gruppi di autocoscienza e associazioni.
Invece, in provincia, le possibilità di incontrarsi e parlare con qualcuno che ha avuto un’esperienza simile diminuiscono notevolmente: “mancano posti di aggregazione, quindi locali Lgbtqia+, che ospitano serate, discoteche con eventi appositi o circoli: tutte queste cose a me sono mancate.” A parlare è Matteo Rastelli (lui), attivista queer e socio volontario del Cremona Pride. Nato a Teramo, si è laureato a L’Aquila e ora abita a Cremona da quattro anni. “L’idea di comunità è più complessa da raggiungere e quindi ti senti più solo. Questo spinge molte persone ad andarsene o a chiudersi in se stesse finché non trovano un ambiente che permette loro di potersi esprimere. Nel mio caso, è successo solo con l’università e molti amici e amiche che conosco hanno avuto la stessa esperienza.”
Nel contesto provinciale, dove non c’è alcuna rappresentazione queer, quindi, le persone Lgbtqia+ faticano ad accettarsi e non si sentono comprese. Luce Scheggi (lui/lei), divulgatore queer, è d’accordo. Scheggi è nato e cresciuto in un paese nella provincia di Siena, dove le persone sotto i 35 anni sono una cinquantina. “Nel paese ci conosciamo tutti, quindi ogni minimo gesto passa sotto lo scrutinio ferreo di ogni persona. E se ogni azione e ogni gesto passano sotto lo scrutinio di persone che hanno uno standard di cosa è ‘normale’ entro dei canoni di eteronormatività ormai in disuso, ti senti in gabbia senza la libertà di esprimere il tuo orientamento sessuale e la tua identità di genere.”
Anche Gaia di Paola (lei), una delle organizzatrici del Milano Nord Ovest Pride – evento nella periferia nord-ovest della città – la pensa così: “In provincia la mentalità della popolazione tende a essere più ristretta – banalmente tutti conoscono tutti – e tendenzialmente anche più vecchia. Non dico che questo sia sempre indice di mentalità bigotta, però sicuramente la distanza tra le generazioni gioca un ruolo fondamentale. La mentalità del passato è rimasta in provincia dove banalmente è più difficile fare coming out perché tutti lo vengono a sapere il giorno dopo e non sempre questo viene accolto bene. In più, una persona potrebbe anche semplicemente voler mantenere la sua privacy, a prescindere da eventuali reazioni positive e negative che si possono ricevere.”
La mentalità chiusa tende ad amplificare l’omofobia interiorizzata nelle persone Lgbtqia+. Senza punti di riferimento e gruppi di condivisione, è più facile finire per convincersi – soprattutto a livello inconscio – di essere effettivamente sbagliati. Lo spiega Rastelli: “è un tema di cui si parla poco. Tutti quanti, dal mio punto di vista, hanno omofobia interiorizzata, sia da persone Lgbtqia+ che da alleate, perché se non ce l’avessimo non esisterebbe l’omofobia sistemica di Stato. E in una provincia spesso l’omofobia interiorizzata può avere anche dei livelli di manifestazione peggiori rispetto a una grande realtà perché statisticamente hai meno possibilità di trovare riferimenti o posti di incontro, di avere rappresentazione. Ovviamente mi riferisco soprattutto a quando non c’erano ancora i social, ora è meglio.”
Effettivamente, con i social media, le persone che nel mondo reale sono più lontane dai luoghi di dibattito politico possono ridurre questa distanza. Così, ragazzi che nel proprio paese non trovano alcun punto di riferimento fisico riescono a comunicare con altri che sono nella stessa situazione, a scambiarsi consigli e a fornire supporto reciproco. In questa rete, gli attivisti giocano un ruolo cruciale. Leggere contenuti online come quelli pubblicati da Luce Scheggi o Matteo Rastelli, i quali cercano di sradicare le discriminazioni di genere e omofobe, permette a molte persone di trovare un punto di riferimento, qualcuno che ricordi loro che non sono “sbagliate.”
Il primo Pride diffuso in provincia
“Quando c’è il Pride per la prima volta in una città avviene una rottura tra il pre e il post Pride: obbliga le persone a rendersi conto che ci sono persone Lgbtqia+ a Cremona come a Teramo e nella propria città,” spiega Matteo Rastelli, “tu lo sai ma non lo sai, lo sai ma non lo vuoi sapere, lo sai ma non le vedi soprattutto”
Sei costretto a prendere coscienza del fatto che abiti in un posto pieno di persone Lgbtqia+ ed è una presa di coscienza importante: sulla collettività di persone etero-cis il Pride ha la forza di rendere visibile l’invisibile
Durante il Pride, le persone queer percorrono le stesse strade in cui hanno subito discriminazioni, riappropriandosi della città. Con la forza della comunità, si riesce a creare temporaneamente un ambiente sicuro per le identità che non rientrano nella norma sociale.
Per questo, è importante organizzare Pride anche fuori dalle grandi città, nei piccoli centri urbani, dove di solito le persone Lgbtqia+ non trovano alcun luogo che li metta a loro agio.
Anche da questa necessità nasce il Pride Milano Nord-Ovest. L’evento diffuso è stato organizzazione in collaborazione con le associazioni Nuova Casa del Popolo di Novate Milanese, Casa Azul, GayMinOut LGBT Nord Milano e La Casa dei Diritti di Rho; i comuni di Novate Milanese, Bollate e Rho. “Volevamo creare un ambiente safe anche in provincia,” spiega Di Paola, “secondo noi è importante, anche perché c’è pure una questione, se vogliamo, di classe, in quanto non tutti possono prendere la metro e andare a Milano per un Pride.
Si deve riflettere sull’accessibilità dei Pride. Per questo, avere un Pride nel paesino di fianco o anche nel proprio paesino gioca un ruolo importante
Gli organizzatori del Pride Milano Nord-Ovest hanno ricevuto i complimenti dal parlamentare Alessandro Zan, che ha ribadito che “ogni volta che un Pride attraversa un comune, una città, o una via, rende migliore quel territorio.”
Anche Scheggi, nel suo discorso al primo Pride di Cremona, ha ribadito l’importanza di scendere in piazza in nuove città, nuovi paesi. “Festeggiamo tantissimo che un’altra città è scesa in piazza, ma ne mancano ancora troppe. Se guardiamo nell’ottica di una persona che è cresciuta con tutte le carte in regola per abbracciare il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere, come me, questo non le è stato possibile per un semplice fatto: mancanza di rappresentazione. Se io avessi visto anche solo un poster che diceva “facciamo un’assemblea”, o che nominava il femminismo, mi avrebbe potuto cambiare la vita. Allora immagina come può cambiare la vita di una persona, di un ragazzino, di una ragazzina, vedere un Pride in marcia nella propria città, che sfila senza chiedere permesso a nessuno. Sfiliamo e continuiamo a sfilare come ci pare; abbiamo tutti i diritti di riprenderci l’estetica e i simboli cattolici cristiani, perché non dobbiamo scordarci per un secondo tutto quello che ci ha tolto la Chiesa cattolica”. Scheggi si riferisce al manichino della Madonna a seno scoperto fatto sfilare durante il Pride a Cremona, che ha suscitato molto scalpore nella destra italiana: “Per il briciolo di spazi che ci stiamo prendendo le persone ci stanno criticando attaccandosi alla minima cosa, quando basterebbe guardarsi intorno per capire quali sono i problemi per cui scendiamo in piazza. Significa che stiamo facendo bene, siamo nella direzione giusta e dobbiamo continuare a dar loro noia.”
tutte le foto dal Pride di Cremona del 5 giugno, di Elena D’Acunto
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