in copertina, foto Governo del Rwanda via Twitter
L’accordo tra i governi di Londra e Kigali rappresenta la peggiore manifestazione del razzismo contro i migranti e rompe il tabù dell’applicazione del “modello australiano” in Europa. Ora chi arriva sulle coste britanniche dalla Francia rischia di essere deportato in Rwanda, a 10 mila chilometri di distanza
Il 14 aprile Priti Patel, ministra degli Interni del Regno Unito, e Vincent Biruta, ministro degli Affari Esteri del Rwanda, hanno firmato un inedito accordo di deportazione dei migranti verso il Rwanda. L’accordo è stato definito dal governo di Londra come “la prima grande partnership mondiale per contrastare le crisi migratorie globali.”
Le parole non sono state scelte a caso, anzi denotano l’ipocrisia della logica anti-trafficanti e umanitaria dell’accordo. Il problema sta proprio nell’utilizzo dell’aggettivo “mondiale.” Il Regno Unito potrà ora inviare a Kigali tutti i migranti irregolari arrivati dal canale della Manica, con un budget iniziale previsto di 120 milioni di sterline (144 milioni di euro). Non si tratta di un semplice “rimpatrio” — retorica scelta ufficialmente dall’Unione europea per rinviare i migranti nei paesi di origine — ma di una logica di deportazione indiscriminata per “risolvere” il problema degli arrivi dalle coste francesi: l’anno scorso, più di 28 mila migranti hanno attraversato la Manica dalla Francia al Regno Unito su piccole imbarcazioni. Almeno 44 persone sono morte o sono scomparse nel corso della traversata.
I rapporti tra Regno Unito e Francia non sono ottimali, anzi, la crisi diplomatica sui confini del diritto di pesca nel canale della Manica ha peggiorato ulteriormente i rapporti tra i due paesi. E la Francia non è il paese più favorevole alla solidarietà tra Stati quando si parla di immigrazione, come testimoniano i numerosi litigi con il governo italiano degli ultimi anni sul confine alpino, dove il governo francese ha ripristinato il controllo sistematico delle carte di identità, con buona pace della libera circolazione delle persone.
Il governo di Johnson ha pensato allora di sfruttare il suo peso politico e diplomatico con un paese del Commonwealth — la regola ‘Davide e Golia’ vale sempre — e di inviare i richiedenti asilo a 10 mila chilometri di distanza da Londra. Un ricatto e insieme una red flag per scoraggiare chi vorrebbe superare il canale della Manica. Nessuna possibilità di rivendicare il diritto di asilo in conformità con le normative internazionali e in accordo ai motivi che portano i richiedenti asilo a scegliere proprio il Regno Unito come paese di arrivo, come i possibili casi di ricongiungimento familiare.
Non si tratta solo del semplice “respingimento-pushback” verso il paese di partenza — in questo caso la Francia o come la politica dei respingimenti della Grecia verso la Turchia, della Spagna verso il Marocco o dell’Italia verso la Libia — ma della manifestazione ipocrita e razzista nei confronti di uno Stato del Commonwealth erto a “campione dei diritti umani,” utile a scaricare le responsabilità internazionali sul diritto di asilo. Una logica del do ut des che si iscrive in una tradizione neocoloniale che guida i rapporti tra Nord e Sud del mondo.
La pratica della deportazione è il punto di arrivo di una logica che era iniziata con i rimpatri: ad esempio l’Italia aveva firmato nel 2020 un accordo informale con la Tunisia, che aveva portato — nell’estate dello stesso anno — a un incremento dei rimpatri “veloci” pari al 40%.
Il modello britannico, però, avvicina sempre più la gestione della migrazione a quella australiana, come denuncia Human Rights Watch: “Il regime di detenzione offshore dell’Australia a Nauru e Manus Island, in Papua Nuova Guinea, ha causato più di otto anni di immense sofferenze umane. Dodici persone sono morte dall’inizio della politica nel 2013. Uomini, donne e bambini hanno subito trattamenti disumani e negligenza medica, e anni di detenzione a tempo indeterminato hanno portato a suicidi e un’epidemia di autolesionismo. Anche i costi erano esorbitanti. La detenzione di un solo richiedente asilo in Papua Nuova Guinea o Nauru è costata circa 3,4 milioni di dollari australiani”.
Il modello Australia piace anche ai politici di destra in Italia: “L’annuncio del premier conservatore Boris Johnson smentisce ancora una volta la bugia della sinistra secondo la quale l’immigrazione illegale sarebbe impossibile da fermare. Come sempre sostenuto da Fratelli d’Italia, bloccare le partenze e l’immigrazione clandestina è possibile: basta solo volerlo. Lo capiranno mai Lamorgese e company?” ha scritto su Facebook Giorgia Meloni. Un antipasto di quello che sarà la prossima coalizione di destra che si candida a governare dal 2023?
Secondo Boris Johnson il Rwanda è “uno dei paesi più sicuri del mondo.” I migranti in arrivo nel Regno Unito non saranno più ospitati in hotel ma in centri di accoglienza come quelli esistenti in Grecia, con un primo centro “aperto presto,” ha annunciato Boris Johnson. I funzionari di Downing Street hanno fatto sapere però che i primi trasferimenti potrebbero avvenire nel giro di “settimane.”
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