Nei paesi più a rischio siccità la sicurezza idrica per le popolazioni continua a peggiorare, complici il cambiamento climatico e le guerre di egemonia. La questione riguarda soprattutto l’Africa subsahariana e centrale, ma non risparmierà l’Europa. L’accesso a questa risorsa è al centro dei lavori del Forum mondiale dell’acqua in corso in Senegal.
Inizia oggi il Forum mondiale dell’acqua a Diamniadio, in Senegal — un giorno prima della Giornata mondiale dell’acqua. Il tema di questa edizione è “sicurezza dell’acqua per la pace e lo sviluppo.” Il presidente Macky Sall vuole porre l’acqua al centro del multilateralismo e delle politiche internazionali, al fine di “costruire meccanismi di risposta efficaci alle crisi multiformi e la costruzione di un mondo post-Covid-19 resiliente, prospero e stabile.” È la prima volta che il Forum si svolge nell’Africa sub-sahariana, un passo in avanti per la rappresentazione di una delle aree più interessate dalla crisi. Come ribadito dal presidente del Consiglio mondiale dell’acqua Loïc Fauchon, “in Africa, più che altrove, nelle città e nelle campagne, bambini, donne e uomini hanno bisogno di soluzioni concrete per accedere all’acqua.”
Come dichiarato dal World Resources Institute, i sistemi dell’acqua in tutto il mondo corrono rischi spaventosi a causa della gestione non sostenibile della risorsa e dell’emergenza climatica. L’89% dei prelievi d’acqua serve all’agricoltura e all’industria. Il World Resources Institute ha stimato che entro il 2030 la richiesta di acqua aumenterà del 50%, ma che questa crescita non potrà essere soddisfatta. Lo stress idrico costituisce un terreno fertile per conflitti, instabilità politica ed emigrazione.
Meno risorse idriche significano più conflitti per l’egemonia sulle risorse stesse. Soprattutto nei paesi a rischio siccità: dei 25 paesi ritenuti più vulnerabili e meno pronti ad adattarsi ai cambiamenti climatici, 14 sono coinvolti in conflitti — stima il Comitato della Croce Rossa Internazionale. Tra questi: la Libia, l’Iraq, lo Yemen, la Palestina, il Niger, il Bangladesh. In Africa sub-sahariana e occidentale altri conflitti legati alla mancanza d’acqua e di siccità stanno emergendo come in Mali, Ciad, Repubblica Centrafricana. A questo si aggiungono gli effetti delle guerre sull’accesso all’acqua della popolazione civile:
in Siria la guerra decennale — riporta la Croce Rossa — ha ridotto l’approvvigionamento idrico tra il 30 e il 40 per cento.
Il World Resources Institute ha evidenziato come il prezzo da pagare per risolvere la crisi dell’acqua sia molto più basso di quanto potremmo immaginarci. Per garantire la sicurezza delle nostre società entro il 2030, basterebbe spendere l’1% del Pil mondiale. Non solo: ogni dollaro speso porterebbe a un ritorno di 6,80 dollari. Il costo non sarà però lo stesso per tutti i paesi. Il World Resources Institute ha stimato che, per ovviare alla crisi, i diciassette stati più colpiti dovranno investire più dell’8% del proprio Pil annuale. In questo caso, quindi, risulta necessario un finanziamento da parte di organizzazioni o banche per lo sviluppo.
secondo il World Resources Institute, l’Italia nel 2040 disporrà del 50% di acqua in meno, ritrovandosi così in una situazione di “stress idrico.”
La crisi dell’acqua non riguarda esclusivamente l’Africa e gli stati in guerra. L’Italia, insieme alla Spagna, è il paese più a rischio in Europa. Il Pnrr ha messo a disposizione solo 4,3 miliardi di euro per il settore — quando, come ribadisce Alex Zanotelli sul Manifesto, servirebbero decine di miliardi solo per riparare la rete idrica che perde il 40%. Il ddl concorrenza, al contempo, sottrae la gestione dei servizi pubblici da parte dei comuni — e quindi dell’acqua. La graduale privatizzazione di questa risorsa, oltre ad andare contro l’esito del referendum del 2011, viola l’articolo 118 della nostra Costituzione.