La guerra degli idrocarburi
Joe Biden ha annunciato il divieto di tutto l’import di petrolio, gas e carbone dalla Russia. Intanto la Commissione europea ha pubblicato i punti principali del proprio piano per arrivare all’indipendenza dall’energia russa entro il 2030
Joe Biden ha annunciato il divieto di tutto l’import di petrolio, gas e carbone dalla Russia. Intanto la Commissione europea ha pubblicato i punti principali del proprio piano per arrivare all’indipendenza dall’energia russa entro il 2030
Joe Biden ha deciso di non aspettare l’Europa e ha firmato un ordine esecutivo che vieta tutto l’import di petrolio, gas e carbone dalla Russia. “Non prenderemo parte alla sovvenzione della guerra di Putin,” ha commentato Biden. Nonostante la dipendenza dall’energia russa sia molto inferiore negli Stati Uniti rispetto che in Europa, Biden ha dovuto ammettere che la decisione “non sarà senza costi anche qui a casa,” ma ha promesso che l’amministrazione farà il possibile per contenere l’aumento dei prezzi: “Questa crisi ci ricorda che sul lungo periodo, per proteggere la nostra economia, dobbiamo diventare indipendenti a livello energetico. E questo deve motivarci ad accelerare la transizione all’energia pulita.” L’anno scorso, l’8% del petrolio importato negli Stati Uniti veniva dalla Russia, ma nonostante il costo per l’economia secondo i sondaggi la maggioranza schiacciante dell’opinione pubblica statunitense è a favore della misura. Tuttavia, il costo della benzina rappresentava già un problema politico per Biden, e la situazione rischia di peggiorare nelle prossime settimane.
Il Regno Unito ha seguito Biden con un annuncio altrettanto impegnativo, anche se più di lungo periodo: il paese si impegna a essere indipendente dal petrolio russo e dai suoi derivati entro la fine del 2022, e sta prendendo in considerazione la messa al bando del gas — a differenza degli altri paesi europei, il Regno Unito da questo punto di vista è già largamente indipendente: solo tra il 3 e il 5% delle riserve britanniche dipendono dalla Russia.
La situazione, come noto, è più complessa per l’Europa. Ieri mattina la Commissione europea ha pubblicato i punti principali del proprio piano per arrivare all’indipendenza dall’energia russa entro il 2030. Nel documento vengono elencati diversi progetti per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili, e si promette di intervenire con “azioni urgenti sui prezzi” con l’intervento diretto di risorse statali, oltre che con azioni dirette sul mercato. Giovedì e venerdì si terrà a Versailles un meeting per discutere di energia. Euractiv ha visto una bozza del documento conclusivo, in cui l’Unione rinnoverà il proprio impegno a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 ma, soprattutto, all’“eliminazione graduale” della “nostra dipendenza da gas, petrolio e carbone russo.” Il documento indica cinque soluzioni per affrontare il problema: oltre a diversificare il proprio import — comprando da Stati Uniti e Qatar — e ad accelerare lo sviluppo delle energie rinnovabili, nel documento si cita la necessità di aumentare l’interconnessione tra le reti elettriche e del gas dei singoli stati membri, rafforzare i “piani d’emergenza” energetici dell’Ue, e “migliorare l’efficienza energetica.” Secondo un nuovo report del think tank Transport & Environment i paesi europei pagano in media 261 milioni di euro al giorno per il petrolio russo. Secondo il direttore del think tank, William Todts, “il gas è una preoccupazione, ma è il petrolio che finanzia la guerra di Putin.”
Gli effetti della guerra economica si fanno sentire: l’agenzia di valutazione del credito Fitch ha declassato il rating del debito russo a C, solo uno step al di sopra del default. Il documento sostiene che quest’ultimo, in ogni caso, sarebbe imminente, e potrà solo accelerare nei prossimi giorni, con l’introduzione di nuove sanzioni e con la proposta di limitare il commercio dell’energia. Secondo un esperto della banca di investimenti Morgan Stanley la data da segnare per un eventuale default sarebbe quella del 15 aprile. Intanto la Banca centrale russa ha annunciato che la vendita di valuta estera sarà sospesa fino al 9 settembre, impedendo a tutti i cittadini di “cambiare” i propri rubli in altre valute dal valore più stabile. Il cambio in direzione inversa, invece, resta permesso, così come prelevare da conti corrente in valute straniere — ma con un limite fissato a 10 mila dollari.
La guerra in Ucraina, intanto, continua senza sosta: ieri il cessate il fuoco per garantire il corridoio umanitario per uscire da Sumy sembra aver retto, anche se le autorità di Kyiv hanno accusato le truppe russe di non aver rispettato gli accordi riguardo al cessate il fuoco nella zona di Mariupol. È la terza volta consecutiva che le truppe russe non rispettano il cessate il fuoco annunciato a inizio giornata. Il ministero della Difesa ucraino ha anche denunciato che sul territorio sono operativi i mercenari del Gruppo Wagner, un’organizzazione paramilitare russa nota per le proprie operazioni in Siria, ma anche per il sostegno alle forze delle repubbliche popolari di Doneck e Luhansk. È tornata a farsi preoccupante anche la la situazione a Černobyl: l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha chiesto una rotazione del personale, circa 210 persone, che sta lavorando senza sosta da quasi due settimane sotto occupazione russa. Questa mattina, l’agenzia ha confermato di aver perso il contatto con i sistemi di monitoraggio dei materiali nucleari presenti nello stabilimento.