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“Il sesso che verrà” è l’ultimo libro della filosofa Katherine Angel, che si sofferma sulla complessità del piacere femminile in una rivisitazione foucaultiana dell’equilibrio tra rapporti di potere e sesso. Con un appunto: per le donne anche dire ‘Sì’ è complesso

Nel 1976 nell’occidente al di qua del muro si era nel pieno della rivoluzione sessuale: gli studenti occupavano le università in Europa, i campus in America, facevano l’amore liberamente, portavano nelle tracolle di pelle il Libretto Rosso di Mao ed Eros e civiltà, il saggio sessantottino di Herbert Marcuse, il più celebre dei post freudiani. Nello stesso anno Michel Foucault — che era francese, più giovane di Marcuse e si era meno californizzato, rimanendo al Collège de France e non a Stanford — pubblicò il primo volume della sua Storia della sessualità. 

Dal 1976 non si è smesso di parlare di sesso e sessualità e il dibattito si è ampliato alla questione del consenso e del piacere femminile.  Katherine Angel — filosofa e studiosa di storia della psichiatria e della sessualità — nel suo saggio Il sesso che verrà, pubblicato in Italia dalla casa editrice Blackie Edizioni, costruisce una riflessione sul sesso e il consenso nella contemporaneità, che riprende Foucault riaggiornandolo ai tempi del MeToo, del porno su internet e di una contemporaneità dove la presenza costante del sesso viene spesso scambiata per una compiuta rivoluzione sessuale.  Il sesso che verrà è uscito la scorsa estate per i tipi della britannica Verso, con il titolo, carico di buone speranze, di Tomorrow sex will be good again

Michel Foucault, nel suo saggio che chiamò La volontà di sapere, se la prese con “i marxisti, i rivoluzionari, i freudiani: tutti quelli convinti che per liberarci delle grinfie moraleggianti del passato, di un passato vittoriano e repressivo, avremmo dovuto finalmente parlare schiettamente di sessualità”  e vi scrisse: “à demain le bon sexe” ovvero “a domani il buon sesso.” La frase è sintetica e chiara: ci dice che un sesso buono sarà solo nell’avvenire, mentre resta però incerto (e non è dato sapere) se questo avvenire buono mai ci sarà. Dice anche che, al contrario, nel presente il sesso è qualcosa di complesso e articolato, che ha tanto a che fare con il potere e con la costrizione quanto ne ha con il piacere e con il godimento. La questione da porsi per Foucault non era allora quale fosse — se uno — il potenziale emancipatorio sempre presente in nuce nella sessualità, in grado di liberare non soltanto le coscienze da un super io sessualmente represso e repressivo, ma i rapporti sociali stessi dal potere opprimente del capitale.

“Unico grande bisogno — scrisse nel ‘62 Bianciardi nel romanzo La vita agra — sarebbe quello di accoppiarsi, di scoprire le centosettantacinque possibilità di incastro realizzabili fra l’uomo e la donna, ed inventarne ancora. Unirsi in piedi, seduti, supini, bocconi, inginocchiati, accoccolati, a caposotto.” Il problema per Foucault era, piuttosto, se fosse possibile trovare il modo di liberare dalle gerarchie il sesso stesso. La chiosa “A domani il buon sesso” è il nucleo dal quale Katherine Angel fa scorrere le domande e le argomentazioni che le seguono.

Nel suo saggio, Angel — di cui Blackie ha pubblicato la scorsa estate anche Bella di papà, un’analisi della figura del padre nella cultura contemporanea — lavora sullo spunto foucaultiano, che ci interroga sulla possibilità di liberarci attraverso il sesso, e sulla necessità stringente di liberare il sesso stesso, per poterne godere pienamente. Il suo focus è specificamente sulla sessualità femminile, costretta a bilanciarsi in un equilibrio precario tra lo svelarsi e il negarsi, tra la libera espressione di desiderio e di autocensura: “l’esperienza dolorosa — e familiare — di chi si sente spinta verso più direzioni, di chi deve trovare un equilibrio tra desiderio e rischio, di chi deve fare attenzione a un mucchio di cose nella ricerca del piacere […] il doppio vincolo in cui vivono le donne: dire di no può essere difficile, ma è difficile anche dire sì”. 

Il capitolo di apertura e quello conclusivo hanno carattere più pienamente speculativo e teoretico, mentre i due centrali sono dedicati al desiderio e all’eccitazione. In particolare il primo, dedicato al consenso, si occupa di quello che ha significato per la vita sessuale delle donne la rivoluzione post femminista degli anni Novanta, e l’impatto che ha avuto nella definizione delle dinamiche del sesso l’esplosione del #MeToo nel 2017. Angel riesce a mettere in luce in maniera chiarissima la fangosità e l’opacità di alcuni punti centrali del discorso contemporaneo sul desiderio, come per esempio quello di “consenso entusiastico” — incapace di tenere conto della complessità dei rapporti di forza sempre presenti nelle negoziazioni sessuali (il sesso sarà buono, domani) e della natura indecisa, ambivalente, e costituvamente incerta delle vite umane. 

L’ideale di donna sempre in grado di esprimere con chiarezza il proprio desiderio — un essere desiderante già sempre consapevole di cosa desidererà — nel tentativo di preservare l’incolumità delle donne rispetto agli abusi sessuali, corre il rischio di dimenticare uno degli aspetti essenziali di ogni relazione sessuale (e di ogni relazione umana): che nessun soggetto desiderante è autonomo, ma è anzi sempre esposto, fisicamente e psicologicamente, alla minaccia del desiderio e della presenza, altrettanto scoperta, dell’altro. Sembra rendersi necessaria una rinuncia a questo ideale di desiderio rigido, rassicurante, monolitico, per accettarne da contro la porosità e la continua incertezza, come fonti di piacere, divertimento, eccitazione. “In qualsiasi cosa facciamo, non solo nel sesso, calibriamo i nostri desideri in relazione a quelli dell’altro, e cerchiamo di capire cosa vogliamo. […] Capire cosa vogliamo è il lavoro di una vita, e dobbiamo continuare a farlo, incessantemente: forse la gioia sta nel fatto che non finisce mai.”

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tutte le foto: Blackie Edizioni