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I carri armati contrassegnati dal simbolo O sono stanziati in Bielorussia.
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Per capire la logica di un evento apparentemente illogico come l’invasione russa in Ucraina, bisogna partire dalla rottura dell’equilibrio post–1989

Per la coscienza occidentale la mattina del 24 febbraio 2022 è una rievocazione della mattina dell’8 novembre 2016, il giorno dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. La notizia dell’invasione dell’Ucraina è arrivata in modo sconvolgente, proprio come nel 2016 la vittoria elettorale del mostro col riportino e la faccia coperta di cerone – benché stavolta, almeno dagli sviluppi delle 48 ore precedenti, fosse ormai attesa. In entrambi i casi, prima che si verificasse, l’evento era stato considerato impossibile, talmente impossibile che ci si poteva scherzare sopra. Fino a una settimana fa, i leak dell’intelligence statunitense in cui si indicavano le possibili date dell’invasione venivano accolti perlopiù con derisione. 

Come nel 2016, ciò che “non sarebbe dovuto succedere” è successo, cioè che non doveva esistere esiste lo stesso. La reazione è ovviamente di shock e di incertezza, se non proprio di panico. Ma il panico alimenta l’incomprensione: l’idea che un’altra guerra “nel cuore dell’Europa” fosse impossibile, le reazioni eurocentriche sul fatto che l’invasione sia arrivata “dopo tutto quello che abbiamo passato con la pandemia,” e in generale l’impressione che la nostra linea del tempo sia impazzita, rendendo possibile ciò che era considerato impossibile — sono modi per esorcizzare la paura e non affrontare la realtà. 

Nelle ultime settimane, osservando le tensioni che montavano sul confine russo-ucraino con la logica che ha presieduto al funzionamento “normale” del sistema-mondo per gli ultimi 30 anni – chiamiamola logica post-89 – l’interpretazione che si dava degli eventi era: la Russia sta cercando di mostrare i muscoli per ottenere una soluzione diplomatica favorevole, che la riabilitasse come potenza globale, riconfermndo la sua sfera di influenza e impedisse una volta per tutte l’espansione orientale della NATO. La politica di Biden era interpretata da molti come un tentativo di non concedere nulla considerando le manovre militari un bluff. Qualcuno si aspettava un intervento militare limitato alle repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale, ma quasi nessuno riteneva credibile a un’invasione su larga scala – lo scenario che si è poi verificato. Perché sembrava appunto illogico. Esattamente come sembrava anche illogico che un miliardario star dei reality tv, un impresentabile ripetutamente accusato di molestie sessuali vincesse le elezioni americane del 2016. 

Ma la logica post-89 non è più valida. Quella logica era il prodotto di rapporti di forza specifici: il “momento unipolare” statunitense dopo la fine della guerra fredda, il processo di ricolonizzazione del mondo da parte dell’Occidente. Oggi quei rapporti di forza sono cambiati, e l’Occidente sta gradualmente perdendo il monopolio sugli elementi — economia, potenza militare, produzione ideologica — che gli hanno permesso di dominare il mondo finora. Stiamo assistendo, di conseguenza, a un riequilibrio dei rapporti di forza globali come mai si era visto dall’età del colonialismo. 

Dunque le regole e la logica post-89 non valgono più. Ma la sbornia di potere degli anni della fine della storia ha fatto sì che la coscienza occidentale smettesse di vederle come il prodotto di una contingenza e cominciasse a vederle come ferree leggi fisiche. Per cui il fatto che qualcuno possa non rispettarle e farne carta straccia sconvolge, fa lo stesso effetto di vedere qualcuno non che non rispetti la forza di gravità. Agli occhi dell’Occidente, la struttura alare di Vladimir Putin, in relazione al suo peso, non è adatta a invadere l’Ucraina, ma lui non lo sa e la invade lo stesso.

Alle nazioni che finora sono rimaste ai margini del sistema-mondo questo processo appare più comprensibile. Se quando le regole erano ancora valide erano costrette a puntare alla loro integrazione nel sistema, oggi che non sono più valide possono puntare ad agire al di fuori di esso. Ciò può avvenire tramite il tentativo di farle riscrivere in modo più inclusivo – sostituire alle vecchie regole, frutto di rapporti di forza globali sbilanciati, nuove regole frutto di rapporti di forza globali più bilanciati – oppure farle saltare direttamente. La prima strategia è quella dichiarata dalla Cina, con il concetto di “comunità globale dal futuro condiviso”, l’enfasi sul multipolarismo, l’idea che siamo entrati in un’epoca di problemi comuni che richiedono risposte comuni. La seconda strategia è quella che ha dimostrato stanotte di voler perseguire la Russia: quella del confronto aperto che presuppone e dimostra che i rapporti di forza che lo impedivano non sono più validi. 

Scriveva Giovanni Arrighi al termine de Il lungo XX secolo, nel 1994: “Per parafrasare Schumpeter, prima di soffocare (o respirare) nella prigione (o nel paradiso) di un impero mondiale postcapitalistico o di una società mondiale di mercato postcapitalistica, l’umanità potrebbe bruciare negli orrori (o nelle glorie) della crescente violenza che ha accompagnato la liquidazione dell’ordine mondiale della guerra fredda. Anche in questo caso la storia del capitalismo giungerebbe al termine, ma questa volta attraverso un ritorno stabile al caos sistemico dal quale ebbe origine seicento anni fa e che si è riprodotto su scala crescente a ogni transizione. Se questo significherà la conclusione della storia del capitalismo o la fine dell’intera storia dell’umanità, non è dato sapere.”


Mattia Salvia è il fondatore di Iconografie/Centro Studi sul XXI Secolo

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