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in copertina: disegno tratto da MAUS di Art Spiegelmann

La censura in una scuola statunitense del fumetto MAUS di Art Spiegelmann non è un caso isolato. Richiedere di vietare il dibattito su razzismo e sessismo è una pratica ormai consolidata per giustificare il razzismo e reprimere le teorie progressiste considerate “troppo divisive”

MAUS, il celebre libro a fumetti con cui Art Spiegelman racconta la storia dei suoi genitori, sopravvissuti a malapena ai campi di concentramento di Majdanek prima e Auschwitz poi, non è un libro gradevole. I suoi personaggi potranno pure essere disegnati come animali antropomorfi — gli ebrei hanno sembianze di topi, i nazisti sono gatti, i francesi rane, gli americani cani, i polacchi maiali — ma non c’è nulla della speranza e della leggerezza di un La vita è bella, né dell’ingenuità di un Bambino con il pigiama a righe. 

MAUS è un libro sull’olocausto così come è stato: brutale, orripilante, e avvenuto nel beneplacito, o quanto meno nel silenzio, di un’intera società. Racconta i traumi che si portano dietro i reduci — includendo, tra l’altro, il suicidio della madre dell’autore, divorata dalla sindrome del sopravvissuto — e non glissa sui dettagli più macabri o de—umanizzanti della Shoah. L’odio delle persone comuni per strada, che non risparmia i bambini. Gli ebrei ammassati, denudati, abbandonati in disgraziate pile di corpi. Il racconto di ciò che accade nelle camere a gas che aleggia tra i detenuti. Tutte cose che Spiegelman non si è inventato: sono accadute a suo padre, a sua madre, a milioni di persone come loro. Meno di cent’anni fa.

“Certo, ci sono immagini inquietanti. Sai perché? Perché la storia è inquietante.”

Il 10 gennaio 2022, un consiglio d’istituto in una scuola del Tennessee, nel sud degli Stati Uniti, ha deciso che MAUS non potrà più essere insegnato nelle sue classi perché il suo contenuto non sarebbe adatto agli studenti. Dal verbale della riunione emergono varie ragioni. Il libro usa un linguaggio “violento e discutibile”, dice il direttore della scuola. Si vedono alcuni personaggi nudi (poco importa che siano…topi…). Gli educatori “non dovrebbero favorire o promuovere in qualche modo questi comportamenti”, perché leggere un libro che “mostra persone che vengono impiccate, persone che uccidono bambini” non sarebbe “né saggio né salutare”, dice uno. Secondo un altro, la presenza di un suicidio nel libro minerebbe gli sforzi di “insegnare l’etica ai nostri ragazzi.”

Spiegelman stesso è rimasto sconcertato dalla notizia: “Certo, ci sono immagini inquietanti”, ha detto al Washington Post. “Sai perché? Perché la storia è inquietante.” La promessa del consiglio d’istituto di “cercare altre opere che raggiungano gli stessi obiettivi educativi, ma in un modo appropriato per gli studenti” equivale per lui a chiedere di insegnare “un Olocausto più piacevole.”

La notizia è diventata di pubblico dominio il 27 gennaio, giorno della memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto, e ha fatto subito il giro del mondo: soltanto sui media italiani la decisione è stata definita “abisso di stupidità”, o è stata fatta ricadere nella categoria, troppo generica per voler dire qualcosa ma buona per tutte le stagioni, di “cancel culture in azione.” 

Letta nel suo contesto, però, la decisione di smettere di insegnare MAUS è sintomo chiaro di una tendenza molto evidente perpetrata a livello statale dai repubblicani dall’inizio del 2021: quella di rendere quanto più difficile possibile l’insegnamento di libri che mettono in discussione determinate convinzioni relative alla razza, al sesso e all’orientamento sessuale nelle scuole. 

Gruppi come Moms for Liberty si attivano nelle scuole per bandire libri come quello di Ruby Bridges — la prima bambina nera ad andare a una scuola elementare tutta bianca in Louisiana nel 1960

Da gennaio 2021, sono 36 gli Stati che hanno presentato progetti di legge o adottato misure che vogliono limitare i modi in cui gli insegnanti possono trattare razzismo e sessismo in classe. In quattordici Stati, questi divieti sono già in vigore. 

Tra loro c’è il repubblicanissimo Tennessee, che al momento sta cercando di bandire i materiale scolastici che “promuovono, normalizzano, supportano o trattano questioni e stili di vita LGBT” dopo che a maggio dell’anno scorso ha passato una legge in cui viene stilata una vera e propria lista di questioni bandite dalle discussioni in classe perché “troppo divisive”. 

In base alla legge, è vietato dire che un individuo è consciamente o inconsciamente sessista, razzista o privilegiato perché è uomo o bianco, che chiunque oggi abbia qualche responsabilità per quello che una razza ha fatto a un’altra in passato, che la meritocrazia sia intrinsecamente distorta da squilibri di genere o razziali, che gli Stati Uniti sono un Paese razzista o sessista. Vietato anche “promuovere la divisione o il risentimento tra gruppi di persone sulla base di razza, sesso, religione, credo, affiliazione politica nonviolenta, e classe sociale.” Sono previste sanzioni pecuniarie contro i distretti scolastici i cui insegnanti violino questa legge.

Su questa base, il gruppo conservatore Moms for Liberty ha provato a far bandire 31 libri, che andavano dall’autobiografia di Ruby Bridges — la prima bambina nera ad andare a una scuola elementare tutta bianca in Louisiana nel 1960 — alla storia di Martin Luther King, definendolo “un programma fortemente parziale” che induce i bambini “a odiare il proprio Paese, l’un l’altro e sé stessi” e a pensare ai bianchi come ad una popolazione “oppressiva, arrabbiata, spaventosa, cattiva e violenta” che tuttora opprime le persone di colore.

L’American Library Association ha dichiarato lo scorso autunno che sta ricevendo quantità di richieste di rimozioni di libri “senza precedenti”

In altri casi, come con MAUS, la scusa per rimuovere i libri è che non siano adatti a bambini e ragazzi: qualche settimana fa, una scuola superiore del Missouri ha rimosso dal programma The Bluest Eye del premio Nobel Toni Morrison per “oscenità.” Va sottolineato di nuovo che non sono casi isolati: l’American Library Association ha dichiarato lo scorso autunno che sta ricevendo quantità di richieste di rimozioni di libri “senza precedenti”, e Christopher M. Finan, direttore esecutivo della National Coalition Against Censorship, dice di non vedere una cosa simile dagli anni Ottanta, all’apice delle culture war conservatrici.

La tendenza attuale è fortemente trainata da uno sforzo coordinato dai repubblicani a livello nazionale e legata a doppio filo allo spauracchio della cosiddetta Critical race theory, emerso non a caso in seguito alle proteste per l’omicidio di George Floyd e alle discussioni sempre più pubbliche sul razzismo istituzionale negli Stati Uniti. 

L’intenzione è quella di dare l’idea di una mobilitazione dal basso di genitori preoccupati per le sorti dell’educazione dei loro figli, ma gli attacchi contro specifici libri sono organizzati da gruppi come Moms for Liberty, che fanno circolare in tutto il Paese lunghi Google Doc condivisi in cui figurano “titoli controversi.” I genitori non devono poi fare altro che prendere quegli elenchi e chiedere alla loro biblioteca scolastica o agli insegnanti dei figli se quei titoli siano disponibili, e chiedere che vengano rimossi.

Finora, gli sforzi per intentare accuse penali contro bibliotecari ed educatori hanno fallito, e si ritiene che la schiacciante maggioranza delle leggi che si vorrebbero far passare in materia verrebbero facilmente annullate dalle corti per violazione del primo emendamento, che difende strenuamente la libertà d’espressione.

La situazione, però, preoccupa seriamente gli esperti. In un report dettagliato dedicato a quelle che vengono definite “ordinanze restrittive nell’educazione”, PEN International — una delle più antiche organizzazioni che si occupano di libertà d’espressione al mondo — sottolinea che “i legislatori che sostengono questi progetti di legge sembrano determinati a usare il potere statale per esercitare un controllo ideologico sulle istituzioni educative pubbliche. Inoltre, nel tentativo di mettere a tacere le critiche basate sulla razza o sul genere della società e della storia degli Stati Uniti che coloro che stanno dietro queste leggi ritengono “divisive”, è probabile che queste proposte di legge influiscano in modo sproporzionato sui diritti alla libertà di parola di studenti, educatori e formatori che sono donne, persone di colore e LGBTQ+.” 

Messe insieme, continua PEN, queste leggi “illustrano una inquietante volontà tra i legislatori repubblicani di usare il potere del governo per censurare e limitare punti di vista, strutture intellettuali e verità storiche o narrazioni che non amano.” In questo senso, come fa notare Art Spiegelman stesso, la rimozione di MAUS da un programma scolastico è tutt’altro che un’anomalia. “Fa parte di un continuum, è solo un presagio di cose a venire. Il controllo dei pensieri delle persone è essenziale.”

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