Cronache dal tecno evo
In “Tecno_evo, manuale d’istruzioni per un ventennio sospeso” Alessandro Isidoro Re analizza il rapporto tra società, cultura, lavoro e nuove tecnologie, inquadrando le problematiche del mondo attuale come l’inizio di un percorso verso un nuovo umanesimo
in copertina, grafica di Dr StClaire / Pixabay.
Intervista di Emanuela Colaci e Alessandro Massone
In “Tecno_evo, manuale d’istruzioni per un ventennio sospeso” Alessandro Isidoro Re analizza il rapporto tra società, cultura, lavoro e nuove tecnologie, inquadrando le problematiche del mondo attuale come l’inizio di un percorso verso un nuovo umanesimo
La pandemia ha senza dubbio aumentato la capacità degli esseri umani di immaginare un futuro sempre più incerto e distopico. L’epoca del coronavirus coincide con — e ha in parte oscurato — un periodo di innovazione tecnologica potenzialmente smisurata, che pone le basi per migliorare la vita degli esseri umani, ma si relaziona in modo problematico alla definizione stessa di essere umano.
Il libro Tecno_evo, manuale d’istruzioni per un ventennio sospeso, edito da Agenzia X, parte da un approccio positivo: la tecnologia potrebbe essere una grande opportunità per migliorare tutti gli aspetti della vita individuale e sociale. Scritto da Alessandro Isidoro Re, tecno_evo è un testo per capire il rapporto tra società, cultura, lavoro, umanità in rapporto agli sviluppi della tecnologia. the Submarine ha parlato con l’autore di questa nuova età tecno-umana, un dialogo sugli aspetti controversi e irrisolti della nuova rivoluzione tecnologica.
Ciao Alessandro. Il tuo libro spiega che siamo in un periodo di transizione, dove l’innesto della tecnologia nella società è ancora cosa recente. Può seguire un “Umanesimo 4.0.”, ma siamo ancora nel tecno evo. Perché?
Il libro nasce da un parallelismo storico con il Medioevo, che lungi dall’essere un’era oscura era un’età di mezzo, un prodromo dell’umanesimo. Ci muoviamo tra tecnoutopia, panopticon digitale — è un manuale di istruzioni, una cassetta degli attrezzi per comprendere la realtà e costruire insieme un futuro davvero più equo e sostenibile. Si tratta anche di un saggio filosofico, che cerca di comprendere la realtà che ci circonda. Ho preso come riferimento temporale il periodo dal 2001 al 2021. Nel 2001 abbiamo tre eventi cardinali: le torri gemelle, il G8 e infine l’avvento dell’euro. Alla fine di questi 20 anni si arriva all’emergenza collettiva della pandemia. Nel mezzo, in questa epoca sospesa tra un Novecento che non riusciamo a far finire, si accompagna un futuro che è molto cantato ma non realizzato.
Però non partiamo dal migliore dei presenti. Ci sono tanti nodi per quanto riguarda l’accesso alle tecnologie più eque.
Assolutamente. Ogni filosofia nasce da un presente che forse non ci piace molto. Dopo millenni siamo ancora qui a decifrare le disuguaglianze. Un lavoro di speranza è necessario – forse è nostro dovere essere speranzosi, non ottimisti, per interpretare un futuro che è quello che vogliamo. Si parla spesso di iperstizione: può anche essere positiva, non necessariamente negativa. Non c’è troppa ingenuità, sappiamo che il Tecnoevo è colorato da tinte più scure che chiare, ma possiamo trovare dei momenti di cui si può fare tesoro.
Ti definiresti tecnottimista?
Non lo so se mi definirei un tecnottimista. Nel libro cerco di fare una distinzione tra i luddisti digitali e i tecnoentusiasti. Cerco di mettermi nel mezzo, per provare a descrivere la realtà senza essere partigiano. D’altronde il mio punto di vista è soggettivo: credo che l’evoluzione prosegua ma non debba far rima per forza con progresso, quindi anche se il futuro sarà sempre più digitalizzato non per forza dev’essere un sinonimo di progresso.
Da questo punto di vista quali sono le cose che ci possono fare avere più speranza in un futuro tecnologico che rispetti i diritti umani?
L’automazione toglierà di mezzo lavori molto alienanti come guidare tir per ore e ore o stare fermi per ore in un casello autostradale nel mezzo del nulla. Se questa’automazione avverrà, sarà una novità positiva anche in un’ottica marxista di fine del lavoro alienante del proletariato. Per funzionare, questa tendenza deve andare a braccetto con un accordo di iniziative di welfare ugualmente efficaci: di solito si parla di reddito di base universale, che lungi dalla polemica italiana sul reddito di cittadinanza credo sia uno strumento concreto che popolerà il prossimo decennio o ventennio, proprio per far fronte a questa mancanza di alcuni posti di lavoro. Dovremo fare i conti con una società del non lavoro, lo dico senza essere troppo negativo a riguardo.
Nel libro parli di videogiochi come strumenti di coesione sociale — basta pensare all’importanza di Fortnite, Among Us e Animal Crossing nel corso del 2020
La gamification sarà ancora più protagonista del futuro digitale. Simbolicamente questo Tecnoevo è iniziato con l’esplosione dei social media e poco dopo di Facebook, e finisce nel 2021 dal rebranding causato dagli scandali e l’ingresso del metaverso. Senza tirare in ballo Matrix si stanno creando sempre più comunità di nicchia dove implementare le proprie caratteristiche che nella vita reale non possono essere rese al meglio.
Come diventeranno le piattaforme social che iniziano ad assomigliare a videogiochi, con un tipo di comunità più chiuso e un tipo diverso di interazione?
Su Fortnite ci sono collaborazioni aperte con Louis Vuitton, si possono comprare gadget e migliorare le proprie skin utilizzando valute digitali, per questo si parla anche di cripto e tutto ciò che riguarda il futuro cosiddetto 3.0 basato sulla tecnologia blockchain, un elemento del nuovo evo già più digitalizzato Tutto questo per costruire personaggi che avremo la possibilità di customizzare all’infinito, spendendo risorse, patrimoni come nella realtà. Questo credo sia un elemento importantissimo perché si passa dai social media, che hanno avuto comunque lati negativi incredibili anche sui nostri corpi — l’ottica della gamification è un occhio di Sauron, non sai come funziona l’algoritmo ma sai che devi postare quel contenuto a quell’ora – ma nel ventennio hanno avuto ancheil grande merito di metterci davvero in relazione, anche a livello internazionale. Questa natura delle relazioni socialmediale diventerà sempre più qualcosa di meta. Bisogna attendere per capire se sarà stato un male oppure no.
Facevi riferimento anche agli effetti psicologici dei social network. secondo te si può tornare a una moderazione dell’uso di queste piattaforme o non c’è soluzione?
Secondo me no perché siamo ancora agli albori di questa era. Pensiamo a Gutenberg e alla stampa — ci viene un sorriso beffardo: c’erano molti più detrattori che fautori all’inizio. Ci sono voluti anni. Al contempo stiamo iniziando a parlare solo ora di rivoluzione digitale e bilanciamento nell’utilizzo social media.
Riflettendo sulla divisione tra il sé e l’avatar si può dire che l’avvento del Tecnoevo nel quale siamo provocherà anche una rivoluzione filosofica e psicologica: non saremo più abituati a pensare all’unità del sé ma trasferiremo su un altro da noi — ma non un altro in senso sociale — tutte le nostre attenzioni. Come potrebbe uscire la filosofia da questa rivoluzione?
È una rivoluzione copernicana, dopo un Novecento popolato da beghe e diatribe tra correnti filosofiche avverse — come è successo per tutta la polemica sul postmodernismo intellettuale. In qualche modo, paradossalmente la filosofia ritornerà tra noi. Stiamo capendo sempre più che la filosofia finalmente, come succedeva millenni fa, deve ragionare sulle questioni attuali, quotidiane, deve capire cos’è importante e sostenibile. Può aiutare a capire se un oggetto fisico o multimediale può avere ricadute su disuguaglianze e discriminazione. Questo credo possa essere solo un bene per la sua diffusione e lo spirito critico della maggior parte delle persone.