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in copertina, foto Netflix

In Italia le comunità religiose hanno una notevole libertà per attuare le terapie “riparative” sulle persone LGBT. Le vittime sono spesso minori, non tutelati da una legge adeguata

L’Assemblea nazionale francese — una delle due camere del Parlamento — ha dato il via libera al disegno di legge 673 contro le terapie di conversione, o riparative. Queste pratiche, prive di fondamento scientifico, hanno l’obiettivo di cambiare l’orientamento sessuale di una persona per condurla all’eterosessualità. Le terapie riparative  comprendono spesso un risvolto religioso legato al cristianesimo  cattolico o protestante e sono parte del movimento ex gay, composto da persone che – utilizzando le loro parole – abbandonano uno stile di vista omosessuale.

ll disegno di legge francese — che passerà ora al Senato — prevede una multa di 30 mila euro e due anni di carcere per il personale medico che pratica tali percorsi riparativi. La multa per i terapeuti e le terapeute sale invece a 45 mila euro e a tre anni di carcere. 

Nonostante le terapie di conversione siano riconosciute come ascientifiche, la Chiesa non si è espressa chiaramente per una piena condanna. In Italia, le terapie riparative vengono ancora praticate sulla base della libertà di culto e di una scarsa conoscenza della sessualità. La loro diffusione ed entità è nota per lo più tramite le testimonianze di chi se ne allontana e manca una vera mappatura del fenomeno a livello nazionale.

La situazione italiana: vuoto normativo

In Italia non esiste una specifica normativa in merito. Nel 2016 è stato presentato un disegno di leggemai discusso dal Parlamento — dal senatore Sergio Lo Giudice, rilevante soprattutto per i minori LGBTQ+, i soggetti più vulnerabili che non hanno facoltà giuridica di rifiutare queste terapie. 

Le terapie di conversione però sono contrarie ai principi deontologici e alle linee guida dell’Ordine degli psicologi e delle psicologhe. L’articolo 4 del Codice deontologico afferma infatti che “nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione e all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi.”

Oltre a questo principio generale, nel 2010 sono state stilate delle linee guida in cui l’Ordine prende una posizione netta verso le terapie di conversione, che non possono essere pratiche accettabili in quanto prive di scientificità e poiché “patologizzano l’omosessualità e pretendono di ‘curarla.’” Anche l’American Psychiatric Association (APA) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità si sono espresse sul tema, dichiarandosi fermamente contrarie.

Nonostante queste prese di posizione nette, ci sono casi in cui le terapie di conversione vengono comunque messe in atto. Spesso ciò accade all’interno di percorsi religiosi o situazioni non ben strutturate, che non rivendicano in modo esplicito queste pratiche ma le integrano nel loro percorso di fede. Così facendo diventa più difficile riconoscerle e vietarle, sia da parte del singolo individuo sia delle istituzioni.

La zona grigia delle correnti di “ex-omosessuali”

Manca una vera mappatura di queste realtà, che restano isolate e sconosciute. Alcuni casi sono diventati celebri anche grazie alla loro diffusione attraverso i media, com’è stato per Alessandro Scorza, il giovane che si dichiara “pazzo per Gesù” dopo aver abbandonato – usando le sue parole – “lo spirito dell’omosessualità.” La sua vicenda orbita attorno a Parola della Grazia, una congregazione religiosa con sede a Palermo. Si tratta della chiesa evangelica più grande d’Italia e si inserisce nella tradizione pentecostale.

Un percorso simile viene riportato da Nausica Della Valle, anche lei “ex omosessuale.” In un’intervista con Televisione cristiana in Italia racconta il suo punto di vista sulla comunità LGBTQ+, confondendo i concetti più basilari e giungendo a citare nientemeno che Joseph Goebbels, gerarca nazista. Non è dato sapere con certezza come siano arrivate queste persone ad allontanarsi dalla comunità LGBTQ+. Indubbiamente tutto il sostegno espresso da chi ascolta le loro testimonianze — il pubblico in sala e i conduttori televisivi — mostra che la pressione verso una presunta conversione all’eterosessualità è ben radicata in alcune comunità religiose.

Più strutturato è il caso del Gruppo Lot, che circa sei anni fa si è trovato al centro di un’inchiesta. L’associazione, sotto la guida di Luca Di Tolve — il Luca di “Luca era gay” — organizzava dei seminari per “guarire dall’omosessualità.” Anche in questo caso lo sfondo era religioso e il ritiro di cinque giorni proposto agli iscritti si svolgeva in presenza di un frate francescano e un padre passionista. Il leader del gruppo continua ancora oggi a proporre dei corsi per “sviluppare la nostra personalità sessuale.” Non si parla più in modo esplicito di conversione o riparazione, ma la presentazione del progetto rimanda a queste pratiche.

La (non) posizione della Chiesa cattolica

Come si vede, quindi, le comunità religiose — soprattutto cristiane, le più diffuse in Italia — hanno una notevole libertà sulla messa in atto di queste “terapie.” Qual è però la posizione della Chiesa a riguardo? È relativamente facile inquadrare la posizione ufficiale della Chiesa cattolica in quanto istituzione, per via della sua struttura gerarchica, mentre il punto di vista delle singole comunità o correnti è più sfuggente.

Nel luglio del 2021 la Congregazione per il Clero, in una nota, ha sconfessato Verdad y Libertad, un’associazione di Granada che praticava le terapie di conversione. L’associazione è stata fondata da Miguel Ángel Sánchez Cordón, medico che si dichiara “ex gay” e legato al Movimento dei Focolari. Si tratta di un’organizzazione cattolica diffusa in tutto il mondo, legata alla figura di Chiara Lubich e fortemente presente anche in Italia.

È stata la prima volta che la Chiesa di Roma ha ufficialmente preso posizione contro questi percorsi “terapeutici.” La nota in questione, inoltre, non è stata inviata direttamente a un vescovo o a un cardinale, ma è stata discussa durante l’assemblea della Conferenza episcopale spagnola: in questo modo il gesto è divenuto pubblico e di maggior impatto. Cosa c’è scritto però di preciso nel testo? Non è possibile saperlo, perché non si può leggerlo in forma integrale. Dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa emerge che la Congregazione dichiara Verdad y Libertad un ente non ecclesiale e invita la Chiesa spagnola a non assecondare né raccomandare le terapie di conversione. Escludendola dalla Chiesa, però, rende impossibile un procedimento di tipo canonico contro l’associazione. L’unica via aperta per chi è colpito da questi percorsi resta la denuncia civile.

Anche l’Alleanza Evangelica Italiana si è espressa a riguardo. L’ha fatto nel 2003 con un documento dal titolo Omosessualità: un approccio evangelico, che resta ancora oggi un testo di riferimento, anche se ormai piuttosto datato. Nel paragrafo V dal titolo L’accoglienza cristiana e l’accompagnamento pastorale si legge: “C’è bisogno di una comunità cristiana in grado di accompagnare verso la vera maturità tutte le persone che ne fanno parte, una comunità che non ‘benedica’ delle situazioni esistenziali all’insegna del peccato, ma che accompagni tutti i peccatori verso il pentimento, la conversione e la guarigione.” Si condanna quindi l’emarginazione delle persone LGBTQ+, ma allo stesso tempo anche la loro identità e il loro orientamento sessuale. Non solo: la conversione e la guarigione di cui si parla sono proprio gli elementi chiave delle presunte terapie volte a trasformare l’omosessualità, o qualsiasi altro orientamento sessuale, in eterosessualità.

La situazione italiana è molto simile a quella della maggior parte dei Paesi del mondo. Alcuni stati come Stati Uniti, Spagna e Australia prevedono solo delle restrizioni locali, mentre sono pochi quelli che vietano queste terapie su tutto il territorio nazionale — è il caso di Brasile, Taiwan, Malta e Germania.

Vittimizzazione e tortura

Mentre le comunità religiose si appellano alla libertà di culto ci sono molteplici tecniche non tracciabili con cui le terapie di conversione vengono messe in atto. Ci sono infatti dei trattamenti che dovrebbero generare repulsione verso il proprio orientamento sessuale tramite l’impiego di scosse elettriche o medicinali per indurre la nausea. È diffuso anche l’uso di ansiolitici, antipsicotici e antidepressivi, spesso secondo la falsa idea che l’appartenenza alla comunità LGBTQ+ sia legata a dei disturbi mentali.

In altri casi si opta per il confino forzato anche semplicemente all’interno delle mura domestiche. Si praticano inoltre la violenza correttiva, l’esorcismo e dei rituali religiosi con lo scopo di purificare da ciò che viene visto come una deviazione dalla norma, giungendo ad attuare anche un abuso spirituale. Queste pratiche possono essere anche molto violente. Si registrano casi di uso dell’elettroshock, alimentazione forzata o privazione di cibo, violenza verbale, fisica e anche di stupro, ritenuto “correttivo.”

Spesso chi perpetra tali terapie si definisce terapista o psicologa/o, pur senza esserlo realmente e senza avere la corretta preparazione (che, di conseguenza, impedirebbe la messa in atto di queste procedure). Il sistema più diffuso in Italia è infatti una sorta di psicoterapia, sempre priva di basi scientifiche. È un’opzione non sempre facile da riconoscere come dannosa per la salute mentale e fisica. Come mostra con tanto di documentazione annessa il documentario Pray Away, spesso questi percorsi vengono mostrati come potenzialmente positivi per l’individuo che magari si trova all’inizio del percorso di scoperta della propria identità. In una società omofoba e transfobica, proporre alle persone LGBTQ+ delle soluzioni per sottrarsi alla discriminazione e sostenere di farlo “per il loro bene” è estremamente pericoloso. Porta alla perdita e alla soppressione della propria identità e all’impossibilità di viverla “out of the closet.”

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