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Il 25 novembre è uscito in Italia “Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata,” un saggio di bell hooks che riporta al centro del dibattito femminista le disuguaglianze, la lotta di classe e il linguaggio universale. Ne abbiamo discusso con la traduttrice Maria Nadotti, che conosce personalmente hooks

“Questo volume parla della quotidianità della grande maggioranza delle persone, e delle loro relazioni, in modo del tutto aderente alla realtà di oggi.”

Maria Nadotti ha curato e tradotto per Tamu edizioni il saggio di bell hooks Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata. Aveva già pubblicato con bell hooks Elogio del margine — scrivere al buio, sul razzismo subito dalle donne afroamericane, sempre edito da Tamu edizioni. Il femminismo è per tutti viene fa parte di un progetto di valorizzazione del pensiero di bell hooks in Italia, dove molti dei suoi testi non erano ancora stati tradotti.  

Critica al “Nuovo femminismo pop”

Non c’è dubbio oggi che un certo femminismo possa essere considerato pop, che sappia effettivamente dialogare con le masse attraverso strumenti come i social network. Il problema nasce quando per riuscire ad arrivare a un pubblico più ampio si sacrificano gli intenti del movimento. C’è molta confusione nel modo di percepire le istanze femministe oggi: in passato il femminismo liberale e bianco si scontrava spesso in modo diretto con quello delle donne lavoratrici, nere e marxiste — come racconta anche bell hooks nel suo saggio — ma oggi queste distinzioni non sono percepite in modo netto. È la stessa hooks a parlarne: “A un tratto la politica è stata lentamente rimossa dal femminismo. E si è imposta l’idea che, a prescindere dalle idee politiche di una donna, conservatrice o progressista che fosse, anche lei avrebbe potuto adattare il femminismo al proprio stile di vita. Va da sé che questo modo di pensare ha reso più accettabile il femminismo, perché il suo assunto di base è che le donne possono essere femministe senza mettere in discussione e modificare a fondo sé stesse o la cultura.” 

Sembra che oggi il movimento abbia fatto dei passi indietro anziché avanti e sia tornato a questa fase lontana dalla politica, in cui ogni soggetto ha la possibilità di rimasticare le istanze del femminismo sulla base del suo orientamento politico e di sentirsene comunque parte. Nadotti in questo sottolinea l’importanza ancora centrale della questione di classe: “Oggi è molto confuso il quadro delle classi sociali, c’è un tale impoverimento di massa ed espulsione che forse la categoria di classe non basta più. Sta succedendo qualcosa di epocale, forse anche qui vanno pensati termini e concetti nuovi. La dimensione di classe nel femminismo è ancora cruciale: però quali classi? Forse oggi esiste soprattutto l’alto e il basso, vanno anche ripensate categorie che ci orientino per capire dove siamo e dove stiamo andando.” 

Ripensare il concetto di classe quindi, senza scordarsi però della sua centralità, per non correre il rischio che le rivendicazioni perdano di forza e che il movimento venga appiattito sulla tendenza liberale dominante. Sottolinea Nadotti in proposito: “Un certo femminismo nostrano pensa di saperla più lunga delle donne del resto del mondo: le povere donne afghane, le povere donne marocchine. Ma perchè povere? Cosa ne sappiamo?” 

È fondamentale però anche occupare questi ambienti politici e lavorare in maniera critica al loro interno, senza ignorarne l’esistenza: “Non ci si oppone all’esistente se non standoci dentro. Fare i conti con i mezzi che stiamo utilizzando è centrale. Metterli in discussione e mettere in discussione ciò che avviene in quegli spazi. La discussione sui pronomi e sul linguaggio è stata cruciale nel periodo in cui io vivevo in America, l’obiettivo era porre fine al soggetto unico. In quello stesso momento in Italia parlavamo della morte del soggetto, la cultura alta occidentale decretava una “fine” senza rendersi conto della pluralità di altri soggetti che sgomitavano per emergere e reclamare un inizio. Oggi si riproduce una certa granicità anche in questi altri soggetti, che fino a poco tempo fa si connotavano come deboli”. 

Alla ricerca di un linguaggio universale

La riflessione sul possibile fallimento del movimento, se non riuscirà a comunicare a tutti il pensiero femminista, è centrale nel saggio. L’autrice dedica in proposito un’ampia riflessione sul ruolo che il mondo accademico ha avuto in questa progressiva chiusura del dibattito, con la conseguente esclusione di chi non aveva dimestichezza con un certo linguaggio ormai quasi “specialistico.” L’accessibilità del pensiero femminista è un tema cruciale su cui riflettere, che bell hooks riporta a galla in maniera puntuale. Forse nel quadro nazionale non è la questione più urgente — in Italia il contesto accademico è ancora molto povero di elaborazione sul tema. I corsi universitari di rado propongono autrici all’interno dei loro programmi, così come di rado il pensiero femminista viene considerato alla pari di tante altre correnti di elaborazione politica o filosofica. 

Maria Nadotti sottolinea come questa debba essere considerata una carenza e un vuoto di cultura, e non più soltanto una possibile mancanza di interesse. Il pensiero femminista esiste, le sue elaborazioni hanno attraversato anni e anni di studi e hanno spaziato dalla teoria politica, alla filosofia, fino all’arte e alla letteratura. Sottolinea Nadotti: “Come si fa a fare un lavoro filosofico senza tenere conto del lavoro di una pensatrice come Judith Butler? Come si capisce il mondo senza di lei e senza tante altre? Mancano degli strumenti e dei punti di vista. Nel mondo anglosassone non è più così, così come in molti altri paesi, ma in Italia la compagine maschile in particolare ha ancora molta resistenza. Non c’entrano le quote, o i numeri in questo. Serve ossigeno nel pensiero. Bisogna chiedersi: perché mai un uomo dovrebbe rinunciare al suo potere? Perché mai un ricco dovrebbe rinunciare al suo privilegio? Lo farà solo quando si renderà conto che forse non è un gran privilegio e nemmeno un gran potere.” Il problema non è semplicemente maschile o femminile: è il sistema in cui siamo inseriti, che propaga disuguaglianze. 

L’importanza di rendere accessibili a tutti queste riflessioni rispetto è fondamentale per sperare di ottenere qualche cambiamento. In questo il lavoro di bell hooks costituisce un modello imprescindibile dal quale la politica e le istituzioni accademiche dovrebbero prendere esempio. Prosegue Nadotti: “L’accademia serve a far disimparare la scrittura comprensibile e ad adottare un gergo che fa sentire incluso in un certo sistema. Ma per chi si parla? Per chi si scrive? Il narcisismo chiaramente non ha bisogno di interlocutori, ma solo di specchi. bell hooks a differenza di altre femministe è talmente convinta che si debba parlare a tutti che non ha mai rinunciato a partecipare a talk show e altre situazioni che il resto della sua classe intellettuale avrebbe considerato basse.”

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