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La pandemia e una serie di concause — dalla Brexit agli effetti della crisi climatica — hanno rotto la catena della logistica: merci di tutti i tipi, dai cereali ai chip, sono sempre più scarse, mentre quelle che sono disponibili sono spesso in ritardo. È probabile che la situazione non migliori prima della fine del 2022

A ottobre negli Stati Uniti sono apparsi una serie di editoriali allarmati per quello che è stato definito l’Everything Shortage (la carenza di tutto n.d.r.). Derek Thompson, redattore dell’Atlantic, si è chiesto se fosse solo lui ad avere l’impressione che “gli Stati Uniti stessero terminando ogni cosa.” Il New York Times ammoniva già ad agosto, con toni se possibile ancora più tragici, di abituarsi al fatto che il mondo “è a corto di qualsiasi cosa.” In molti negli Stati Uniti stanno iniziando ad acquistare i regali di Natale nel timore che, aspettando dicembre, si rischi di non trovare più nulla. Biden è terrorizzato all’idea che la carenza di benzina possa danneggiare il consenso che gode con l’elettorato, mentre in Regno Unito si combatte da un mese per risolvere la mancanza di rifornimenti di gas e benzina. Il porto di Los Angeles è così congestionato che le navi cargo devono rimanere ormeggiate in baia per giorni prima di poter scaricare il loro container. In Italia, invece, sono finite le bici. Ma cosa sta succedendo? 

La risposta più breve e più semplicistica è: a causa della pandemia (ma non solo) si è rotta la catena globale della logistica (in inglese la global supply chain). La supply chain è un sistema composto da diversi elementi (azioni, organizzazioni, singoli individui, informazioni, risorse) che fanno in modo che un prodotto arrivi in mano al consumatore. Questa catena, a cui difficilmente si pensa finché non ci sono carenze di prodotti che ci colpiscono direttamente, ha la sua forza e la sua fragilità nell’essere globale. Le scarpe che hai ai piedi sono prodotte in Vietnam. Il cellulare da cui stai leggendo questo articolo è probabilmente prodotto in Cina e assemblato in California. La tazza da cui bevi il caffè è disegnata in Svezia, ma prodotta in Thailandia. Ecco, tutte queste merci, per essere acquistate, devono arrivare dalla Cina e dal Sudest asiatico fino in Europa o negli Stati Uniti. Quando tutto fila liscio il percorso più comune per questi prodotti è dalla fabbrica a un centro di raccolta, da un centro di distribuzione a una nave cargo, da una nave cargo a un porto europeo, da un porto europeo a un nuovo centro di raccolta e distribuzione e da lì dritti a casa tua se usi Amazon (o altri rivenditori online) oppure dritti in negozio e poi a casa tua. La catena globale della logistica abbassa i costi di produzione dei beni, e quindi i loro prezzi, fornisce lavoro, quasi sempre sottopagato, spesso in condizioni di estremo sfruttamento, in luoghi dove altrimenti ce ne sarebbe meno, ma ha anche dei costi ambientali e sociali pesantissimi.

In una puntata di Tutta la città ne parla, condotta da Pietro del Soldà, si è provato a fare chiarezza sulle cause dei diversi colli di bottiglia che stanno strozzando la logistica in tutto il mondo. Durante la puntata, Angela Stefania Bergantino, professoressa di Economia applicata e industriale all’Università di Bari, ha detto che “quando si creano dei disruptive events, degli eventi che creano delle perturbazioni, nel sistema gli effetti a catena sono poi di lungo periodo. Abbiamo avuto porti cinesi chiusi per settimane, abbiamo avuto la crisi del Canale di Suez che ha di nuovo bloccato tutto per settimane, perché al di là del momento in cui Suez è stato chiuso c’è stata poi la parte di riallineamento dei traffici. Ci sono poi stati degli shock di domanda e gli shock di domanda si riversano poi anche sul settore dei trasporti. È un settore a domanda derivata e quindi tutto ciò che è oggetto di consumo a un certo punto della sua vita passa per il trasporto marittimo.

 

Le navi cargo in attesa di entrare nei porti di Los Angeles e di Long Beach

Le conseguenze però non riguardano solo la possibilità di acquistare o meno prodotti d’uso quotidiano, ma creano anche degli scompensi e dei disallineamenti nel mercato. Nella stessa puntata, Marco Rollero, vicepresidente dell’ANFIA, spiega che se la causa principale della crisi della logistica è lo shock della domanda causato dalla pandemia (stando chiusi in casa per mesi, i consumatori hanno smesso di consumare servizi e hanno rivolto la loro domanda massicciamente a beni fisici che vanno da lavatrici e lavastoviglie ad abbigliamento sportivo e strumentazione per cucinare) gli effetti sono più vasti della semplice carenza di alcuni beni.

Facendo l’esempio delle automobili, dichiara: “In questo momento gli studi più recenti parlano di un’impossibilità di soddisfare la domanda […] questo perché? Perché l’autovettura è un prodotto estremamente complesso e malauguratamente nel momento in cui manca anche solo un chip di valore infinitesimale rispetto al valore della vettura, la vettura non viene completata. Gli stabilimenti auto sono concepiti per produrre e per creare profitto al fornitore tramite il completamento delle vetture. Quindi si arriva paradossalmente a tenere lo stabilimento aperto sapendo che la vettura non si potrà completare. A questo punto la vettura sarà parcheggiata incompleta. Cosa che ovviamente grava sul capitale circolante perché comunque è capitale immobilizzato, non completato e non vendibile e questo crea degli effetti a spirale.”

L’idea che la frammentazione della catena globale fosse una conseguenza imprevedibile è duramente criticata da Nando Vila, giornalista di Jacobin, che in un lungo video spiega che la fragilità della supply chain è “strutturale” e sostiene che costruire un sistema economico che crolla per una pandemia che succede “una volta ogni cento anni” evidentemente ragiona in termini temporali troppo brevi. La pandemia non era imprevedibile né inevitabile secondo Vila. È il capitalismo, un sistema economico che ha il profitto al vertice delle sue gerarchie, che ha creato le condizioni perché la pandemia potesse accadere.

Che si guardi alla catena globale della logistica da una prospettiva liberal, in cui è legittimo preoccuparsi soprattutto se si avranno o meno i regali sotto l’albero a Natale, o da una prospettiva socialista, quello che è certo è che non è stata solo la pandemia a far saltare i meccanismi di approvvigionamento. Shock di domanda, chiusure, riaperture a pioggia, nuove chiusure, cambiamenti di velocità dei beni sul mercato, rivoluzioni nei profili della domanda dei consumatori, mancanza di materie prime, crisi climatica nella Ruhr e in Messico, meccanismi interni del modo di produzione capitalistico e nel caso britannico, che è ancora più estremo, mancanza di personale e ripercussioni della Brexit hanno precipitato il mondo in una situazione d’incertezza. Gli economisti, come ha confessato nel corso della puntata Mario Deaglio, non sanno cosa succederà se non che i prezzi dei beni al consumatore saliranno e che le forniture dei prodotti saranno incerte per tutto il 2022.

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in copertina, le navi in attesa nella baia di Los Angeles: foto di James P. Micciche, via Twitter