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Lo scontro tra Unione europea e Polonia è arrivato al punto di rottura, prima al Parlamento e ora al Consiglio europeo. Tra stato di diritto, zone LGBTQ e pacchetto per il clima, una soluzione diplomatica sembra sempre più difficile

Al Parlamento europeo la spaccatura tra Polonia e il resto dell’Unione europea si è manifestata in due discorsi dai toni durissimi di Ursula von der Leyen e del Primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki. Von der Leyen, che ha parlato per prima, ha impostato il confronto in modo netto, dicendo che la decisione della Corte costituzionale polacca “mette in discussione le fondamenta dell’Unione europea,” e indicando il PiS come responsabile ultimo della rottura: “La Corte costituzionale polacca che ora mette in dubbio la validità del nostro Trattato è la stessa corte che, nel contesto dell’Articolo 7, non possiamo considerare indipendente e legittima, e così, in qualche modo, si chiude il cerchio.” 

Morawiecki ha risposto alle accuse mosse dalla Commissione in un discorso molto lungo, che ha sforato di più di mezz’ora il tempo concesso. Il Primo ministro polacco ha dichiarato che “le competenze comunitarie hanno chiari confini, e non possiamo rimanere zitti quando questi confini sono oltrepassati. Stiamo dicendo sì all’universalismo europeo, ma diciamo no al centralismo europeo.” Da entrambe le parti, insomma, il tono è simile: profonda frattura, ma dichiarata volontà di trovare un compromesso. Morawiecki ha anche proposto una concessione: la possibilità di abolire la sezione disciplinare della Corte suprema, con cui sono stati colpiti i giudici che non erano allineati al PiS.

In questa battaglia si gioca il futuro dell’Unione europea, che deve decidere fino a che punto è disposta ad accettare derive autoritarie nei propri stati membri. Questa settimana, giovedì e venerdì, il summit dei leader dell’Unione finirà sicuramente per essere dedicato in modo sostanziale al tema dello stato di diritto — invece che al nodo digitale su mercato e servizi, o alla crisi energetica, di cui sarebbe urgente parlare. Non è chiaro in che direzione ci si muoverà: ancora pochi giorni fa Merkel aveva chiesto un ritorno al dialogo e non uno scontro diretto, ma la posizione presa dal Parlamento, che è pronto a far causa alla Commissione se non difenderà l’Europa dalla deriva polacca, fa presagire il contrario. In questo scontro la Polonia sarà sostenuta dai gruppi di estrema destra del Parlamento e dall’Ungheria, che ha già emesso un decreto in cui condanna le azioni dell’Unione, dicendo che “ignora volutamente il principio di sussidiarietà” e “cerca di privare gli stati membri dei loro diritti.”

È la seconda volta che la permanenza di un paese nel blocco viene messa effettivamente in discussione negli ultimi cinque anni, ma il caso è molto diverso rispetto a quello della Brexit: in questo caso la cittadinanza polacca è largamente a favore — fino all’80% — della permanenza nell’Unione. E questo contribuisce a inquadrare la mossa del governo di Varsavia come uno arroccamento del proprio potere a scapito dell’interesse collettivo, un passo rilevante verso l’instaurazione di un governo più autoritario.

Le dichiarazioni più divertenti di ieri sono arrivate proprio dalle sigle europee di estrema destra. L’Ecr, il gruppo che comprende il PiS e anche FdI, ha parlato della “guerra fredda” del Parlamento “per destabilizzare i governi conservatori”; Id, il gruppo della Lega, ha parlato addirittura di “processo staliniano.” L’ironia di accusare di comportamento dittatoriale chi sta contrastando i tentativi di sottomissione della magistratura alla politica deve essere sfuggita agli europarlamentari di estrema destra. Dall’altra parte, la posizione più dura è stata presa dal gruppo S&D, secondo cui “i voti non danno la legittimità di distruggere una democrazia.” Iratxe García, la leader del gruppo, ha evocato direttamente la questione della Polexit, che la Polonia giura di non volere: “Il mio gruppo politico non vuole assolutamente la Polexit, ma quando qualcuno non rispetta le regole, si mette da solo davanti alla porta d’uscita.” 

Ma cosa succede ora? Nel proprio discorso von der Leyen è tornata a minacciare sia la sospensione del diritto di voto che il congelamento dei fondi europei — compresi quelli del Recovery Fund. Parlando con Bloomberg Television, il commissario alla Giustizia Didier Reynders ha detto che l’attivazione di strumenti contro la Polonia ormai potrebbe essere “questione di giorni,” o al massimo di “settimane.” Quanto è probabile che la crisi vada fuori controllo e porti effettivamente all’uscita della Polonia dall’Unione? Angela Merkel teme attivamente questa possibilità. Tra le altre cose, il governo polacco, con la scusa della crisi energetica, vuole anche “rivedere o rinviare” le misure ecologiste, già molto moderate, dell’Unione europea. Di fatto l’unico fronte su cui le autorità europee e polacche sono allineate è quello del contrasto ai flussi migratori, dove la Commissione è connivente con i duri trattamenti dei migranti al confine polacco e sostiene il contrasto alla Bielorussia.  

La linea dura e xenofoba di Varsavia infatti è totale e condivisa con Bruxelles — che come al solito ha solo da obiettare sui costi: ad esempio su quello di un ipotetico muro al confine tra Polonia e Bielorussia, che Varsavia vorrebbe far pagare all’Unione. Il parlamento polacco ha appena approvato una legge che consente i respingimenti alla frontiera dei migranti. Nel frattempo, un’altra persona che cercava di entrare in Polonia è stata ritrovata morta assiderata nei pressi della frontiera — è la settima nel giro di poche settimane. Non è chiaro come si inserisca questa legge nel contesto del diritto europeo, per il quale le autorità polacche non sembrano avere comunque grande interesse negli ultimi tempi. 

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in copertina: © European Union 2021 – Source : EP