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in copertina, foto via Facebook

Dopo la sconfitta alle amministrative, Matteo Salvini ha messo in scena uno strappo con il resto della maggioranza sulla legge delega per la riforma del fisco — anche se in realtà le intenzioni del governo Draghi non dovrebbero allarmare la Lega e i suoi elettori piú ricchi

Il giorno dopo la sconfitta alle amministrative, rendendosi conto evidentemente di essere stato penalizzato soprattutto per la propria partecipazione al governo Draghi, Salvini ha colto al volo l’occasione di inscenare un nuovo strappo con la maggioranza: i ministri leghisti hanno disertato il Consiglio dei ministri in cui è stato approvato il disegno di legge delega per la riforma del fisco, contestando il metodo e i contenuti. Secondo Salvini, il testo è stato presentato ai ministri solo mezz’ora prima della discussione (“non è l’oroscopo, non è possibile avere mezz’ora di tempo per analizzare il futuro degli italiani”), e contiene elementi che non erano stati pattuiti dalla maggioranza — in particolare, la contestata revisione del catasto, che “lascia trasparire un aumento” delle tasse. Ma secondo il segretario della Lega “non è una crisi di governo”: “Nessuno strappo, semplicemente chiarezza. In questo momento aumentare di un euro una tassa per un italiano non va bene.”

Eppure Draghi ha ribadito in tutte le lingue — e l’ha fatto anche ieri, spiegando i contenuti della legge delega in conferenza stampa insieme al ministro Franco — che la revisione del catasto non porterà a un aumento di tasse per nessuno: si tratterà soprattutto di aggiornare i sistemi di mappatura catastale per far emergere gli immobili attualmente non censiti, oltre che i valori e le rendite catastali, ma solo a partire dal 2026 e comunque senza modificare “la base imponibile dei tributi la cui applicazione si fonda sulle risultanze catastali.” Riguardo allo strappo leghista, Draghi ha detto che è “un gesto serio,” ma non ne ha esagerato l’importanza: per le sue implicazioni “bisogna aspettare cosa dice la Lega.” Secondo Letta, si tratta di una scelta “gravissima e incomprensibile.”

Il ddl contiene gli orientamenti generali della riforma. Una volta approvato dal parlamento, il governo avrà 18 mesi di tempo per “riempirlo” di contenuti attraverso i decreti delegati. I princìpi generali sono quattro: stimolo alla crescita economica attraverso una maggiore efficienza della struttura delle imposte e riduzione del carico fiscale sui fattori di produzione; razionalizzazione e semplificazione del sistema; progressività; contrasto all’evasione e all’elusione fiscale — che, ha detto Franco, è stimata in 100 miliardi all’anno. Oltre alla revisione del catasto, il testo prevede vari interventi, dal “superamento” dell’Irap alla “razionalizzazione” dell’Iva, dal riordino di incentivi e deduzioni fiscali alla riduzione delle aliquote Irpef, “con l’obiettivo di incentivare l’offerta di lavoro.”

Insomma, gli allarmismi della Lega sembrano davvero ingiustificati: coerentemente con gli orientamenti espressi dalla commissione Finanze della Camera guidata dal renziano Marattin, e con l’ideologia ultra-liberista del suo consigliere economico Francesco Giavazzi, Draghi non sembra intenzionato a toccare il tabù della redistribuzione dei redditi attraverso una maggiore progressività fiscale, figuriamoci le tasse sulla casa. Del resto, tutti i partiti dell’arco politico — dal M5S al Pd — hanno fatto propria la retorica secondo cui aumentare le tasse “agli italiani” sia sempre sbagliato — come se “gli italiani” fossero tutti uguali in termini di reddito e patrimonio.

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