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Apple e Google hanno rimosso l’app di Aleksej Navalnyj dai propri Store, e Google ha anche chiesto che due documenti fossero cancellati da Google Docs

Con il 67% dei voti scrutinati, le elezioni in Russia sono andate esattamente come previsto: il partito di Putin, Russia Unita, vede un rilevante declino di popolarità, ma non rischia di perdere il controllo del Parlamento. Mentre scriviamo questi sono i dati più recenti: Russia Unita è al 48,13%; il KPRF — il Partito comunista — arriva al 20,4%, rinforzato dal crescente scontento per i livelli di povertà nel paese e dal voto tattico dei sostenitori di Aleksej Navalnyj; LDPR, il partito liberaldemocratico, si ferma al 7,7%; SRZP – Una Russia Giusta, per la Verità, il partito socialdemocratico parte dell’“opposizione di sistema,” arriva al 7,4%; le Nuove persone, la lista civetta pro–Cremlino nata per attrarre elettori moderati raggiunti dalla comunicazione anti–Putin, si attesta al 5,6%. Se volete seguire lo spoglio, potete leggere gli aggiornamenti del canale Telegram di RIA Novosti.

Rispetto alle elezioni precedenti, c’è una novità sostanziale: il silenziamento dell’opposizione grazie alla collaborazione delle grandi multinazionali statunitensi — sia Google che Apple hanno censurato le app e gli strumenti con cui i sostenitori di Navalnyj organizzavano il voto tattico. Non solo sugli App Store: Google ha anche direttamente ordinato agli organizzatori del gruppo di Navalnyj di cancellare documenti da Google Docs in cui erano elencati i candidati da votare per limitare il successo di Russia Unita. Per rispettare la legge sul silenzio elettorale, che su internet in Occidente praticamente non esiste più, persino Telegram ha bloccato il bot costruito dalla squadra di Navalnyj per aiutare gli elettori a selezionare i candidati in grado di superare i propri concorrenti di Russia Unita. 

La situazione nei giorni scorsi è stata tesissima: fonti del New York Times riportano che ​​le autorità in Russia avrebbero minacciato le aziende di incriminare molti loro dipendenti se non si fossero adeguate alle loro richieste.​​ La decisione è stata in qualche misura costretta: le autorità russe avevano sancito che l’app fosse, esplicitamente, illegale. Lo scopo dell’app era quello di coordinare le operazioni di dissenso, e consolidare il voto nei confronti dei candidati che avevano maggiori probabilità di sconfiggere i candidati di Russia Unita. Ivan Zhdanov, parte del gruppo che orbita attorno alla figura del blogger nazionalista, ha definito la decisione delle due aziende come censura politica, e ha aggiunto che “il governo autoritario russo ne sarà felicissimo.”

Nei giorni precedenti la Russia aveva usato canali politici, giudiziari e diplomatici per ottenere che le due aziende rispettassero le proprie richieste, accusandole sostanzialmente di ingerenza estera. La stretta arriva, in realtà, dopo mesi di rapporto sempre più conflittuale tra le autorità russe e le aziende tecnologiche statunitensi. Dopo la famosa, goffa ma efficace, stretta contro Twitter dello scorso giugno, sono piovute multe: a maggio è stato multato TikTok, la settimana scorsa sanzioni simili sono scattate anche contro Twitter e Facebook — e anche contro Telegram.

L’altro ieri, come scrivevamo, Google ha contattato direttamente gli autori di alcuni documenti caricati in Google Docs, chiedendo loro di rimuoverli: “Se non cancellate i materiali in questione,” si legge nella lettera resa pubblica dalla squadra di Navalnyj, “Google potrebbe essere costretta a bloccarne l’accesso.” I due documenti contenevano la lista dei candidati “sostenuti” dal voto tattico di Navalnyj sia per la Duma che per le elezioni locali.

Le aziende della Silicon Valley hanno da sempre problemi e controversie con la propria plasticità di fronte a governi e standard estranei al blocco atlantico, che si tratti di bloccare app per scappare dalla polizia durante le proteste o di distribuire app per permettere agli uomini di controllare in qualsiasi momento la posizione della propria moglie. Questa volta lo scandalo è particolarmente complesso da gestire per Apple, che solo pochi giorni fa è riemersa dalla controversia riguardo al software per verificare se negli iPhone siano presenti immagini di abuso sessuale sui minori. Per ora il programma presentato dall’azienda di Cupertino è stato sospeso, ma non è stato cancellato, e la sicurezza della libertà dei propri utenti dipende interamente nella credibilità dell’azienda, che promette che rifiuterebbe l’estensione della lista delle immagini “incriminate” a contenuti politici, oltre che a quelli riguardanti la pedofilia. Tuttavia, come ha sottolineato anche Matthew Green, docente della John Hopkins University, è difficile dare credito all’azienda su quel fronte, quando ripetutamente ha dimostrato di lavorare con governi che reprimono il dissenso.

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in copertina, foto via Twitter