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foto via Twitter

Biden ha alzato il livello dello scontro con la Cina, già alto dopo le teorie del complotto diffuse dal G7. L’amministrazione Biden sembra voler fare la massima pressione possibile su Pechino

Ben scaldato dopo il summit del G7, Joe Biden si è recato ieri a Bruxelles per un’importante riunione della NATO che sarà ricordata per aver spostato in modo marcato l’attenzione dell’alleanza, nata per garantire la presenza militare statunitense in Europa, verso l’Asia, e in particolare contro la Cina. In precedenza l’organizzazione aveva menzionato la Cina una sola volta, in un comunicato del 2019, e comunque en passant, perché appunto lo scopo dell’organizzazione dovrebbe essere un altro. Ma combinata con la dichiarazione conclusiva del G7, in cui i leader del gruppo si sono impegnati a contrastare il crescente predominio economico della Cina, rende evidente che l’amministrazione Biden sia intenzionata ad usare tutti i propri strumenti internazionali, diplomatici e militari per fare pressione su Pechino.

Ai margini del summit Biden ha usato parole durissime, dicendo che “Russia e Cina stanno cercando, entrambe, di creare una spaccatura nella nostra solidarietà transatlantica.” Biden stesso ammette che la Cina non è mai stata un argomento della NATO, ma che ora è necessario parlare delle “sfide poste dalle attività cinese nei confronti della nostra sicurezza.” Il documento firmato dagli stati membri della NATO, resta, comunque, meno duro di quanto probabilmente avrebbe voluto il presidente — la Russia è presentata come una “minaccia,” mentre si scrive che l’organizzazione crede ancora nella possibilità di un “dialogo costruttivo” con la Cina.

La linea politica di Biden sulla Cina resta però ancora molto confusa, oltre allo sfoggio di aggressività. Secondo i funzionari della Casa bianca il presidente sta cercando una “terza via” contro la Cina, tra la “pressione massima” e la “pazienza strategica,” ma è veramente difficile tracciare il percorso che Biden avrebbe in mente. La settimana scorsa, paradossalmente pressato dall’opposizione per non essere abbastanza aggressivo contro la Cina, Biden ha esteso la lista delle aziende cinesi messe al bando da schemi di investimento statunitensi. Tra le molte operazioni militari e marittime e la rinnovata attenzione internazionale sulla teoria del complotto sul laboratorio di virologia di Wuhan, la pressione della Casa bianca sulla Cina è altissima.

Il summit di ieri ha avuto momenti convulsi quando il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha twittato che gli stati membri della NATO avevano deciso che l’Ucraina sarebbe potuta entrare nell’organizzazione. Il tweet, arrivato mentre i media attendevano l’intervento di Biden da più di due ore, ha agitato analisti e giornalisti. Jonathan Lemire, da Bruxelles, ha verificato l’annuncio di Zelenskyj con Blinken, che gli ha risposto che non c’erano novità. Alla fine, quando Biden finalmente si è fatto vedere, ha dichiarato che la NATO avrebbe sostenuto la difesa “della sovranità e dell’integrità territoriale” dell’Ucraina, ma non ha commentato sulla possibilità che lo stato possa effettivamente entrare nell’organizzazione.

Parlando con Associated Press e Agence France–Press, Zelenskyj ha commentato contrito che avrebbe preferito vedere Biden prima che parlasse con Putin — i due leader si vedranno domani. Il presidente ucraino ha dichiarato che ritiene ancora possibile un’escalation delle violenze, ma che ha ricevuto rassicurazioni dalla Casa bianca che il suo paese non sarà usato come valuta di scambio durante l’incontro a Ginevra. Zelenskyj è stato invitato a visitare Washington il mese prossimo.

La settimana scorsa Macron aveva bocciato le pressioni verso la Cina, dicendo che la NATO deve “riconoscere chi sono i propri nemici” — riferendosi, ovviamente, al terrorismo islamista, pietra angolare della retorica nazionalista del presidente francese. Un’analisi in cui deve essersi ritrovato almeno parzialmente anche il Segretario generale Jens Stoltenberg, che ieri ha cercato di stemperare l’estensione della sfera di interesse dell’organizzazione, dicendo che nessuno vuole una “nuova Guerra fredda” con Pechino. Sono molti, però, i nodi da sciogliere sui meccanismi della NATO: riguardo all’articolo 5 — quello che prevede che gli alleati sostengano le operazioni militari di uno stato membro se risponde a un attacco che ha subito — ieri si è parlato di attacchi spaziali, ma, restando con i piedi per terra, di cyber attacchi.

E l’Italia? Nella conferenza stampa finale del G7, Draghi aveva fatto propria la linea sulla Cina emersa durante il vertice, dicendo che “ha diritto a essere una grande economia, ma in discussione sono i modi, come le detenzioni coercitive. È una autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali e non condivide la stessa visione del mondo della democrazie. Bisogna essere franchi, cooperare ma essere franchi sulle cose che non condividiamo e non accettiamo.” Riguardo all’adesione italiana al progetto della Nuova via della seta, ha detto che sarà “esaminata con attenzione.”

La pressione sulla questione cinese è evidentemente altissima anche nel nostro paese: a Giuseppe Conte settimana scorsa sarebbe molto piaciuto partecipare a un ricevimento all’ambasciata cinese, con la quale fin da quando era presidente del Consiglio coltiva ottimi rapporti, ma in seguito a pressioni anche dentro al suo partito ha dovuto declinare l’invito.

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