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in copertina, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, insieme all’avvocato Massimo Di Noia (al centro), in una foto del processo d’appello del 1991, via Wikimedia Commons

La decisione di Macron è dettata da ragioni di politica interna — come il tripudio unanime della politica italiana per gli arresti, che impedisce un’analisi più seria e articolata dell’eredità degli anni Settanta in Italia

Ieri mattina sono state arrestate a Parigi sette persone condannate in Italia per reati commessi tra gli anni Settanta e Ottanta nell’ambito del terrorismo di sinistra: tra loro ci sono alcuni nomi di spicco delle Brigate Rosse, di Lotta Continua e di altre formazioni “rivoluzionarie,” come Roberta Capelli, Marina Petrella e Giorgio Pietrostefani, condannato a 22 anni come mandante dell’omicidio di Luigi Calabresi. Tre invece sono riusciti a fuggire: Luigi Bergamin, Maurizio Di Marzio e Raffaele Ventura. L’operazione, chiamata “Ombre Rosse,” è frutto di una lunga trattativa tra il governo italiano e quello francese, in cui si sarebbe spesa personalmente la ministra della Giustizia Cartabia, che oggi su Repubblica nega che si tratti di “una sete di vendetta” da parte dello stato. Le autorità italiane inizialmente avevano chiesto l’estradizione di 200 persone, ma il numero si è poi ridotto ai 10 arrestati o ricercati ieri, ritenuti colpevoli dei crimini più gravi. Per l’estradizione, comunque, potrebbe volerci ancora qualche anno.

Dopo l’arresto nel 2019 di Cesare Battisti, l’operazione di ieri è un altro colpo di spugna sulla cosiddetta “dottrina Mitterrand,” in virtù della quale la Francia negli anni Ottanta accolse come rifugiati politici centinaia di ex militanti di sinistra italiani, anche se il governo francese nega di volerla del tutto archiviare. La notizia è stata accolta in Italia con un muro di entusiasmo quasi unanime — Draghi ha parlato di “atti barbarici” che hanno lasciato una “ferita ancora aperta” — con poche rilevanti eccezioni: Mario Calabresi, pur dicendo che “la giustizia è stata finalmente rispettata,” ha detto che non si può “provare soddisfazione nel vedere una persona vecchia e malata in carcere dopo così tanto tempo.”

Come la vicenda di Cesare Battisti, anche gli arresti di ieri rappresentano l’ennesima occasione sprecata, per la politica e per l’opinione pubblica italiana, di affrontare un dibattito serio sulla violenza politica nei cosiddetti anni di Piombo, spesso narrati con una retorica superficiale, che nasconde profonde contraddizioni all’interno del paese: “Questo Paese appena cinque anni dopo la guerra ha dato amnistia e indulto a membri delle bande di fascisti che torturavano. E vogliamo parlare dell’armadio della vergogna? Sembra che solo i reati degli anni ’70 siano imprescrittibili, perché i protagonisti di quegli anni sono i vinti della storia,” ha detto all’Adnkronos Paolo Persichetti, unico ex brigatista finora estradato dalla Francia, nel 2002. Quasi tutti gli arrestati di ieri sono ultrasettantenni che hanno affrontato un percorso di vita diverso rispetto ai fatti di quarant’anni fa: “Che senso ha ora distruggere tutto ciò?” — si chiede Persichetti. “La pena deve avere una funzione socializzante, riabilitativa. E in qualche modo l’‘esilio’ ha avuto lo stesso effetto.”

Secondo Valerio Renzi di Fanpage, l’occasione di uno scioglimento della questione è in mano al presidente della Repubblica, che potrebbe concedere la grazia alle persone arrestate ieri: “Sarebbe l’occasione per strappare da un discorso esclusivamente giustizialista la stagione politica dei lunghi anni ’70 italiani, restituendolo a una sua piena storicizzazione voltando finalmente pagina. L’idea è stata anche sollevata dallo stesso Calabresi, in un’intervista al Corriere della Sera. La politica italiana però sembra più interessata a giocare al rilancio: Alessandro Urzì, consigliere regionale e provinciale del Trentino Alto Adige per FdI, ha chiesto al governo Draghi che vengano estradati da Austria e Germania anche gli altoatesini coinvolti in attentati ad infrastrutture e forze dell’ordine italiane negli anni Settanta.

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