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in copertina, foto di Si Cobas, via Facebook

Secondo l’avvocato dei lavoratori, sarebbe un’“operazione ragionata” per chiudere un magazzino in cui i facchini sindacalizzati da Si Cobas erano riusciti a ottenere paghe decorose

FedEx ha deciso che lascerà lo stabilimento di Piacenza per investire in altri siti produttivi nel paese, in una ristrutturazione generale del suo business in Italia. La decisione è stata rapida e brutale — in un comunicato aziendale si legge che “le attività di smistamento pacchi presso questa struttura cessano dunque dalla data odierna, a seguito della chiusura del contratto di appalto sul sito.” A rischio ci sono circa 300 posti di lavoro solo a Piacenza, la provincia italiana che negli ultimi anni ha visto il proprio territorio più coinvolto nei meccanismi della nuova economia segnata dal commercio online, ospitando sedi e magazzini delle principali multinazionali del settore.

Gli scioperi dello scorso febbraio, nonostante quanto provocatoriamente dichiarato dalla procura cittadina, non erano dunque immotivati. FedEx infatti aveva annunciato l’intenzione di ristrutturare la propria presenza in Europa, con circa 5.300 – 6 mila esuberi in tutto il continente. Gli operai avevano chiesto rassicurazioni sulla tutela dei propri posti di lavoro, ed erano stati duramente puniti per questo. È di solo pochi giorni fa la notizia della liberazione di due sindacalisti Si Cobas, agli arresti domiciliari proprio per gli scioperi di febbraio. 

Proprio la grande efficacia e durezza dell’azione sindacale dei Si Cobas, che negli ultimi dieci anni ha reso possibile un lieve miglioramento delle condizioni di lavoro, probabilmente ha influito sulla decisione dell’azienda di andare a cercare manodopera altrove. 

Secondo l’avvocato Lorenzo Venini, che si occupa della difesa legale dei lavoratori dello stabilimento e che avevamo contattato due settimane fa in occasioni dei controversi arresti dei sindacalisti Si Cobas Carlo e Arafat, “si è chiuso il cerchio.” Purtroppo, nel peggiore modo possibile, “nonostante TNT avesse dichiarato che non avrebbe fatto tagli e non ci sarebbe stato alcun impatto occupazionale sul sito di Piacenza, e nonostante l’8 febbraio abbia detto queste cose davanti alla prefettura con un sacco di istituzioni — tra cui il questore e l’ispettorato del lavoro.”

TNT sostiene che tutelerà i propri lavoratori, ma “dato che utilizza il subappalto, nella nota si dice che i dipendenti non subiranno conseguenze occupazionali. Nello stabilimento penso che i dipendenti TNT siano, esagerando, il 20%. In realtà la stragrande maggioranza sono dipendenti dei subappaltatori, ed è ovvio che la chiusura impatta anche su di loro, che probabilmente rimarranno tutti senza lavoro.”

Nonostante quanto affermato dalla procura, i lavoratori avevano dunque ragione a scioperare: il loro posto di lavoro era effettivamente a rischio a causa della politica di ristrutturazione aziendale. I segnali erano visibili già da settimane: “Il 10 marzo ci sono stati gli arresti, e già da qualche giorno dopo TNT ha iniziato a spostare la merce dal magazzino di Piacenza. Tutti i colli che venivano gestiti lì sono stati spostati su altri magazzini, come quelli di Milano o Bologna. E il magazzino di Piacenza è rimasto vuoto — ed è vuoto da almeno una settimana: così hanno raggiunto il loro obiettivo, che secondo me era fin dall’inizio chiudere l’impianto.”

Venini fa notare quella che sembra una totale mancanza di buona fede da parte dell’azienda nel gestire la contrattazione: “Stupisce ancora di più che l’8 febbraio dichiarino, come da verbale prefettizio, che non avrebbero chiuso il magazzino. Siamo alla fine di marzo, è passato poco più di un mese e d’improvviso invece lo chiudono. Significa innanzitutto che gli scioperi di febbraio avevano fondamento, ma mi sembra anche che FedEx–TNT abbia agito con uno spregio totale, assoluto, non solo dei lavoratori ma anche delle istituzioni. Hanno dichiarato davanti al prefetto, che è comunque rappresentante del governo sul territorio, che quel magazzino rimarrà e un mese dopo lo hanno chiuso… Mi sembra veramente che si sentano sopra a qualunque regola.”

Cosa succederà adesso? “Non sappiamo di preciso cosa farà il datore di lavoro. C’è ancora il divieto di licenziamento: verranno messi in cassa integrazione, spostati altrove? Nessuna legge comunque vieta a un’azienda di chiudere uno stabilimento, se lo decide. Esattamente come le dichiarazioni davanti al prefetto: possono impugnarla moralmente — e mi auguro che si farà così — ma è un impegno che giuridicamente non so quanto possa essere giudiziabile. Vediamo se ci saranno degli strumenti giuridici oltre a quelli della lotta sindacale — che secondo me restano i più importanti — ma a parer mio sarà molto complicato.”

Insomma, “Quando un’azienda chiude, chiude. Anche se questo non è proprio il caso: chiudono solo un magazzino. Nella dichiarazione dicono che chiudono Piacenza ma aprono altri magazzini, altri hub — il ché secondo me rende ancora più criminoso il disegno complessivo. Perché non stiamo parlando di dissesto finanziario, ma di un settore che non ha certo subito il covid più di altri. ” 

Sembra evidente che la motivazione di questa chiusura possa dunque essere politica. “Io non conosco i business plan di FedEx–TNT. Però se guardo allo sviluppo cronologico della vicenda c’è una dichiarazione di gennaio in cui si dice che serve ristrutturare; degli scioperi a febbraio che costringono l’azienda a ritrattare questa affermazione; poi un intervento molto forte della procura di Piacenza con arresti e  misure cautelari che indebolisce il sindacato sul territorio… E appena la procura è intervenuta, nel momento di maggior debolezza del sindacato, le merci sono state spostate altrove, e il magazzino chiude.”

“Se chiedi la mia opinione, è perché con anni di lotte i lavoratori di Piacenza erano riusciti a ottenere paghe dignitose, e l’idea che i lavoratori ricevano paghe dignitose non piace a FedEx–TNT perché incide sui loro profitti.” Anche perché da un punto di vista logistico Piacenza è uno snodo fondamentale. “Non mi si venga a dire che ci è resi conto che quel magazzino all’improvviso era posizionato male. Non posso non pensare che l’idea sia quella di eliminare un magazzino dove i dipendenti, dopo un decennio di lotte, erano riusciti a ottenere una retribuzione dignitosa.”

Resta l’amarezza, anche per il trattamento dei sindacalisti di Si Cobas, ritratti dalla procura come una via di mezzo tra pericolosi estremisti ed esigenti fannulloni. “Spiace anche perché avevamo avuto una buona notizia questo venerdì con la revoca delle misure cautelari, ma poi subito si è rivelato qual era il vero obiettivo di TNT fin dall’inizio. Questo ci tengo sia chiaro: tutta questa operazione era pensata e ragionata, e volta a far fuori un magazzino nel quale i lavoratori erano pagati più o meno correttamente.”

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