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Nel proprio esordio in parlamento, Cingolani si è prodotto in un volo pindarico tra fusione atomica e idrogeno verde, mentre l’emergenza climatica richiede risposte immediate, basate su tecnologie, come dire, esistenti

Nel proprio primo intervento — da remoto — come ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani si è lanciato in una serie di previsioni futuribili e avventuristiche, più vicine a quelle di un Beppe Grillo della prima ora che a un ministro presentato come un brillante tecnico.

Secondo il ministero, infatti, la “vera fonte energetica universale saranno le stelle,” riferendosi al sogno della fusione nucleare, che da anni deve essere al centro di una rivoluzione energetica che non sembra arrivare mai — e che ora secondo gli esperti potrebbe essere in dirittura d’arrivo per il 2025, oppure no, scusate, per il 2040.

La fusione è il contrario della fissione: mentre nella fissione un nucleo atomico molto grande come quello dell’uranio viene diviso generando energia, nella fusione dei nuclei molto piccoli come quelli di idrogeno vengono uniti a forza, generando ancora più energia. Non si è ancora riusciti però a fare progressi decisivi sulla progettazione di reattori adatti ad ospitare idrogeno riscaldato a milioni di gradi — necessario per la fusione — e rimangono una lunga serie di altri problemi da risolvere. 

L’altro pilastro per la conversione ecologica sarebbe, secondo il nuovo ministro, l’“idrogeno verde,” che sostituirà le batterie, per via del loro “problema di dismissione.” Anche su questo fronte, la proposta del ministro è per sua stessa ammissione a dir poco futuribile: “Al momento non abbiamo gli impianti, non sappiamo come stoccare e come utilizzare l’idrogeno. Ma questa è solo la realtà odierna,” si è commentato da solo il ministro. 

I sogni futuribili sono belli ed emozionanti, ma di fronte a una incredibilmente pressante emergenza climatica, è necessaria una risposta che sia ben piantata nella tecnologia contemporanea. È la critica avanzata anche da Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, che ha sottolineato come l’orizzonte europeo in questo momento sia il periodo 2023–2026 — orizzonte che obbliga a considerare le automobili elettriche come unica soluzione per ridurre drasticamente le emissioni individuali. Il 37% del Recovery Fund dovrebbe andare speso in investimenti per la decarbonizzazione, e in questo quadro l’energia delle stelle sembra per il momento una proposta velleitaria. 

Per spingere l’idrogeno il ministro ha anche, involontariamente (?) pronunciato parole molto dure sulla tecnologia delle auto elettriche — parole di cui non c’era proprio bisogno. In particolare, Cingolani ha detto che le batterie “inquinano.” Questo è vero, ma l’impatto sull’ambiente sarebbe comunque molto minore rispetto a quello complessivo delle emissioni dei veicoli a combustibili fossili di oggi. Inoltre, come ha fatto notare Zanchini, “dire che le batterie inquinano significa ignorare le tante aziende che stanno lavorando sul recupero delle batterie.”

Le parole discutibili di Cingolani sono l’ennesima crepa nell’immagine del “governo degli esperti.” Senza un colore politico chiaro e una direzione ideologica diversa dall’idealizzazione della competenza, il governo Draghi è particolarmente vulnerabile agli scivoloni come quello di Cingolani, perché rivelano che anche l’unico suo motivo di esistere — quello di essere fatto solo da infallibili esperti — potrebbe essere infondato.

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