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in copertina, foto Presidenza del Consiglio dei Ministri

Nonostante la retorica quasi militarista del “cambio di passo,” anche il governo Draghi si trova costretto ad approvare Dpcm all’ultimo minuto, diversi di settimana in settimana. Dopo un anno l’Italia non sa ancora stare al passo con la velocità del contagio

Domani dovrebbe riunirsi il Consiglio dei ministri che dovrà decidere sulle nuove misure di contrasto alla pandemia per le prossime settimane. La decisione era attesa per ieri sera, ma è stata rinviata ad oggi “in attesa di nuovi dati.” La principale novità dovrebbe essere l’ingresso automatico in zona rossa per le regioni che fanno segnare più di 250 casi settimanali ogni 100 mila abitanti. Un criterio che farebbe passare in zona rossa la Lombardia, le province di Trento e Bolzano, le Marche, l’Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia e il Piemonte. In Piemonte, in particolare, la situazione sembra che si stia deteriorando molto in fretta: ieri la regione ha decretato il blocco ai ricoveri di pazienti non Covid, tranne che per le urgenze e i pazienti oncologici. Sembra improbabile che verrà formalmente decretato un lockdown totale — probabilmente si continuerà con la ripartizione a zone.

Il governo vorrebbe comunicare le nuove misure con un minimo anticipo — evitando scenari come quello lombardo, dove la scorsa settimana sono scattate le misure per la zona arancione scura da un giorno all’altro — ma al proprio interno è è ancora diviso sul da farsi. L’ala rigorista, capeggiata come al solito dal ministro Speranza, spinge per chiusure più severe su tutto il territorio nazionale e costanti nel tempo — non solo nei fine settimana. Nella nuova riunione della cabina di regia tra governo e Cts, quest’ultimo probabilmente tornerà a chiedere maggiori restrizioni almeno per i weekend e per le feste. C’è però un’ala aperturista, che si riferisce soprattutto a Lega e Forza Italia, che spinge per conservare gli spazi di apertura per la ristorazione che oggi sono già presenti in zona gialla: ieri Salvini si è dichiarato contro le chiusure anche nei weekend, dicendo che non servono più misure ma “più controlli.” A un mese dal cambio della guardia, il governo Draghi sembra comunque soprattutto un governo Conte con più partiti di destra un ufficio stampa migliore, visto che le criticità più rilevanti della precedente gestione — come la confusione sui ristori e sulla scuola e il vizio delle decisioni dell’ultimo minuto — non sembrano cambiati di una virgola.

Nel frattempo nuovi casi aumentano, anche se con qualche segno di rallentamento rispetto alle due settimane precedenti: ieri sono stati registrati 22.409 nuovi casi, a fronte di circa 361 mila test. Preoccupano, però, i nuovi ingressi in terapia intensiva, che ieri sono stati 253 — la terza cifra più alta da quando viene diffuso il dato dei nuovi ingressi — con un saldo positivo di 71. La soglia critica del 30% di posti occupati da pazienti covid è stata superata in 11 regioni. Resta sempre alto anche il numero dei decessi, che ieri sono stati 332.

Il governo sta lavorando anche a una nuova revisione del piano vaccinale che, mentre terminano le somministrazioni al personale scolastico e alle forze dell’ordine, si concentri prevalentemente su criteri anagrafici combinandoli con criteri di fragilità clinica. Dovrebbero essere definite cinque categorie di priorità:

  • persone di elevata fragilità;
  • persone tra 79 e 70 anni di età;
  • persone tra 69 e 60 anni di età,
  • persone under 60 con criticità non gravi;
  • tutto il resto della popolazione.

Fare piani però non basta — bisogna anche che la logistica, organizzata su base regionale, funzioni con efficienza. La regione Lombardia, che finora su questo fronte non ha dato ottime prove, ha firmato un protocollo con Confindustria e Confapi per la somministrazione dei vaccini da parte delle aziende ai propri dipendenti. Il governatore Fontana ha specificato però che il protocollo “inizierà ad avere valore quando inizierà la vaccinazione massiva” e che “si basa sul rispetto delle priorità del piano nazionale.” (Quotidiano Sanità / Milano Today / la Repubblica)

E lo Sputnik? Negli ultimi giorni si fa un gran parlare del possibile arrivo anche in Italia del vaccino russo, che dovrebbe essere prodotto dall’Adienne di Caponago, in provincia di Monza. La produzione potrebbe cominciare a luglio, e in un primo tempo si era parlato di una possibile consegna di 10 milioni di dosi entro l’anno — che ieri il fondatore ha squalificato come “assoultamente impossibile.” Non è anora chiaro, inoltre, se e quando arriverà il via libera alla distribuzione sul territorio europeo e italiano da parte di Ema e Aifa. La freddezza con cui la notizia è stata accolta dalla maggior parte delle istituzioni rendono ancora più forte il sospetto che la vicenda sia soprattutto un’operazione di propaganda da parte della nutrita comunità di amici della Russia in Italia — non a caso sembra che la vicenda sia materia di scontro all’interno della Lega tra il filo-Putin Salvini e il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti. (il Giorno / Huffington Post)