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Per una settimana la regione è stata in zona rossa per via di un errore nella comunicazione dei dati dei contagi. Ma il presidente Fontana continua ad accusare Roma

Dopo una settimana di continui attacchi al governo sulla classificazione della Lombardia come zona rossa, ieri pomeriggio è emerso che questa categorizzazione era sì irregolare, ma per un errore commesso dalla giunta stessa nel conteggio dei dati. È tutto nero su bianco, in una relazione dell’Istituto superiore di sanità: il 20 gennaio, la Lombardia ha inviato il consueto conteggio settimanale dei dati, che conteneva anche una rettifica su quelli della settimana 4-10 gennaio. Ecco le modifiche comunicate dalla Lombardia all’Iss:

  • il numero di casi in cui è indicata una data di inizio sintomi (gli unici inizialmente considerati nel calcolo dell’Rt sympt) è diminuita (da 419,362 a 414,487);
  • il numero di casi con una data di inizio sintomi e in cui sia segnalato uno stato sintomatico (qualunque gravità) o sia assente questa informazione (inclusi nel calcolo Rt sympt) è diminuito (da 185,292 a 167, 638);
  • il numero di casi con una data di inizio sintomi e in cui sia dichiarato uno stato asintomatico o vi sia notifica di guarigione/decesso senza indicazione di stato sintomatico precedente (esclusi dal calcolo Rt sympt) è aumentato (da 234,070 a 246,849).

Il risultato di questa modifica è un diverso valore dell’indice Rt, uno dei parametri chiave per definire la classificazione delle regioni. Secondo quanto riporta l’Iss, “Complessivamente questi cambiamenti riducono in modo significativo il numero di casi che hanno i criteri per essere confermati come sintomatici e pertanto inclusi nel calcolo dell’Rt basato sulla data inizio sintomi dei soli casi sintomatici calcolata al 30 dicembre (14.180 casi sintomatici con data inizio sintomi nel periodo 15-30 dicembre 2020 nel DB 13 gennaio e 4.918 casi sintomatici con data inizio sintomi nel periodo 15-30 dicembre 2020 DB 20 gennaio).” Ciò vuol dire che la Lombardia ha notificato tre volte più casi di quanti effettivamente fossero da comunicare, facendo lievitare l’indice Rt fino a far cadere la regione nella classificazione della “zona rossa.” L’Rt dunque non era di 1,4, come sembrava all’inizio, ma 0,88.

Nonostante l’incredibile errore — o l’incredibile manipolazione dei dati, se si vuole pensare male — e la conseguente rettifica, dalla giunta Fontana non è arrivato nessun tipo di autocritica, anzi: la regione ha continuato ad attaccare l’Iss e il governo: “Abbiamo sempre fornito informazioni corrette, puntuali e precise, a Roma devono smetterla di calunniare la Lombardia per coprire le proprie mancanze,” ha scritto Fontana su Twitter — in una sorta di gaslighting istituzionale. La regione, in una nota ufficiale, ha infatti giustificato la rettifica con una non meglio specificata “anomalia dell’algoritmo utilizzato dall’Iss per l’estrazione dei dati per il calcolo dell’Rt, segnalata dagli uffici dell’assessorato al Welfare della Regione e condivisa con Roma.”

In realtà, senza scomodare qualche “anomalia dell’algoritmo,” bisogna ricordare che non è la prima volta che la Lombardia gestisce i propri dati in maniera un po’ avventurosa:

Anche la neo-assessora al Welfare e vicepresidente Letizia Moratti, in un’intervista a Repubblica, scarica la responsabilità su questi fantomatici algoritmi, sostenendo che la regione non abbia modificato i dati — nonostante ci siano prove a riguardo — ma ammettendo la verità tra le righe, con una contorsione verbale politichese di rara maestria. Alla domanda diretta dell’intervistatore — “Avete rettificato i dati?” — Moratti risponde: “Nessuna rettifica, a seguito di un approfondimento relativo all’algoritmo dell’Iss, condiviso con lo stesso, per l’estrazione dei dati per il calcolo dell’Rt, abbiamo inviato la rivalorizzazione di dati richiesta che ci auguriamo porti alla revisione dell’assegnazione di zona rossa.” Quindi sì, i dati sono stati rettificati — pardon, “rivalorizzati.”

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Questa svolta è ancora più assurda se si pensa che nell’ultima settimana la regione non si era limitata alle semplici polemiche verbali verso le autorità centrali, ma si era anche lanciata in una vera e propria disputa amministrativa e istituzionale rivolgendosi il 19 gennaio al Tar, sostenendo che la decisione di includere la Lombardia nella zona rossa fosse illegittima. Fontana, annunciando il ricorso, aveva anche commentato le lamentele di alcuni sindaci della regione che sostenevano di non riuscire a capire quanti contagi ci fossero nel proprio comune a causa dei malfunzionamenti delle piattaforme regionali. Secondo Fontana, “i dati sono a conoscenza di tutti i sindaci. Può essere stato un momento di non funzionamento per qualche ora, ma il ‘cruscotto’ funziona.”

Anche in questo caso le motivazioni addotte dalla regione per giustificare la propria azione erano piuttosto fumose: Fontana aveva dichiarato che “Rt è un parametro che è strutturalmente in ritardo. Nel caso in questione si riferisce alla settimana dal 23 al 30 dicembre, mentre l’incidenza è un parametro molto più aggiornato e aderente alla realtà.” Dal governo avevano fatto notare che i criteri per stabilire la classificazione di una regione erano stati concordati tra l’esecutivo e governatori — la giunta lombarda, insomma, ha cominciato a lamentarsi quando ha capito che con i nuovi criteri sarebbe finita in zona rossa. Commentando la notizia, Fontana aveva detto che “C’è qualcosa che non funziona nei conti” — una previsione poi rivelatasi corretta, anche se non come intendeva Fontana. Il tribunale amministrativo regionale avrebbe dovuto emettere una sentenza il prossimo lunedì, ma non è chiaro se a questo punto si esprimerà lo stesso in qualche modo — la sentenza era già stata rimandata di qualche giorno. Un’eventuale sentenza del Tar favorevole a regione Lombardia avrebbe rischiato di far crollare l’intero impianto “cromatico” imbastito dal governo per regolare su base locale le misure restrittive di contrasto al contagio.

In ogni caso, infatti, i nuovi (?) dati forniti dalla regione cambiano in modo sostanziale il quadro epidemiologico: da domenica la Lombardia dovrebbe tornare effettivamente in zona arancione. In maniera piuttosto interessante, una delle principali differenze con la zona rossa riguarda le scuole: in zona arancione è garantita l’attività in presenza al 100% per scuole dell’infanzia, elementari e medie. Alle superiori dovrebbe essere garantita la didattica in presenza alternata per almeno il 50% e fino al 75% degli alunni — ma la regione sembra di diverso avviso: nell’intervista citata sopra, Moratti ha dichiarato che “A nessuno fa piacere che ci sia solo la Dad, ne perde la qualità della didattica e i ragazzi in termini di relazioni sociali. Ma i dati dimostrano una rapida caduta dei contagi degli studenti dopo la chiusura. Il tema del contagio da parte dei giovani verso le persone più fragili, genitori e nonni, esiste e va considerato. La scuola comunque è una priorità.”

Tutto questo contribuisce a dare l’impressione di una regione da una parte in preda al caos e alla disorganizzazione, dall’altra che sembra non avere come interesse primario la tutela della salute dei propri cittadini. Con il rimpasto di giunta, che ha visto l’uscita di scena del goffo assessore Gallera, la situazione non sembra essere migliorata: anzi, l’arroganza del governo regionale sembra essere addirittura aumentata, avendo perso quello che oramai era diventato un personaggio comico e guadagnando un’ex sindaca e ministra dell’Istruzione nota per l’entusiasmo nel favorire i privati a scapito del settore pubblico. Nell’intervista a Repubbica, Moratti ha dichiarato ancora che “la libertà di scelta del cittadino è un valore e va preservato. Il ruolo del pubblico è centrale, i privati possono portare modelli di efficienza ed efficacia, ma sempre con prestazioni pianificate dalla Regione.” Dopo un anno di fallimenti, la sanità privata lombarda viene vista ancora come “modello di efficienza ed efficacia” — in ordine di tempo, l’ultima clamorosa dimostrazione di inefficienza si è verificata due settimane fa, quando diversi cittadini milanesi si sono sentiti dire al telefono che il proprio test era positivo nonostante non ne avessero mai fatto uno.

Quello sui dati non è l’unico errore di calcolo grave emerso in questi giorni in Lombardia: la regione sta chiedendo al personale sanitario che nello scorso decennio ha effettuato servizio di guardia medica di rimborsare alcuni emolumenti che, a distanza di anni, sono stati identificati dalla Corte dei Conti come irregolari. La vicenda è piuttosto complessa, e riguarda le modalità con cui la regione aveva deciso di retribuire queste prestazioni, differente rispetto alle altre. Oggi queste ex guardie mediche sono per la maggioranza medici di base, che si sono visti arrivare richieste di restituzione anche per centinaia o migliaia di euro — proprio nella regione in cui il sistema dei medici di base è stato più trascurato e indebolito, fattore che ha contribuito alla gravità della pandemia in Lombardia. La segretaria della Federazione Italiana dei Medici di Medicina generale, Paola Pedrini, ha semplicemente invitato i membri della categoria a non pagare e ha garantito tutela legale per tutti. Alla domanda se la Federazione abbia proposto impugnative e ricorsi, Pedrini ha risposto: “In realtà no, il parere degli avvocati è che la pretesa sia tanto infondata che non è neppure necessario agire in questo senso.”


In copertina, foto via Facebook

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