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La campagna virale #UnoNonBasta chiede di aumentare dall’1% al 10% le risorse dedicate ai giovani, ma è solo uno dei tanti buchi neri dell’attuale bozza del Recovery Plan

“Mai come prima d’ora abbiamo ricevuto una partecipazione social così alta sui temi che da anni cerchiamo di portare all’attenzione della nostra generazione. Si sta creando un legame trasversale fra realtà e colori politici differenti, uniti nel chiedere alla politica di fare di più per i giovani.” 

A parlare è il presidente di un’associazione che aderisce alla campagna #UnoNonBasta. Se usate spesso Instagram ve ne sarete accorti: per influencer, politici, attivisti, alcuni vostri colleghi di lavoro o semplici amici, l’inizio del 2021 è coinciso con lo sposalizio di una causa comune, promossa attraverso i rispettivi profili: #UnoNonBasta chiede al Governo di alzare la quota di risorse dedicate ai giovani nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dall’1% al 10% (20 dei 196 miliardi destinati all’Italia nell’ambito del Next Generation EU). 

Visionary e Officine Italia, due realtà giovanili tra le più attive in Italia, hanno saputo promuovere con abilità la loro campagna social, concentrata soprattutto su Instagram. Il format è di quelli già collaudati, e alterna numeri scioccanti sulla situazione giovanile con testimonianze dalla gioventù perduta. Una comunicazione efficace che ha innescato una slavina di apprezzamenti e condivisioni, che hanno attirato a loro volta l’interesse di alcune note pagine di informazione con un bacino di utenza di decine di migliaia di follower come Will e Torcha. 

Poi la palla è passata alla politica: i giovani democratici di Milano hanno rilanciato l’hashtag sulla loro pagina, seguiti da Matteo Richetti di Azione e da Giulio del Balzo, candidato a segretario di +Europa all’atteso congresso di aprile 2021. Il tema era già caro a Italia Viva, che nelle 62 considerazioni sul Recovery Plan si chiedeva: perché “mettere solo due miliardi sui giovani”? Dalla sinistra al centro, dal centro alla destra: Forza Italia Giovani dell’Emilia-Romagna ha appoggiato e rilanciato la petizione, mentre Fabio Roscani, Presidente del movimento giovanile di Fratelli d’Italia “Gioventù Nazionale,” ha dichiarato nei giorni scorsi che destinando solo l’“1% dei 196 miliardi del Recovery Fund ai giovani” il governo ha “svenduto il futuro dell’Italia.” Gli fanno eco le parole del responsabile del dipartimento Giovani della Lega, Luca Toccalini: “Destinare ai giovani solo l’1% delle risorse del Recovery Fund è una contraddizione in termini,” ha scritto in un post che è stato rilanciato da diverse pagine giovanili della Lega. 

A onor del vero bisogna dire che i due giovani leader di FdI e Lega non fanno espressamente riferimento alla campagna #UnoNonBasta. Ma a tradirli è il numero. L’1%, appunto. Da dove viene fuori questo numero perfetto, senza virgole e spazi di interpretazione? Come spiegato nel position paper della petizione e ribadito in un’intervista a Open da Carmelo Traina, il presidente del movimento Visionary, “la percentuale dei fondi dedicati ai giovani [nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ndr] è bassissima: 0,9 miliardi da qui al 2027 vanno al Servizio civile universale […] 1,9 miliardi sono invece attribuiti alle Politiche attive e alla formazione di occupati e disoccupati. Questa cifra, però, riguarda la popolazione di ogni fascia d’età. Abbiamo stimato che, considerando i giovani destinatari delle risorse di queste due macroaree, del Next Generation EU sarà investito circa l’1% per i ragazzi.” 

Come dice Traina, l’1% deriva da una stima: visto che nelle misure relative alla voce “Giovani e Politiche del lavoro,” le policy sono generalizzate su tutte le fasce di età, #UnoNonBasta tiene in considerazione solo i miliardi che in teoria spetterebbero ai giovani. Il movimento calcola che: in un popolazione di inattivi in Italia pari a circa 26.576.000, i giovani tra i 15 e i 34 anni ammontano a circa 6.225.000, il 23,4%. E in questa percentuale c’è già una notizia: secondo i calcoli di #UnoNonBasta, le politiche del lavoro tout court sarebbero infatti camuffate agli occhi dell’opinione pubblica come politiche dedicate esclusivamente ai giovani, mentre incidono sulle nuove generazioni meno di un quarto di quanto promesso (tralasciando il Servizio civile universale, che è esclusivamente dedicato alle nuove generazioni).

Il numero più citato dal movimento sui social e nelle interviste è 2,8 miliardi – cifra da rivedere al netto delle stime di cui sopra. Questo dato, come ci conferma #UnoNonBasta, deriva da una tabella riepilogativa legata alla bozza del PNRR datata 21 dicembre. Nel frattempo però i numeri sono cambiati, e infatti nel position paper redatto dal movimento viene dato conto di questi aggiornamenti: l’ultima bozza del Recovery Plan risale al 29 dicembre e indica alla voce “Giovani e politiche del lavoro” 3,35 miliardi. A questi vanno aggiunti alcuni valori vaghi che si rincorrono per tutta la bozza del PNRR, come “turnover nel settore editoria” o “finanziamento giovani ricercatori”: finanziamenti esplicitamente riconducibili ai giovani che valgono qualche decimale di miliardo da aggiungere al computo finale.

Il 7 gennaio è stata poi pubblicata una nuova suddivisione tabellare accompagnata da linee guida qualitative: qui scompare il riferimento ai giovani alla voce “Politiche per il lavoro,” che però salgono a ben 12,62 miliardi. Le politiche attive e il sostegno all’occupazione – che sono alla base delle richieste di #UnoNonBasta – valgono da sole 7,50 miliardi. Numeri nettamente più alti rispetto alle precedenti indiscrezioni, ma che vagliati secondo le analisi e le stime del movimento, portano gli autori del position paper a parlare di “una situazione poco migliorata a livello numerico e forse ancor più sfumata in merito ai propositi.”

Alla luce dell’andamento del dibattito politico sul Recovery Plan, pare dunque che quell’1% – un dato potenzialmente suscettibile di critiche vista la sua natura cangiante e soggetta a stime veritiere, anche se pur sempre organiche a una precisa narrazione – sia destinato a salire. Il confronto con gli altri Paesi resta comunque senza spazi di interpretazione. #UnoNonBasta, movimento che scaturisce proprio da un’analisi comparativa di diverse bozze di Recovery Plan in vari Paesi UE, scrive che la Francia ha messo in campo circa 15 miliardi “direttamente riferibili alla gioventù,” mentre il Portogallo impegnerà circa l’8,7% delle risorse nelle politiche per l’impiego. Numeri imponenti, che non trovano eguali nel dibattito nostrano. 

#UnoNonBasta, insomma, segna una svolta: l’impegno di associazioni e attivisti nel promuovere il progetto sta finalmente portando all’attenzione pubblica il tema del disagio giovanile. Nel fare questo, il movimento si è concentrato sulle politiche del lavoro, punto dolente delle nuove generazioni soggette a precariato, disoccupazione e stipendi a tre cifre. Quella del lavoro è “LA” battaglia dei giovani, il tema principe su cui imbastire campagne per iniziare a cambiare le cose. Non bisogna però pensare che il PNRR sia un piano costruito attorno a questa “single-issue” e che quindi basti aumentare le risorse alla voce “Giovani e politiche del lavoro” per rivoluzionare la situazione giovanile. 

C’è una provocazione che in questo senso può aiutarci a meglio a capire perché #UnoNonBasta è un buon inizio, ma non è abbastanza per risolvere i difetti del PNRR. Sotto al post con cui Matteo Richetti rilanciava la petizione, qualcuno ha scritto: “Gli investimenti, ad esempio, sulla green economy e sulla digitalizzazione sono di riflesso investimenti sui giovani. Da giovane ritengo che questo paese non abbia bisogno di politiche giovanili ad hoc, ma piuttosto di riforme organiche una visione che punti sui giovani. Investire sul green e sull’ICT è un passo avanti in questa direzione.”

Il detrattore di Richetti suggerisce, in poche parole, che qualsiasi investimento o riforma che sia efficace e ben pensata, di fatto ha delle esternalità positive sui giovani. Visto in quest’ottica, “l’1% dedicato ai giovani” diventa uno slogan abbastanza ambiguo: utile alla narrazione per investire sulla viralità dei contenuti, ma deficitario di tutto ciò che non riguarda le politiche lavorative. 

Chi ha ragione? La verità sta nel mezzo. La bassa percentuale di risorse dedicata alle politiche del lavoro per i giovani è solo uno dei tanti buchi neri del Recovery Plan. Le cosiddette riforme “organiche” che dovrebbero avere esternalità positive sui giovani vengono abbozzate e sono sconnesse le une dalle altre: obiettivi nobili come il “turnover nel settore dell’editoria” o l’aumento delle “competenze digitali per i cittadini” sono spesso sviscerati in modo approssimativo lungo il testo delle bozze; ambizioni pluridecennali dell’Italia vengono affastellate in poche righe, con riferimenti vaghi agli obiettivi, come quello di “trasformare la PA in un’organizzazione semplice, snella e connessa, capace di offrire servizi pensati sulle reali esigenze di cittadini ed imprese e disegnati in una logica utente-centrica” (dalla bozza del 29 dicembre); non mancano ripetizioni – come ha fatto notare Italia Viva nelle sue considerazioni – mentre la rivoluzione digitale funge da trait d’union di tutto il piano italiano: viene sparsa come il prezzemolo tra le varie missioni, ma senza indicare una direzione precisa di modernizzazione del paese.

La bassa percentuale di risorse dedicata alle politiche del lavoro per i giovani è solo uno dei tanti buchi neri del Recovery Plan

Al tema dell’export viene dedicato un piccolo paragrafo, con interventi per l’internazionalizzazione delle imprese fermi a 0,45 miliardi. Un po’ pochino per un paese dove l’export è uno dei settori trainanti dell’economia. Il piano francese (France Relance), ad esempio, ha sullo stesso tema 6 progetti specifici ciascuno con obiettivi, risorse e valore dei finanziamenti.

Inoltre, un settore fondamentale come quello del turismo si risolve in una fitta elencazione di investimenti, senza però una strategia univoca: vengono disposte risorse, ma manca appunto quella visione organica necessaria a rilanciare il comparto dopo la crisi pandemica, che in Italia è ancor più minato – rispetto ai colleghi europei – dall’appannaggio regionale del turismo. Infine, un altro tema cardine per il futuro del paese (e quindi dei giovani) come quello del 5G, non viene troppo approfondito, in quanto divisivo all’interno della maggioranza.

Potremmo proseguire nell’analisi e sviscerare investimento per investimento, ma basta un semplice sguardo alle ultime bozze per appurare quanto il Recovery Plan italiano, almeno per ora, si risolva in una complessa serie di voci di bilancio mancanti di una visione organica: è lei la grande assente di queste pagine su cui si decide il futuro (anche) delle nuove generazioni.

A tal proposito, non sbaglia #UnoNonBasta a prendere ad esempio il piano francese, dove il tema delle nuove generazioni è articolato e studiato con precisione, tanto da occupare più di 50 pagine rendendolo l’argomento più cospicuo del testo. Non parliamo solo di politiche attive: istruzione, sport, lavoro, volontariato, formazione sanitaria sono solo alcune delle voci attraverso cui la Francia andrà a intervenire sul futuro delle nuove generazioni in un’ottica di investimenti aggregati.

In attesa di avere tra le mani un piano definitivo, la nostra generazione si deve insomma accontentare della campagna per alzare l’1%. Ma dobbiamo farlo con la consapevolezza che non basterà un aumento – anche importante – delle risorse dedicate alle politiche per il lavoro dei giovani ad assicurarci un futuro migliore: problemi strutturali chiamano critiche organiche, ça va sans dire.

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