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Tra forniture poco chiare di banchi monoposto, incertezza sugli spazi a disposizione e distanze variabili tra le “rime buccali,” sembra che la preparazione alla riapertura delle scuole non sia a buon punto. Ma il tempo stringe

Tra circa 2 settimane inizia l’anno scolastico. Le scuole sono state chiuse a fine febbraio, prima ancora del lockdown nazionale, e non hanno mai più riaperto. La data ufficiale è il 14 settembre, ma per esempio in Alto Adige ricominceranno già il 7 settembre, mentre in Friuli Venezia Giulia aspetteranno il 16. Alcune regioni hanno preferito infatti aspettare lo svolgimento delle elezioni regionali e dei referendum che si svolgeranno il 20-21 settembre, e che come al solito vedranno nelle scuole la propria sede privilegiata.

La pandemia è iniziata da parecchi mesi e le misure di distanziamento sociale sono entrate a far parte della quotidianit: ci si potrebbe aspettare di arrivare pronti a questa ripartenza. Invece non è così: al momento la riapertura delle scuole è ammantata ancora da moltissima incertezza. È complicato riorganizzare in poco tempo un sistema scolastico che da decenni è fondato su due pilastri: il sovraffollamento delle classi e la povertà strutturale degli edifici scolastici.

Negli ultimi giorni le discussioni più accese si sono registrate tra il governo e le regioni, con una serie di riunioni infinite, linee guida contraddittorie e tira e molla vari, su alcune questioni fondamentali come: il trasporto pubblico, il mantenimento delle mascherine in aula, la misurazione della febbre.

Dopo due giorni di riunioni, le regioni hanno dato il proprio OK alle indicazioni operative dell’Istituto superiore di sanità su come bisognerà gestire i casi e i focolai di coronavirus nelle scuole. È l’OK definitivo? Ovviamente no: bisogna aspettare una nuova riunione, che dovrebbe tenersi proprio oggi.

In sostanza: ogni scuola deve avere una stanza dove isolare l’allievo che si sospetta positivo, mentre si aspetta l’arrivo dei genitori. Sono loro a contattare pediatra o medico di famiglia che a sua volta, se lo ritiene necessario, richiede il tampone alla Asl. In caso di positività si valuta l’isolamento di tutti i compagni di classe e dei docenti che hanno avuto contatti con il contagiato nelle 48 ore precedenti. Per un singolo caso non va automaticamente chiusa la scuola, ma il dipartimento di prevenzione della Asl deve valutare la situazione anche in base alla circolazione del virus in quel momento nell’area dove si trova la scuola. Se viene contagiato un docente o un altro lavoratore scolastico si valuteranno i suoi contatti, sempre nei due giorni prima, e si avvieranno eventuali quarantene.

Tutte le scuole, inoltre, dovranno nominare un referente, che dialogherà con la Asl. Nei dipartimenti di prevenzione dovrà esserci un medico di riferimento per ogni istituto. Nelle scuole dovranno esserci registri che tengono conto di tutti gli spostamenti di docenti e supplenti nelle classi e di eventuali attività svolte da uno o più alunni fuori dalla propria aula. A ogni bambino verrà misurata la febbre dai genitori la mattina, prima dell’ingresso a scuola — altro fattore fonte di polemiche, dato che una parte di responsabilità della salute generale viene scaricata, di fatto, sui genitori.

Queste linee guida dicono solo come ci si deve comportare in caso di sospetti positivi in classe. Restano ancora numerose questioni da risolvere.

Una, molto rilevante, riguarda i trasporti. Le linee guida del CTS prevedono che sugli autobus scolastici venga mantenuto il distanziamento di un metro, misura che limiterà la capienza dei mezzi e che richiederà un notevole potenziamento delle linee — cosa che alle regioni non piace. 

Come per la polemica delle scorse settimane sulla capienza dei treni regionali in Lombardia e Liguria, anche stavolta si sta cercando in tutti i modi una gabola che permetta di aggirare la regola del metro di distanza. Per esempio? La regola può essere infranta quando è possibile far sedere gli studenti allineati “verticalmente”, cioè uno per fila, senza che siano rivolti faccia a faccia. Il distanziamento di un metro, però, può non essere rispettato solo per i tragitti inferiori ai 15 minuti: un punto intorno al quale sono circolate diverse perplessità, sia per la sua efficacia sia perché sembra una misura difficile da applicare. 

Un’altra ipotesi, francamente un po’ ridicola, è quella di equiparare i compagni di classe ai “congiunti”: come a dire, tanto già state insieme, vi contagerete lo stesso, quindi tanto vale sedersi vicino sull’autobus. In sostanza, un accordo ancora non c’è: bisognerà aspettare i prossimi giorni per avere indicazioni ufficiali. 

Un’altra questione riguarda gli orari di ingresso a scuola, che da tempo si ipotizza di differenziare o scaglionare. Ancora non ci sono decisioni ufficiali — i dubbi principali riguardano la possibilità che una misura simile comporti una riduzione del monte orario scolastico totale: la ministra Azzolina ha dichiarato che le scuole potranno ridurre la durata delle ore di lezione da 60 a 50 minuti, per organizzarsi meglio, sostenendo però che alla fine il bilancio debba rimanere uguale. Ci sono comunque leggi e sentenze passate che dicono che per cause di forza maggiore — tra le quali rientra plausibilmente una pandemia — il monte orario scolastico possa invece essere ridotto.

Parlando di misure per limitare il rischio di contagio, si arriva sempre all’ argomento mascherine. In classe bisognerà indossarle, sì o no? Azzolina ha suggerito in alcune interviste che potrebbero essere obbligatorie nelle classi soltanto quando non è possibile rispettare il metro di distanziamento — per i bambini sotto i 6 anni non sono comunque previste. Saranno probabilmente rese obbligatorie per gli spostamenti e le situazioni “di movimento”. La questione è cruciale perché, in un ambiente chiuso, tendenzialmente affollato, occupato per tanto tempo consecutivo e con persone impegnate a parlare, in più in assenza di protezioni sulle vie respiratorie, le condizioni per il contagio sono ideali — anche in presenza del famoso metro di distanza tra le “rime buccali” degli alunni. 

Per finire, la questione banchi. Settimane sembrava che i famosi banchi monoposto con le rotelle fossero la soluzione a tutti i mali. Lo scorso 12 agosto il commissario straordinario per l’emergenza, Domenico Arcuri, aveva annunciato che erano stati firmati 11 contratti con altrettante aziende per la consegna di 2 milioni di banchi tradizionali e 435mila “innovativi”. Arcuri ha detto che le consegne cominceranno il 28 agosto e si andrà avanti fino a fine ottobre. Non si sa ancora quali siano queste aziende, e il 26 agosto il Sole 24 Ore in prima pagina – ponendo tre domande al commissario Arcuri – chiedeva proprio chi avesse vinto il bando. Arcuri ha risposto facendo appello a una norma del codice sugli appalti che permette di pubblicare le informazioni su una gara entro 30 giorni. 

La paura di tutti, comunque, è che le scuole riaprano in corrispondenza di un aumento dei contagi e che quindi potrebbe rivelarsi necessario richiuderle, tornando al regime della didattica a distanza — la famosa Dad. Nelle linee guida per l’insegnamento, la didattica digitale a distanza è prevista «in modo complementare e integrato» solo per le scuole superiori. Per quelle di grado inferiore, sarà usata solo in caso di nuove chiusure delle scuole. Non resta che attendere.

In questa puntata sono con voi: Stefano Colombo @stefthesub, Sebastian Bendinelli @sebendinelli e Elena D’Alì @miss_daliway. Per non perderti nemmeno un episodio di TRAPPIST, abbonati su Spotify e Apple Podcasts.