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in copertina, foto via Facebook

Il risultato di oggi è di proporzioni storiche, ma segna comunque un passo troppo timido verso il futuro dell’Unione europea, schiacciata tra i ricatti incrociati di liberisti e illiberali

Dopo un’altra notte insonne, verso le 5.30 del mattino il Consiglio europeo è riuscito a raggiungere un accordo sul bilancio europeo e sul Recovery Fund da 750 miliardi di euro. Arrivato al termine di quattro giorni di negoziati piuttosto difficili, l’accordo ha una portata storica: per la prima volta i leader europei si sono accordati per una forma di condivisione del debito, da sempre uno dei nodi irrisolti nel processo di integrazione tra gli stati membri. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha parlato di un momento “cruciale nel viaggio dell’Europa,” mentre la presidente della Commissione von der Leyen ha detto che “l’Europa ha ancora il coraggio e l’immaginazione per pensare in grande.” Merkel ha dichiarato che l’accordo è un segno della “determinazione dell’Europa,” per Macron è stata “una giornata storica.”

L’accordo è stato raggiunto sulla base dell’ultima proposta di Michel, e prevede quindi che 390 dei 750 miliardi siano erogati sotto forma di sussidi a fondo perduto, gli altri come prestiti a lungo termine. Non ci sarà un vero e proprio potere di veto, ma i piani presentati dagli stati membri dovranno essere approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata, sulla base delle proposte della Commissione. Se “in via eccezionale” qualche paese riterrà che ci siano problemi, potrà chiedere che la questione finisca sul tavolo del Consiglio europeo prima che venga presa qualsiasi decisione — è quello che Michel ha definito il “freno d’emergenza.” L’intera procedura, però, dovrebbe ricadere sotto la competenza della Commissione.

La ripartizione dei fondi, decisa sulla base dell’impatto dell’epidemia, premia l’Italia, a cui andranno 209 miliardi, di cui 82 in sussidi e 127 in prestiti — 39 miliardi in più rispetto alle iniziali aspettative, che permetterebbero al governo italiano di fare a meno del Mes. Durante una breve conferenza stampa alle 6 del mattino, Conte ha celebrato l’accordo, dicendosi “orgoglioso di essere italiano” e auspicando di “far ripartire l’Italia con forza, cambiare volto a questo paese,” rendendolo “più verde, digitale, innovativo, sostenibile, inclusivo.” 

Le concessioni ai paesi “frugali” e al blocco di Visegrad

Per convincere i paesi “frugali” è stato comunque necessario fare notevoli concessioni, in particolare sui “rebates,” ovvero gli sconti sui contributi versati al bilancio comune europeo: in totale circa 26 miliardi di euro suddivisi tra Austria, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Germania. L’Austria, per esempio, otterrà 565 milioni di euro all’anno in rimborsi, quasi il doppio di quelli attuali. Parallelamente, saranno notevolmente tagliati i fondi agli altri programmi europei: per esempio, i fondi di Next Generation EU destinati al programma per la ricerca, HorizonEurope, passano da 13,5 a 5 miliardi. 

Sul vincolo del rispetto dello “stato di diritto” — l’altro ostacolo sulla strada dell’accordo, per l’opposizione dei paesi del blocco di Visegrad — è stato raggiunto un compromesso fortemente al ribasso: il testo definitivo si limita a sottolineare “l’importanza della protezione degli interessi finanziari europei e dello stato di diritto,” proponendo un regime di condizionalità — ancora da stabilire in futuri accordi — per “proteggere il budget e Next Generation EU.”

Si tratta, insomma, di sacrifici gravi, che hanno sostanzialmente due effetti: il primo è un ridimensionamento di una serie di progetti importanti, con cui sopravvivono anche molti ricercatori italiani, in nome di un risparmio modesto, che non sembra aver nessun altro scopo se non essere un punto in un elenco delle “vittorie” dei frugali. Ed è proprio nel rapporto tra questi stati e il resto dell’Ue che questo accordo non risolve, di fatto, nessun problema. Se di fronte a una sfida economica senza precedenti l’Unione è riuscita, faticosamente, a portare a casa uno strumento con cui affrontarla, non è possibile accettare che i meccanismi decisionali restino questi — summit che durano mezza settimana in più del dovuto, dove si esce con un accordo solo grazie a ricatti incrociati e non attraverso una visione comune del futuro del blocco europeo.

Con questi presupposti, è impossibile pensare che gli strumenti di “controllo” che sono previsti negli accordi resteranno solo minacce — l’Italia, la Spagna e la Grecia in particolare evidentemente saranno sottoposte a un rigoroso scrutinio in materia di welfare, pensioni e contratti di lavoro. Allo stesso modo, non si può non sottolineare come l’accordo dia effettivamente legittimità ai sempre più oppressivi governi del blocco di Visegrad, che certamente in futuro indicheranno questi accordi notturni per indicare che, in passato, le loro politiche non avevano costituito un problema per trovare un accordo.

Una vittoria per l’Italia

Per il governo italiano è una vittoria notevole, anche sul fronte politico interno — e non a caso, durante la conferenza stampa, Conte ha voluto ringraziare anche le opposizioni, sottolineando la solidità della propria posizione. Ma i tempi sono lunghi — i fondi del Recovery Fund saranno disponibili solo a partire dall’anno prossimo — e sul Mes, le cui risorse sarebbero accessibili subito, la partita interna alla maggioranza non è ancora chiusa: il Pd, per voce del segretario Zingaretti, ha ribadito che sarebbe disposto a sfruttare il Meccanismo.

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