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in copertina, dopo il Glastonbury, foto di Nick Rice

L’isolamento forzato dovuto al nuovo coronavirus ha portato le persone a dedicare più tempo all’ascolto della musica. Ma il settore, già fragile prima dell’emergenza, rischia di non riprendersi da una sospensione prolungata delle attività.

Il 27 marzo FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) ha pubblicato un report preoccupante che conferma l’andamento negativo del settore discografico e registra “cali sul segmento fisico (CD e vinili) di oltre il 60% e sui diritti connessi di oltre il 70% (dovuta alla chiusura di esercizi commerciali e all’assenza di eventi).” Sempre secondo FIMI “anche lo streaming soffre a causa dell’assenza di nuove release, che solitamente fanno da traino agli ascolti, e della scarsa mobilità dei consumatori.”

La quarantena forzata di queste settimane sta colpendo duramente l’industria discografica. I concerti in programma nei mesi di marzo e aprile, a causa del decreto emanato lo scorso 12 marzo dal governo, sono stati tutti rimandati o annullati. E così anche gli eventi legati alla promozione delle nuove uscite, i cosiddetti firmacopie, oltre agli incontri con la stampa. Nelle ultime settimane il settore musicale — dalla distribuzione ai live — si è trovato a doversi spostare quasi completamente online, cercando di adattarsi in fretta all’epidemia per sopravvivere, ma la sensazione è che l’industria musicale uscirà inevitabilmente trasformata dall’emergenza che stiamo vivendo. 

In Italia il settore dei concerti rischia il default

L’effetto più evidente di questa emergenza sul settore musicale è la chiusura dei luoghi di aggregazione. Con i locali si sono fermati anche i concerti, e se i primi giorni si sperava ancora in una risoluzione rapida dell’epidemia, provando a rinviare le date di qualche settimana, ora la musica dal vivo è completamente ferma e si trova in una situazione di totale incertezza. Come sappiamo non è un problema solo italiano. All’estero sono già stati annullati interi tour e festival molto importanti come Glastonbury, nel Regno Unito, o il South by Southwest in Texas. Il Coachella è stato invece rinviato a ottobre, mentre l’edizione di quest’anno dell’Eurovision non si disputerà. Così come il Tomorrowland e l’intero tour negli Stati Uniti di Billie Eilish. E questi sono solo alcuni degli esempi più evidenti.

In Italia invece la sensazione è che il settore della musica dal vivo stia aspettando di vedere come evolverà l’epidemia. Dando un’occhiata al sito di Live Nation, una grande azienda che si occupa dell’organizzazione di concerti, si può notare come solo una decina di eventi in programma nei prossimi mesi siano stati ufficialmente rinviati o annullati, e tutti questi concerti si sarebbero dovuti svolgere ad aprile o a maggio. Per ora non sembra ci siano grossi spostamenti di calendario nei mesi successivi, ma è chiaro che il blocco di queste settimane influirà anche sulla vendita dei biglietti per i concerti di giugno e dei mesi estivi. Chi ci può assicurare, infatti, che il blocco terminerà prima di maggio? E se anche l’epidemia dovesse rientrare producendo un numero molto minore di contagi e la revoca dei divieti estremamente stringenti di questi giorni, siamo sicuri che torneremo subito a frequentare i locali e ad andare ai concerti? Evidentemente no. Se è vero che quando la situazione sarà tornata alla normalità potremo assistere a un effetto di rimbalzo dovuto alla voglia di evasione delle persone, rimaste per troppo tempo confinate tra le mura di casa, è anche vero che la tendenza di queste settimane si protrarrà ancora per un certo periodo di tempo dal momento della revoca dei divieti e con ogni probabilità ci vorranno settimane prima che si torni a frequentare locali, bar e discoteche come prima. 

Per capire il tipo di impatto, non solo economico ma anche organizzativo, che questa situazione sta avendo sulla musica live, abbiamo contattato BPM Concerti, una società che si occupa di organizzazione e promozione di eventi, ma ci hanno risposto molto brevemente dicendo che è un momento difficile, nel quale stanno navigando a vista per i vari spostamenti degli eventi. Hanno inoltre aggiunto di non poter fornire risposte precise alle nostre domande, che riguardavano l’impatto economico attuale e futuro che questa situazione provocherà sulla loro attività e sul settore nel quale operano. 

Quello che sappiamo per certo è che il settore dei live non se la sta passando affatto bene. In un comunicato stampa pubblicato il 13 marzo il presidente di Assomusica, Vincenzo Spera, scriveva: “La situazione dei concerti live in Italia è vicina al default. In questo momento circa 3000 concerti sono stati rinviati o cancellati: di questi, il 60% è stato riprogrammato e il 17% è stato annullato. Dalle stime fatte in questi giorni ci troveremo ad affrontare una perdita di circa 40 milioni, dal periodo dell’inizio delle ordinanze fino al 3 di aprile. Uno scenario che non ci fa ben sperare, visto il forte rischio che la situazione si prolunghi ancora nel mese di aprile. E tutto questo senza contare che verrà a mancare l’indotto generato nei territori dai nostri eventi, che ammonta a circa 100 milioni di euro.” Assomusica chiede quindi al governo di intervenire con una serie di norme ad hoc per tutelare le imprese e i lavoratori dell’industria. 

A chiedere l’intervento del governo è anche il MEI (Meeting delle Etichette Indipendenti), che auspica il sostegno economico immediato al settore, il finanziamento dei progetti già in essere, l’introduzione di sgravi fiscali e la posticipazione dei pagamenti allo Stato, insieme a una serie di altre misure, dal monitoraggio degli eventi annullati alla collaborazione con la Rai “per la valorizzazione in termini mediatici di tutti gli artisti grandi e piccoli per un ritorno almeno dal punto di vista mediatico e dei diritti.”

foto di v b, via Flickr

La crisi della promozione 

Ma la cancellazione dei live è solo la conseguenza più evidente di una problematica che pesa su tutto il settore. Con il protrarsi di questa situazione molti artisti hanno deciso di rinviare l’uscita dei propri album. È il caso di Ghemon, ma anche di Baby K o Mostro. Le agenzie che si occupano della promozione dei dischi, oltre alla comunicazione dei live e all’organizzazione degli incontri con la stampa, hanno perso così un altro pezzetto del loro lavoro. “Il nostro lavoro si fonda sulle uscite discografiche e sugli eventi dal vivo, la ricaduta è grave e allo stesso tempo inevitabile,” ci raccontano da Loud Promotion, “sicuramente a gravare è anche l’incertezza rispetto a cosa succederà nel futuro, prossimo e meno prossimo. Lavorando nella comunicazione è difficile trovare un equilibrio tra la necessità di essere positivi, di continuare a sperare che le cose si sistemino in fretta promuovendo la speranza che tale evento o festival non venga cancellato o rimandato e allo stesso tempo avere rispetto per la gravità di quanto sta accadendo ora.” 

Questo senso di preoccupazione ci viene in parte confermato da Totally Imported – Rc Waves, una società che si occupa di promozione, ma anche di molti altri aspetti collegati alla musica e al lavoro degli artisti, “venendo meno la possibilità di fare eventi in questi mesi ci siamo ritrovati, oltre che con una perdita economica evidente, a doverci inventare delle soluzioni alternative. Da un lato è sicuramente stimolante e positivo notare come l’intero settore musicale abbia fatto squadra, ma dall’altro, senza il contatto con il pubblico, è anche difficile comprendere l’efficacia del progetto che stai promuovendo. La ricaduta maggiore, oltre a quella puramente economica, è la difficoltà nell’impostare una progettualità nella promozione e nel management di un artista senza farlo suonare e senza sapere quando riprenderanno le attività dell’industria.”

Il problema quindi non è solo economico, “si perdono anche tutte quelle possibilità di intrecciare relazioni utili anche a livello lavorativo, andando a inficiare eventuali possibilità lavorative future o il consolidamento di legami lavorativi in corso,” ci spiegano da GDG Press. “Al momento stiamo ancora riuscendo ad arginare il danno, grazie a progetti discografici che erano già stati avviati o hanno deciso di uscire nonostante la situazione. Il vero problema deve ancora arrivare: i tour e festival estivi sono tutti a rischio spostamento, se non cancellazione. La primavera e l’estate sono il momento in cui forse lavoriamo di più di tutto l’anno.”

Le agenzie che abbiamo contattato risentono in maniera diversa di questa situazione, di conseguenza non possiamo dipingere un quadro allarmante altrettanto omogeneo come quello che Assomusica ha rappresentato per il comparto dei concerti. Il problema però esiste e se la situazione non cambierà in fretta avrà delle grosse ripercussioni su tanti posti di lavoro.

Anche su quello di tanti “artisti emergenti” che stanno dedicando il proprio tempo libero a produrre mucchi di testi — presumibilmente tutti molto simili — a tema coronavirus. 

Lo streaming 

Tra i tanti ambiti toccati da questa emergenza uno sembra risentire meno della quarantena e potrebbe invece risultarne “avvantaggiato.” In questi giorni le piattaforme di streaming di contenuti audio e video stanno infatti registrando un numero molto maggiore di accessi rispetto al normale. Per quanto riguarda i servizi di streaming musicale non abbiamo delle conferme ufficiali da Spotify o Apple Music — che abbiamo provato a contattare senza però ottenere risposte — ma sappiamo per certo che si sta verificando un aumento consistente del consumo di dati e rete internet, prodotto in parte dal telelavoro e in parte dall’utilizzo più frequente delle piattaforme di streaming per l’intrattenimento. In Italia Fastweb ha dichiarato di avere avuto un aumento del 30%, mentre Vodafone in alcuni paesi europei ha confermato di aver registrato un aumento del 50%. In molti posti — come il luogo da cui sto scrivendo — le connessioni sono inoltre mediamente molto più lente del normale.

Di questa problematica si sono accorte anche le istituzioni e così qualche giorno fa la Commissione Europea ha chiesto alle piattaforme di streaming di limitare la qualità dei video disponibili. Il maggiore tempo trascorso nelle case porta infatti le persone a investire più tempo nell’intrattenimento. E nelle videochiamate, che si sono ormai sostituite agli incontri tradizionali. Zuckerberg ha ammesso, ad esempio, che negli ultimi giorni Facebook e WhatsApp hanno avuto un incremento consistente nel loro utilizzo, tanto da far ipotizzare a qualcuno un melt down dell’infrastruttura. L’aumento della domanda di rete internet fa pensare quindi che gli ascolti dei brani in streaming, complessivamente, nonostante il calo delle nuove uscite riportato da FIMI, stiano andando meglio del normale riuscendo a compensare, almeno in parte, i risvolti più negativi di questa situazione.

L’isolamento potrebbe inoltre irrobustire ancora di più la tendenza, peraltro ormai ampiamente consolidata, ad ascoltare le canzoni in streaming, da smartphone o pc. Prima dell’emergenza l’ultimo quadro degli ascolti dipinto da IFPI, l’organizzazione che rappresenta l’industria discografica in tutto il mondo, segnava per l’italia un trend in crescita nello streaming, con un incremento dell’8% anche nelle fasce di pubblico più adulte, 45-54 anni e 55-64 anni. Si ascolta ancora molta musica grazie alle radio (37%) e sempre più dallo smartphone (22%) e la quarantena verosimilmente ha incrementato ancora di più queste percentuali. Un’altra conferma dell’importanza dello streaming ci viene data da una nostra fonte che lavora nel settore della distribuzione, che ci ha confermato come l’emergenza del nuovo coronavirus nelle comunicazioni interne alla sua azienda venga descritta dai dirigenti come un’opportunità di business. L’isolamento spinge infatti le persone a usare per più tempo il proprio smartphone, a consumare più musica, a scoprirne di nuova, a privilegiare abbonamenti premium per evitare la pubblicità, che a lungo andare infastidisce. Per alcune aziende questo isolamento rappresenta inoltre una sorta di trampolino di lancio per raggiungere nuovi consumatori e amanti della musica e un’opportunità per farsi conoscere e per far conoscere i propri artisti al pubblico.

Ma questa crisi a lungo andare potrebbe incidere molto anche sulle piattaforme. Nonostante l’aumento del traffico online infatti i ricavi pubblicitari per gli editori sono fermi o in diminuzione. Questo aspetto grava in misura maggiore sui siti d’informazione, che sono penalizzati dal fatto di occuparsi molto dell’epidemia — un argomento al quale tanti marchi non vogliono essere affiancati — ma se le aziende decideranno di continuare a investire meno in pubblicità, come già stanno facendo, molto probabilmente ci saranno delle ripercussioni anche sui ricavi delle piattaforme di streaming e con loro, a cascata, su tutto il settore.   

Considerati i guadagni derivanti da questo tipo di ascolti, che a seconda della piattaforma pagano da un paio di centesimi a qualche millesimo di euro per ascolto — i dati si riferiscono agli Stati Uniti ma i guadagni in Italia sono pressoché simili ed è possibile verificarli paese per paese utilizzando uno dei tanti calcolatori online — a pagare maggiormente l’isolamento alla fine saranno proprio gli artisti, che in questo momento percepiscono le entrate maggiori dai live, guadagnano ancora troppo poco dall’ascolto degli album online — ancora meno dalla vendita di dischi fisici, ormai pressoché irrilevante, specie se riferita ai periodi in cui di dischi se ne vendevano tantissimi — e per il momento possono solo cercare di mantenere il contatto con il proprio pubblico sperando che questa situazione finisca in fretta. 

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